MONASTERO DI RUVIANO,Commento SETTIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO

SETTIMA DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO
Lv 19, 1-2.17-18; Sal 102; 1Cor 3, 16-23; Mt 5, 38-48
La liturgia della Parola di questa domenica è racchiusa tra due esortazioni che hanno il sapore, ancora
una volta, di una rivelazione: il passo dal Libro del Levitico si apre con Siate santi perché io il Signore Dio vostro sono santo e la pagina di Matteo si chiude con Gesù che dice Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste. Potremmo dire che si tratta di una grande inclusione che, mentre chiede all’uomo di volare altissimo, per ciò stesso gli rivela che, per grazia, egli lo può!

Sono certamente due inviti, due “comandamenti”, possiamo dire, ma sono contemporaneamente rivelazione di una possibilità incredibile!

            La possibilità di santità,di perfezione è racchiusa, come sempre non in una nostra capacità assoluta ma in un’opera previa di Dio che ama l’uomo e lo salva rendendolo capace di un volo altissimo e inimmaginabile.

Nel Libro del Levitico l’opera previa è che il Signore ha tratto il suo popolo dall’Egitto con grande potenza, nell’Evangelo si sta narrando proprio la storia della definitiva compromissione di Dio con l’uomo, una compromissione che arriverà fino alla croce; nell’Evangelo Gesù è la Parola che mostra e proclama l’uomo nuovo che, di fatto, in Gesù stesso, come dicevamo la scorsa domenica, già è visibile.

Questa grande inclusione che la liturgia ha creato, racchiude entro il suo cerchio, l’amore per il fratello; un amore senza sconti e senza scuse; un amore per l’altro qualunque sia il volto dell’altro, qualunque sia la sua storia e perfino qualunque sia la relazione che questo altro instauri o voglia instaurare con noi; questo altro – dice Gesù – può essere anche il nemico, anche il persecutore.

Si tratta qui degli ultimi due compimenti della Legge che Gesù annunzia nel grande Discorso della montagna che stiamo leggendo in queste domeniche; domenica scorsa leggevamo i primi quattro compimenti, ora ecco gli ultimi due: Non opporsi al malvagio porgendo l’altra guancia; amare il nemico!

Già nel testo di Levitico abbiamo ascoltato quelle parole che Gesù farà sue unendole allo Shemà e quindi al comando di amare Dio: Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la tua mente e con tutte le tue sostanze e il prossimo tuo come te stesso (cfr Mt 22, 34-40). Sulle labbra di Gesù, dato il precetto di amare il nemico, la nozione di prossimo viene certo dilatata, non ha più confini; per Gesù il prossimo è semplicemente l’altro. Per la Scrittura a misura dell’ amore per il prossimo è come te stesso; questa è una misura certa in cui nessuno può “barare” … su altri amori si può anche “barare” (per esempio siamo bravissimi a “barare” sull’amore per Dio!) su quello verso noi stessi “barare” è impossibile perché ognuno di noi sa molto bene cosa desidera per se stesso: ciascuno vuole pace, sicurezza, misericordia per i suoi errori e peccati, ciascuno vuole su di sé uno sguardo benevolo che non lo schiacci o umili, vuole essere amato … c’è poco da fare: sono queste le cose che più vogliamo, che più profondamente vogliamo.

            Come amare l’altro? Per Gesù questo vale più di ogni cosa, per Gesù vale la pena qualsiasi fatica per amare l’altro; così in questa pagina di Matteo ci indica una via precisa fatta di sei necessità che sono assolutamente estranee al mondo e che sono, nell’ottica della pagina di domenica scorsa, un estremo del compimento della Legge che è venuto a portarci.

