CARLA SPRINZELES,"Acqua viva"

Commento su Esodo 17,3-7; Giovanni 4,5-42
Carla Sprinzeles  
III Domenica di Quaresima (Anno A) (19/03/2017)
Vangelo: Gv 4,5-42 
Oggi la liturgia ci parla di acqua viva, che indica la forza dello Spirito per il quale possiamo crescere
come figli di Dio e rivelare agli altri il Dio di Gesù.
Il colloquio di Gesù con la donna samaritana apre un orizzonte di salvezza a tutta l'umanità, al di là di barriere e pregiudizi: la vera adorazione di Dio non è legata a condizionamenti umani, ma alla disponibilità a lasciarci guidare dallo Spirito.
ESODO 17, 3-7
Per entrare nel forte messaggio del brano del Vangelo, la porta più adatta è la prima lettura, l'episodio dell'Esodo, così provocante. Il dubbio del popolo in viaggio - "il Signore è in mezzo a noi, sì o no?" - non nasce per un improvviso emergere dello spirito critico, nasce nella tensione tra la speranza e la disperazione. Questo popolo si era mosso perché un uomo, Mosè, aveva suscitato in lui la speranza della liberazione. Tutti i profeti sono degli svegliatori di speranza. C'è in fondo all'uomo, individuo e collettivo, una specie di energia e fuoco sommerso che qualcuno riesce a svegliare e allora tutto si muove, il già saputo non conta più e si va verso il futuro. Andare verso il futuro, lasciare - come abbiamo meditato domenica scorsa - la casa paterna, come Abramo, per andare in una regione che non si conosce, significa entrare in una situazione di rischio. Sperare è rischiare, è perdere le sicurezze, personali e collettive, ereditate.
Il popolo ebreo si trova nel deserto e si trova deluso perché invece di andare verso il meglio, è andato verso il peggio. Molto più sicura è la condizione di schiavitù, dove tutto è regolato, il sonno, il lavoro, il cibo. Entrare nel deserto significa perdere le vecchie identità, significa entrare in uno stato nascente. Il popolo è preso dalla sete e ha dinanzi a sé il deserto, nasce la tentazione di fede: "Ma c'è Dio o no fra noi? Dio si manifesta attraverso l'impossibile: "Va con il bastone e tocca la roccia!" E' questo il punto critico della speranza che si trova messa davanti all'impossibile.
Quante volte ci siamo trovati e ci troviamo di fronte all'impossibile, ancora oggi. Come può venire l'acqua? Come può venire la pace? Eppure la speranza deve affrontare questi nodi, perché è lì la forza creativa. Nel caso di Mosè l'efficacia del gesto era garantita dalla promessa di Dio. Ma noi crediamo veramente nell'impossibile?
I racconti del cammino d'Israele nel deserto vedono ripresentarsi periodicamente il problema della sete per mancanza d'acqua. E' una situazione di bisogno in cui il popolo dubita della provvidenza divina, della cura di Jahveh nei suoi confronti. Questo dubbio incrina la fede del popolo, che non si fida più dell'amore del Signore e si abbandona alla mormorazione. Il popolo mette alla prova Dio, dichiarandosi pronto a obbedire alla condizione di un segno. Il rifiuto di abbandonarsi con fiducia nelle mani di Dio, diventa contestazione di Mosè come guida. Egli viene rimproverato di aver condotto il suo popolo in un cammino di libertà. La libertà che il popolo ha trovato è troppo impegnativa ed esso si trova a rimpiangere la schiavitù d'Egitto: "Perché ci hai fatto salire dall'Egitto per far morire di sete noi, i nostri figli e il nostro bestiame?" Sembra che l'attore vero dell'esodo sia stato un uomo, e non il Signore! Ma il Signore si dimostra ancora una volta misericordioso e dona l'acqua. In quest'acqua che scaturisce dalla roccia diventa dunque percepibile la meravigliosa misericordia di Dio verso questo popolo ostinato, ribelle e diffidente.
GIOVANNI 4, 5-42
