MONASTERO MARANGO, "La fede è un orizzonte, non un limite"

4° Domenica di Quaresima (anno A)
Letture: 1Sam 16,1.4.6-7.10-13; Ef 5,8-14; Gv 9,1-41
La fede è un orizzonte, non un limite
1)Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita.
Gesù cammina sulle strade del mondo. Non ha una casa dove trovare riposo e nemmeno un tempio
dove pregare il suo Dio. Entra nelle case degli altri per condividere con loro il pane e gli affetti, per guarire e confortare; ci ricorda che anche il tempio ha bisogno di essere purificato e liberato dai mercanti - numerosi in ogni stagione- per tornare ad essere una casa di preghiera per tutti. E tuttavia egli ama pregare in faccia al vento, nella solitudine dei deserti, sulla cima dei monti o lungo la spiaggia del mare. Meglio parlare a Dio nella quotidianità dei giorni, squarciando la silenziosa oscurità della notte; meglio pregare sulle strade, fissando lo sguardo sui volti di uomini e di donne segnati spesso dalla fatica dell’esistenza. Quei volti riflettono Dio. Basta solo togliere un po’ di polvere.
Sì, lungo le strade Gesù vuole incontrare la nostra umanità. Quando guardiamo l’altro, noi vediamo innanzitutto ciò che nell’altro non ci corrisponde o che non vorremmo essere: uno straniero, un malato, un nemico. Siamo sempre pronti al giudizio e disponibili senza riserve ad attribuire colpe. Gesù invece vede dapprima l’uomo.

Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?
Che la malattia, la sofferenza e anche la morte siano il castigo di Dio per i nostri peccati lo pensano ancora in molti. Ho sentito recentemente più di qualcuno attribuire la causa dei terremoti e delle disgrazie a un Dio che si vendicherebbe in tal modo per l’approvazione di leggi ingiuste e non corrispondenti alla morale cattolica! Poveri uomini! Il Dio della Bibbia è un Dio che si è fatto conoscere per il suo amore per l’uomo: è un Dio che è sceso nell’oscurità delle vicende della storia per trarre in salvo uomini e donne resi schiavi e condotti a morte dal potere del faraone; un Dio che ha aperto una via nel mare per permettere al suo popolo di uscire dall’Egitto ed entrare vittorioso nella terra della Promessa. Dio ama la vita delle sue creature, per quanto compromessa dal peccato e dal male. La sua opera è dare la vita, non procurare la morte. Questa è sempre una sconfitta, un’onta che, come ultimo nemico, alla fine sarà completamente vinta. E nel mondo c’è più sofferenza che peccato: già questa consapevolezza sarebbe sufficiente per cambiare il nostro sguardo.

Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo.
«La luce del mondo» non è qualcosa da contemplare, o una realtà che attira a sé, come la lampada che attira le farfalle. Così ne parlavano gli stoici e gli agnostici.
Gesù è luce perché «opera» e perché «illumina ogni uomo» (Gv 1,9). E’ luce perché compie quest’opera nel mondo, in un preciso momento della sua storia travagliata; opera in un tempo limitato: «finché è giorno». E’ luce perché quest’opera è a favore dell’uomo e viene compiuta da Gesù non di propria iniziativa, ma per obbedienza alla volontà del Padre e alla missione che gli è stata affidata: «E’ necessario che compiamo le opere di Colui che mi ha mandato».

Gesù fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Và a lavarti nella piscina di Siloe», che significa “Inviato”.
Che cosa abbiamo spesso davanti agli occhi? La visione distorta delle nostre idolatrie: il denaro, il potere, il successo. O l’ombra oscura dei nostri fallimenti e dei nostri tradimenti. O la tenebra del nostro orgoglio, che ci impedisce di vedere le cose nella loro verità. Siamo ciechi.
Gesù ci mette davanti agli occhi la sua immagine: lui è un uomo abitato dallo Spirito. È questo il significato del fango fatto con la polvere e la saliva. E ci chiede un semplice atto di fiducia: «Và a lavarti nella mia acqua, immergiti nella vita di colui che è stato inviato da Dio per essere il servitore della tua gioia, la luce dei tuoi occhi, il senso compiuto della tua vita. Apri gli occhi e vedi!».
Nell’incontro con Gesù tutto cambia. Nulla resta come prima.
Cambia il rapporto con gli amici e i vicini, con quelli che si erano fatti un’immagine stereotipa delle persone: «Quello che stava seduto a chiedere l’elemosina». Quello che…