            Per amare l’altro Gesù ci chiede di superare  la giustizia umana che vorrebbe soddisfazione contro il malfattore per lo meno con quel famigerato occhio per occhio, dente per dente che poi, in realtà, in tutte le culture antiche, nasce per un fine buono, per mitigare il male della vendetta sancendo che non si può infliggere un male superiore a quello che si è ricevuto: per un occhio un occhio, non due! … per un dente un dente, non di più! … e così di seguito … La via che Gesù indica è non opporsi al malvagio che significa che si deve combattere il male e non il malvagio, che bisogna odiare il peccato e non il peccatore; la via che Gesù dà è quella su cui spesso il mondo ride (e di cui ridono, sottilmente, anche tanti tra quei cristiani che non fanno altro che rendere inoffensivo l’Evangelo e la sua forza!): porgi l’altra guancia; un detto di Gesù che va preso molto, molto sul serio, un detto che significa che il discepolo del Regno deve essere disposto a portare il male su di sé pur di non restituirlo, essere disposto a raddoppiarlo su di sé pur di non propagarlo, essere disposto a fermarlo su di sé … la via che Gesù indica è quella di vincere il male anche rinunciando al proprio diritto (A chi ti chiama in giudizio per toglierti la tunica tu dagli anche il mantello), è quella di vincere il male essendo pronti a portare il peso e la fatica dell’altro (Se uno ti costringe a fare un miglio con lui, tu va’ con lui per due); si vince il male, dice ancora Gesù, rinunciando a prendere per possedere e aprendosi al dare (A chi ti chiede dai e a chi vuole un prestito concediglielo).

Il culmine di questa via altra di Gesù è il capovolgimento del naturale odio per il nemico (che è il mezzo naturale di difesa che l’uomo pratica ad ogni latitudine) e Gesù lo richiede nella stessa ottica di un superamento di ciò che pare “naturale” in vista di un oltre che è l’unica via di salvezza nel dilagare del male che rischia di sommergere il mondo.

Mi pare chiaro che con queste sei richieste Gesù qui indichi una via limpidissima: bisogna farsi “termine” del male; bisogna essere disposti ad essere colpiti dal male ma per fermare il male impedendo al male di andare oltre.

            Se riflettiamo è proprio quello che Gesù ha fatto: Insultato non restituiva l’insulto, soffrendo non minacciava vendetta (cfr 1Pt 2,23) e così facendo fermò su di sé l’ingranaggio terribile del male. Così tutto fu compiuto (cfr Gv 19,30) e così si è compiuti, cioè perfetti … Matteo, infatti, per dire Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro celeste usa il termine greco “téleioi” che significa compiuti, giunti al “télos”, alla meta, giunti alla realizzazione dello scopo più profondo; per il IV Evangelo l’ultima parola del Crocefisso è proprio “Tetélestai”, cioè “è compiuto”, “è l’estremo”.

            Per giungere a questo compimento, di cui già domenica scorsa ascoltavamo, Gesù chiede un di più (Che cosa fate di più? in greco “perissòn”), chiede di andare al profondo, chiede un amore che superi quello degli scribi e dei farisei (cfr Mt 5,20), quello cioè solo “dovuto”, quello “naturale”; chiede anzi di rinnegare se stessi per essere figli del Padre, per fare come Lui che ama e benefica senza guardare alle colpe (cfr Sal 130,3) e fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti. Se si fa così, si fa come Dio e si è “altro” si è “santi”, si è “compiuti”!

            Mentre Gesù indica la meta nel Padre, Lui stesso si mostra sempre più come via per giungervi, Lui che per il nemico ha dato la vita; scrive infatti Paolo: Quando eravamo nemici siamo stati riconciliati con Dio per mezzo della morte del Figlio suo (cfr Rm 5,10).

            Tutte queste parole di Gesù nel Discorso della montagna non hanno come motivazione un buon vivere sociale, un desiderio di pacificazione che renda più vivibile la storia; il motivo è Dio e quello che Lui ha fatto di noi e per noi. L’esito poi sarà anche l’umanizzazione della storia ma il motivo per mettersi su una via così contraddittoria per le vie del mondo può essere solo Lui, il Signore Gesù, Figlio di Dio nella nostra vera carne.

            Per il discepolo di Cristo il motivo per vivere secondo queste parole dell’Evangelo non può essere altro che Cristo stesso e la meta la santità di Dio.

 E’ solo per Lui, per Cristo Gesù, che si può non opporsi al malvagio, è solo per Lui che si può porgere l’altra guancia, è solo per Lui che si può essere disposti a perdere, è solo per Lui che si può scegliere di dare incondizionatamente, è solo per Lui che si può amare il nemico. Solo per Lui e grazie a Lui, grazie al suo dono, grazie alla sua umanità che ha cominciato a trasfigurare la nostra umanità.

In Lui è già iniziato il compimento.
Fonte:www.monasterodiruviano.it/

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