don Gianmario Pagano"Il cammino di conversione "

1 Marzo 2017
Mercoledì delle Ceneri - A
(commento di don Gianmario Pagano)
Colletta
Il soggetto del cammino di conversione che si sta per cominciare non è un individuo o un insieme di
individui, ma un “popolo”. La Quaresima vede protagonista tutta la Chiesa, perciò non si può ridurre questo tempo liturgico a un modo più intenso di vivere la fede privatamente. Ma c’è dell’altro. Il tempo che comincia vuole produrre un movimento che coinvolga i fedeli in modo tanto straordinario quanto intenso e decisivo, analogo a quello che si riscontra nei momenti di mobilitazione generale: tutti i fedeli devono acquistare la consapevolezza di essere chiamati a un combattimento. E quando un popolo intero viene chiamato al combattimento, si tratta di una guerra. I termini stessi usati nel testo – l’invito ad es. a “prendere le armi” – sono termini bellici. Bisogna infatti riconoscere che la guerra del bene contro il male, nonostante le interpretazioni nefaste dei fondamentalismi, è una costante simbolica nelle religioni, soprattutto quelle basate sulla fede del Dio di Abramo. La preghiera stessa della Chiesa non disdegna di utilizzare tale simbolo collocandolo all’inizio della Quaresima. Ma quello che sfugge purtroppo ai fondamentalismi è che al centro dell’uso del simbolo della guerra non c’è l’invito alla sopraffazione e alla violenza, ma quello al coraggio e alla messa in gioco, alla disposizione a intraprendere una lotta che fa appello a tutte le energie della volontà, esattamente come richiesto nei momenti più bui, in cui un popolo intero viene chiamato a spendere ogni energia per affrontare la propria sopravvivenza. In questa guerra sui generis le armi sono speciali – quelle della “penitenza” –, così come speciale è il nemico: “lo spirito del male”. Se l’uomo combattesse davvero questa guerra spirituale, mobilitando per essa tutte le sue forze, non sarebbe costretto, certamente, a combatterne altre…

Prima lettura Gioele 2,12-18
La pagina del profeta Gioele è forse quella tematicamente più associata al clima introdotto dalla preghiera di colletta. Il contesto di questo famoso passo è infatti una calamità terribile: la siccità, accompagnata dal flagello delle cavallette, paragonata a un esercito feroce che prende d’assalto ed espugna una città (Cfr. 2,1-11). Proprio dalla catastrofe nasce l’appello al cambiamento interiore, che è nei termini e nei toni, una forma di appello alla mobilitazione generale, ma per uno scopo preciso: implorare la misericordia di Dio e invocare il suo aiuto con una giornata straordinaria di digiuno e di penitenza. Segue la risposta di Dio e l’annuncio della liberazione insieme a future benedizioni (2,19-27). Da notare anche un altro particolare, più generale: il profeta Gioele è quello che ha ispirato molte pagine “apocalittiche” del Nuovo Testamento (il discorso escatologico nei sinottici e alcuni passaggi dell’Apocalisse), proprio per il suo richiamo profetico al “giorno del Signore”, come giorno terribile, al cui confronto la piaga delle cavallette e della siccità è uno scherzo. Tuttavia per Gioele la catastrofe del presente non è il presagio di un castigo maggiore, piuttosto è il segno che anticipa un’era di salvezza. Il punto essenziale è che tale salvezza futura non è incondizionata, ma esige una conversione interiore e profonda di tutto il popolo.

Seconda lettura 2Cor 5,20 – 6,2
Questo passaggio di Paolo è una sintesi sublime del messaggio cristiano e, nello stesso tempo, della missione della Chiesa: essere “ambasciatori” della riconciliazione tra Dio e gli uomini. Non si finirà mai di meditarlo e di amarlo abbastanza. L’invito pressante a “non accogliere invano la grazia di Dio” è il punto fondamentale delle preoccupazioni dell’apostolo, e dovrebbe probabilmente essere l’anima di ogni azione ecclesiale, a cominciare da quella contemplativa. Nel contesto dell’inizio della Quaresima il riferimento al “tempo favorevole” diventa strumentale, quasi ovvio. Tuttavia non bisognerebbe cessare di leggerlo in un contesto più ampio e incisivo, che riguarda l’interpretazione di tutta l’esistenza cristiana: la salvezza è un’occasione da prendere al volo, senza esitare, senza rimandare. Come nella parabola del tesoro nascosto, lo scopritore si trova davanti al colpo di fortuna della sua vita, davanti a una situazione tanto felice quanto irripetibile. Il segreto per possedere il tesoro non sta nel trovarlo, ma nella prontezza e nella totalità della risposta: nascondere la scoperta per correre immediatamente a vendere tutto per acquistare il campo. Una prontezza che nella parabola è così enfatizzata, da sfiorare il cinismo: lo scopritore del tesoro mantiene il segreto per non rischiare di perderlo e per acquistarlo solo a prezzo del campo! Paolo invita di fatto i suoi uditori allo stesso atteggiamento, decisivo per accogliere in modo efficace la grazia che può trasformare effettivamente la vita di ciascuno.