Ed egli diceva: «Sono io!».
L’espressione usata è quella per dire di Dio, del suo essere pieno di vita. E’ usata anche da Gesù, il Figlio del Padre. L’immagine del Figlio, che viene donata al nostro sguardo, illumina totalmente la persona, fino a farla diventare tutta fuoco, un roveto inestinguibile, un’esistenza impastata con la vita di Dio.
Cambia il rapporto con la religione. Di fronte all’uomo che, nell’incontro con Gesù, ha ricevuto il dono della luce, i custodi della religione ufficiale non riescono a gioire nel loro cuore. Accampano ragioni pretestuose, tradizioni fin troppo umane; danno a Gesù il titolo di trasgressore della Legge, e si chiudono sempre più in se stessi, negando la verità. Diventano ciechi. Per loro la Legge viene prima dell’uomo e ha dei fondamenti che non si possono nemmeno discutere. Chi agisce altrimenti è un peccatore, «non viene da Dio».
Il cieco che ha incontrato «l’uomo Gesù» è di parere diverso. Dice infatti: «E’ un profeta!». Gesù gli ha cambiato lo sguardo. Prima non vedeva nulla; ora riesce a discernere il vero dal falso, una religione che si pone a servizio dell’uomo per condurlo a Dio, da una religione che è solo un insieme di pratiche e di regole che hanno solo il potere di mantenerlo nell’ignoranza e nell’oscurità.

I Giudei chiamarono i genitori di colui che aveva recuperato la vista.
Questi genitori sono persone deboli, prigioniere del sistema, vittime di una religione che minaccia, intimidisce, condanna ed esclude.
«Come ora nostro figlio ci veda non lo sappiamo». Sanno tutto della nascita del loro figlio, della sua fatica a crescere e delle difficoltà da lui incontrate, ma non osano chiedere nulla della sua nuova vita, che cosa sia successo; non gli importa sapere chi sia stato a cambiargli l’esistenza. La paura di perdere qualcosa li rende ciechi. Ma la fede, quella che Gesù ci dona, non è rimanere chiusi in un recinto, in uno spazio protetto, ma è rischiare la propria esistenza lungo gli inesplorati sentieri della libertà. La fede è un orizzonte, non un limite.

«Una cosa io so: ero cieco e ora ci vedo».
La fede è un passaggio dalla paura alla responsabilità. E’ un vedere dentro le cose, dilatando continuamente l’orizzonte. Per il cieco guarito Gesù è un uomo, un profeta, uno che viene da Dio. Ora, abbandonato dalla sinagoga, è pronto per l’atto di fede più pieno. «Tu credi nel Figlio dell’uomo?». «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». «Lo hai visto: è colui che parla con te». Nel racconto della samaritana, alla quale Gesù ha detto tutto quello che aveva fatto, la dichiarazione: «Sono io, che parlo con te», è stata sufficiente per rispondere alla domanda sulla venuta del Messia. Per il cieco, l’espressione: «Lo hai visto; colui che parla con te è proprio lui» risponde meglio all’altra domanda essenziale: chi è il Figlio dell’uomo?
Egli è colui che ha il potere di dare, in nome di Dio, la vista a coloro che non vedono, in modo che, avendoli incontrati “fuori dal tempio”, possa dire loro: «Il Figlio, tu l’hai già veduto».

«Fratelli, un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce; ora il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità» (Ef 5,8-9).


Giorgio Scatto  
Fonte:MONASTERO MARANGO CAORLE (VE)

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