MONASTERO DI RUVIANO,"Come i gigli del campo, come gli uccelli del cielo"

OTTAVA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO 
Is 49, 14-15; Sal 61; 1Cor 4, 1-5; Mt 6, 24-34
Come sempre l’Evangelo è radicale, non ammette mezze misure, non tollera compromessi e
mediocrità; chiede invece uno sguardo limpido e puntato verso Dio ed i suoi lidi, verso Dio e quindi verso l’uomo nuovo che Gesù narra con tutto se stesso e che, nell’Evangelo di Matteo, sta delineando nel Discorso sul monte.

            Nel passo di oggi Gesù pone serenamente, ma senza possibili scappatoie, una duplice via: essere servi di Dio o servi del mondo; servi del Regno di Dio e nel Regno di Dio o servi del danaro che regge tutti i regni mondani e tutti i poteri mondani.

Nelle logiche mondane vivere l’Evangelo e le sue esigenze è impossibile; l’ Evangelo è rovina di chi vuole governare il mondo con il danaro ed il potere, con gli equilibrismi ed i compromessi; è così! Il mondo o è sconfitto dall’Evangelo e da chi è disposto a pagare un prezzo per l’Evangelo o sconfigge l’Evangelo lusingando i credenti e ingannandoli col far credere loro che l’Evangelo stesso è una chimera, un “bel sogno” ma irrealizzabile.

            Dall’altro versante però bisogna purtroppo dire, e dirselo con forza, che anche tra coloro che parlano di Regno di Dio e in quel seme del Regno che è la Chiesa, l’ingresso delle logiche mondane è altrettanto mortifero … se con l’Evangelo non si può avere successo nel mondo, con il mondo, con le sue vie, non si può avere “successo” nel Regno e per il Regno! Chi pretende di usare le “strategie” mondane per far crescere il Regno si apre all’operazione più mortifera che ci sia: impedire a Dio di agire, di salvare, di reggere.

Già i Profeti l’avevano gridato innanzi ai re di Israele e di Giuda: non si regge il popolo santo di Dio con le alleanze con i vari “Egitti” o “Assirie” (cfr Is 30, 1-7) … si guida il popolo di Dio solo con l’Alleanza con il Dio Vivente; se vogliamo altre regole e alleanze oltre l’Evangelo, perché questo non ci basta, stiamo già tradendo l’Evangelo e ci stiamo inchinando ad un altro signore (così scrive Matteo: “kyrios”!). Ma uno solo è il Signore! (cfr 1Cor 8,5-6) Chi si inchina ad altri signori prima o poi diventa come loro (così il Salmo 115!) e questa è una tremenda verità verificabile ogni giorno tra noi credenti: si diventa subito come loro, con gli stessi sguardi, le stesse mani rapaci, le stesse bocche sigillate alla verità, lo stesso immobilismo che teme ogni ulteriore. Non è forse questo il male che appesta le nostre vite ecclesiali? E di questo siamo tutti responsabili: basta chinare il capo ai signori del mondo.

            Chi invece si china al Signore diventa come Lui! E’ straordinario ed è l’esperienza della santità che Gesù ci spalanca. Si è santi come Dio è santo non facendo mille cose ma inchinandosi a Lui, fidandosi di Lui.

            Qui il nostro passo di Matteo si versa in quelle parole dolci e forti dell’invito a guardare gli uccelli del cielo e i gigli del campo …

            Di fronte alle cose Gesù ci mette in guardia dall’ affannarci (il verbo “merimnào” significa “darsi pensiero”, “preoccuparsi animosamente”, “affannarsi”), dall’ affannarci spasmodicamente puntando solo al domani e perdendosi il presente! Così le cose assumono il volto di un “signore” che possiede il nostro tempo: “possiede” l’oggi perché ci impedisce di viverlo e il domani perché ce lo fa apparire come un incubo che dà affanno. Chi si getta in questo affanno toglie a Dio la sua signoria e rigetta la fiducia in Lui.