Vangelo Mt 6,1-6.16-18
Il testo non è riportato nella sua continuità, ma è una piccola selezione, operata con criterio tematico, sulla base del grande discorso “programmatico” di Gesù nel vangelo di Matteo. La pratica delle opere buone e dell’elemosina, la preghiera e il digiuno, essendo i punti fondamentali della “pratica religiosa” diventano oggetto di riflessione specifica all’inizio della Quaresima per tutta la Chiesa. Anche in questo caso però non bisogna dimenticarne il contesto: Gesù non sta parlando a fedeli che cominciano la Quaresima – almeno non nel contesto originale del passo evangelico… – ma sta insegnando ai suoi discepoli quali devono essere i loro atteggiamenti essenziali. Se c’è infatti una novità e una diversità nella pratica pia dei discepoli di Gesù, questa non è nei contenuti fattuali, che sono i medesimi della tradizione ebraica (e in pratica, come è noto, sono stati ripresi in toto anche dalla tradizione islamica), ma, potremmo dire, nello stile con cui tali contenuti sono proposti alla pratica, nel senso ultimo che essi acquistano alla luce più ampia del vangelo.
Ma la cosa che più stupisce il lettore attento è che il vangelo sembra rinunciare all’aspetto sociale e collettivo della penitenza e delle pratiche di pietà, che erano così importanti p.es. per il profeta Gioele, in funzione della loro sincerità e interiorità. Nello stesso tempo, non dovrebbe sfuggire un’altra apparente contraddizione con Mt 5,13-36, altro famosissimo passaggio dello stesso discorso: “risplenda la vostra luce davanti agli uomini perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria…”. Insomma, le “opere” dei discepoli di Gesù devono rimanere nascoste o devono essere viste? Devono essere pubbliche o private? Per sciogliere questo nodo bisogna fare riferimento al tipo di opere cui si fa riferimento nei due diversi contesti. In Mt 5, 13ss. il riferimento è alla radice stessa dell’identità cristiana, che consiste nel compiere le opere di Dio: in altre parole, nel mettere in pratica il Vangelo. Se il Vangelo non viene praticato dal discepolo, egli rinuncia radicalmente alla sua identità, con conseguenze tragiche per lui. Nei due passi di Mt 6 ripresi dalla liturgia si parla piuttosto delle tipiche opere di penitenza, cioè di quelle che si fanno in riparazione dei peccati o per implorare la misericordia di Dio. Ebbene, il Vangelo non solo dice che se queste opere sono falsate da vanità e vanagloria, esse sono inefficaci, se non addirittura controproducenti (“avete già ricevuto la vostra ricompensa…”), ma che il termine di ogni opera di Dio è Dio stesso. Il ritorno a lui deve essere totale, innanzitutto interiore, determinato da un profondo atteggiamento dello spirito che si orienta a Dio mettendo in gioco la totalità della propria esistenza. La dimensione sociale e visibile della pratica religiosa non è disprezzato, ma la condizione necessaria che la presuppone risiede nello spirito di ciascuno, nel segreto della coscienza, dove si gioca il vero valore delle scelte umane al cospetto di Dio.

Visione d’insieme
Il mercoledì delle Ceneri non è solo un invito, ripetuto ciclicamente, a cominciare un cammino di conversione. È un invito a cogliere l’occasione di compiere per davvero questo cammino una volta per tutte. Tale appello ha una dimensione sia pubblica, comunitaria ed ecclesiale, sia privata, personale, interiore e mistica. I due aspetti vanno abbracciati entrambi dai discepoli di Gesù, senza dimenticare che è innanzitutto la profondità dell’adesione di ciascuno al Vangelo a produrre per conseguenza l’opera quasi miracolosa di un cambiamento, questo sì visibile ed evidente, della propria vita.
Se la preghiera di colletta richiama i cristiani come in un appello di leva, il profeta Gioele ricorda la gravità della posta in gioco e Paolo sottolinea l’importanza di cogliere il momento propizio per ottenerla. Infine il Vangelo ci chiede di fare tutto ciò con cuore puro, perché l’onestà profonda di fare le cose solo ed esclusivamente per Dio ci restituisce la potenza della sua azione in noi, e ci assicura, dunque, la vittoria finale. Solo in tal modo tutti i credenti potranno dire: “la grazia di Dio in me non è stata vana”.

Fonte:http://www.omelie.org/

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