AMICI, non pensate che questo racconto, che leggiamo sia cronaca di quello che è accaduto al pozzo di Giacobbe. E' espressione della comunità di Giovanni, che esprime il messaggio di Gesù secondo la modalità con cui lo viveva.
La contraddizione tra giudei e samaritani era remota, aveva radici storiche molto lontane, che risalivano all'VIII secolo (quindi ottocento anni prima), quando gli Assiri invasero quelle zone (la Galilea e la Samaria) e impiantarono lì dei coloni che avevano altre religioni. Per di più dopo l'esilio (quindi VI-V secolo), quando gli ebrei tornano da Babilonia, questa opposizione si accentuò fortemente, perché i samaritani avevano acquistato importanza politica, commerciale e militare e vedevano con timore il risorgere di Gerusalemme, per cui avevano tentato in tutti i modi di impedire la ricostruzione di Gerusalemme. Quando chiesero a tutti gli ebrei che avevano sposato donne straniere di mandarle a casa, perché la razza ebraica doveva restare pura, un sacerdote autorevole, che amava molto sua moglie, si rifiutò di mandarla a casa e fu degradato dal sacerdozio del tempio. Lui andò in Samaria e iniziò il culto sul monte Garizim, proprio in opposizione al culto di Gerusalemme.
"Dammi da bere". Un uomo seduto presso un pozzo, intento a chiedere da bere a una donna venuta ad attingere acqua, nella simbolica biblica molto chiara per la gente comune al tempo di Gesù, significava cercare una donna per sposarla. Eliezer, il servo di Abramo, Giacobbe, Mosè si siedono presso un pozzo per trovare la futura moglie. Anche qui è come se il Signore chiedesse alla donna di Samaria di sposarlo e, attraverso di lei, lo chiedesse a tutti noi. A lui non importa l'apparenza, il valore umano o morale delle persone: ha scelto come apostoli gente incolta, peccatrice, rozza; ora si ferma a parlare con la peggiore donnaccia del paese.
Se ci fosse un fariseo, penserebbe senz'altro in cuor suo: "Se costui fosse profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei alla quale chiede da bere: è una peccatrice. Eppure proprio a lei, che ha perso il conto dei suoi uomini, a lei l'eretica, la samaritana disprezzata dai giudei, Gesù rivela ciò che non ha ancora detto a nessun discepolo: la sua messianicità. A Cristo non importa tanto la correttezza morale quanto la disponibilità a rivedersi in modo critico.
In quella prostituta Gesù vede un cuore assetato di vera adorazione e le dichiara una cosa che, neppure noi oggi, abbiamo ancora capito: che il Padre non vuol essere adorato secondo questa o quella tradizione religiosa, da gente che si sente in regola, ma in spirito e verità. Infine quella persona talmente disprezzata in paese, da scegliere l'ora più calda per non incontrarsi con le altre donne, diventa apostola convincente perché straordinariamente autentica: "Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?". Chi infatti meglio di lei, di cui tutti conoscono la vita disordinata, può annunciare la tenerezza di colui che è venuto a salvare, non a condannare? Chi meglio dell'emarginato, disprezzato persino da se stesso, è capace di sposare il cuore di Dio, questo cuore trafitto d'amore per l'umanità, per tutta l'umanità, dal barbone al vescovo? Ecco l'adorazione in spirito e verità, lo stupore di fronte alla tenerezza di colui che sonda l'abisso della nostra miseria senza spaventarsene, permettiamoci di accoglierci in verità, in quel nostro nulla che ci fa simili e fratelli.
Amici, non abbiamo paura delle nostre fragilità, difetti, errori, vuoti...siamo disponibili a guardarli come parte della nostra realtà, senza giudicarci ma cercando di rivederci in modo critico, sotto lo sguardo amorevole e tenero dello Spirito di Gesù: lui ci suggerirà come modificare la nostra vita.

Fonte:http://www.qumran2.net

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