            Si badi che le cose che Gesù cita non sono cose accessorie o voluttuarie, ma sono cibo e vestito: le due cose che gli animali hanno naturalmente ma che l’uomo deve procurarsi. Questo significa che Gesù non esclude la necessità di queste cose, né il lavoro per procacciarsele (d’altro canto il lavorare la terra è già compito dell’Adam nel giardino dell’ in-principio; cfr Gen 2,6.15), quello che Gesù escludeè l’affanno per queste cose eil trasformare il mezzo in fine. Il lavoro è mezzo per la custodia del creato, è mezzo per la realizzazione dell’uomo, se diventa fine diviene idolo che immediatamente assimila a sé l’uomo, lo trasforma in un servo cieco, in una “macchina da lavoro”,in un “produttore”, in un “accumulatore”… E’ quanto tragicamente vediamo oggi di continuo, è quanto oggi “disumanizza” la nostra società in cui o il lavoro manca o diviene, il più delle volte, catena che schiavizza e rende l’uomo non più uomo.

            Credo che questa pagina dell’Evangelo di oggi ci spinga, come cristiani, a lottare per  l’umanizzazione dell’uomo, a dire dei “no” netti a ciò che fa dell’uomo uno schiavo. Questa disumanizzazione può avvenire a vari livelli: ci sono uomini che sono resi schiavi da chi si proclama signore e pretende dai suoi simili un lavoro disumanizzante che priva l’uomo della “vita umana” facendolo macchina da produzione e da profitto; ci sono poi uomini che credono di essere liberi e addirittura signori perché si sono dati anima e corpo al lavoro per produrre con affanno per sé, per accumulare per una ipotetica sicurezza o più semplicemente per il piacere del possesso.

            Sono due situazioni tragiche ma la seconda è peggiore della prima perché chi la vive non sa di essere diventato come loro  che hanno bocca e non parlano, hanno occhi e non vedono, hanno orecchi e non odono, hanno naso ma non odorano, hanno mani e non palpano, hanno piedi e non camminano … non sanno di essersi “cosificati” come gli idoli che servono, non sanno che se non parlano, non vedono, non odono, non odorano, non palpano e non camminano sono come morti.

            I primi sono quelli che invece possono e devono lottare per una vera umanizzazione del loro vivere quotidiano, del loro lavoro. Questo è un compito che i cristiani condividono con tutti gli uomini che sono appassionati di umanità. Noi cristiani abbiamo in più la forza dell’Evangelo che ci spinge, la consapevolezza della possibilità straordinaria che in Cristo ci è donata, quella dell’uomo nuovo; noi cristiani abbiamo questa parola di Gesù forte e sicura: Non affannatevi … Dio farà per voi molto più di ciò che fa per gli uccelli del cielo e per i gigli del campo … Noi abbiamo nel cuore quella parola che conclude questa pagina odierna: Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose (quelle per cui gli altri si affannano) vi saranno date in sovrappiù … Non affannatevi per il domani … ad ogni giorno basta la sua pena.

            Queste parole, se siamo capaci di accoglierle, ci pongono nelle mani di un Dio che provvede e custodisce con amore di madre, come ha scritto Isaia nel passo che abbiamo ascoltato come prima lettura; queste parole ci pongono in un sano realismo, ben piantati nel quotidiano senza fughe sterili verso un futuro che affanna e ci pongono liberi in un presente da vivere nelle mani di Dio.

            Il credente è così un uomo vero che custodisce l’oggi con il suo “sì” al creato ma abitando una piena fiducia in Dio. Il credente dice il suo “amen” a Dio non al danaro; dispiace che la nuova versione della CEI abbia tolto la parola “mammona” e l’abbia sostituita con la semplice parola “ricchezza” perché “mammona” è un termine ebraico che ha radice nel verbo “aman” il verbo della fede, quello da cui viene la parola “amen”. Chiamare la ricchezza mammona è sottolineare che c’è la terribile possibilità di dire l’amen alla potenza della ricchezza mentre l’amen va detto solo a Dio! Solo a Lui ci si consegna, guai a chi consegna se stesso alla perversa forza del danaro.


Fonte:http://www.monasterodiruviano.it/

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