Umberto DE VANNA sdb,"I discepoli di Emmaus"

30 aprile 2017 | 3a Domenica di Pasqua - A | Omelia
I discepoli di Emmaus
Per cominciare
La Quaresima che prepara alla Pasqua ha una durata di 40 giorni; il tempo di Pasqua è di sette
settimane, cioè di 50 giorni. Sono giorni di gioia, un'occasione preziosa per riflettere sulla risurrezione di Gesù e sulla prima testimonianza della chiesa nascente. I due discepoli di Emmaus ci aiutano ad accogliere con maggior convinzione il Cristo risorto.
La parola di Dio

Atti 2,14a.22-33. Il giorno di Pentecoste è il giorno del riscatto dell'apostolo Pietro. A Gerusalemme c'è gran folla ed egli si alza insieme agli altri undici apostoli, prende la parola a voce alta e testimonia la risurrezione di Gesù.

1 Pietro 1,17-21. Il primo papa ricorda ai cristiani l'impegno della vita nuova, per essere pronti al giudizio del Padre. Dice: "Ricordatevi che siete stati riscattati con il sangue prezioso di Cristo". Ma li rassicura, dicendo che il Padre ha messo a fondamento della loro speranza la risurrezione di Gesù dai morti.

Luca 24,13-35. È il notissimo episodio dei discepoli di Emmaus. I due abbandonano Gerusalemme, nonostante le molte testimonianze sul ritorno alla vita di Gesù. Loro non credono alle parole delle donne e degli altri, ma Gesù si affianca a loro, li aiuta a leggere le Scritture e li rende suoi testimoni.
Riflettere

Il racconto dei discepoli di Emmaus nasce dalla raffinata arte narrativa di Luca. È uno degli episodi più belli della Pasqua di Cristo. È la parabola della scelta di fede, che è frutto di una faticosa ricerca, di un cammino che può essere difficile.
E di cammino si parla qui. Camminare è una delle parole-chiave della bibbia. Un camminare che è un crescere nello spirito. "Camminate nella verità", "Camminate nell'amore" sono espressioni care a Paolo e a Giovanni. Gesù ha detto con più profondità: "Camminate nella luce".
È il pomeriggio di Pasqua, dopo il grande sabato ebraico. Questi due discepoli non ce la fanno più e abbandonano tutto, tornano a casa loro. I loro dubbi e la loro diffidenza fanno così bene alla nostra fede. Non tanto perché ci ritroviamo in loro, quanto perché ci caricano di certezze sulla risurrezione di Gesù. Come avrebbero potuto inventarsi la risurrezione questi uomini che non vogliono credere e dubitato anche dopo che si è presentato risorto? Come loro, così Tommaso, ma anche Pietro e gli altri, che non si fidano delle donne e si spaventano, più che rallegrarsi.
I due discepoli hanno abbandonato il gruppo. La prova e la delusione spengono la generosità e l'amore. Ci si riprende ciò che si aveva donato, si bada ai fatti propri, alla propria felicità individuale, ai propri interessi. Hanno dato fiducia a Gesù, che è morto in croce. Hanno sentito che forse è avvenuto qualcosa di nuovo e di sorprendente, ma non vogliono essere nuovamente delusi. Paolo dice: "Se Cristo non fosse risorto noi saremmo i più miserabili degli uomini". Ed è esattamente quel che capita a questi due discepoli tentati dalla rassegnazione. Vogliono dimenticare e voltare pagina. Accontentarsi di una vita assolutamente feriale. È incredibile come si possa mettere tra parentesi tutto ciò che si visto e si è vissuto.
Gesù si affianca a loro nella maniera più normale. Non è "il maestro" autorevole della vita pubblica questa volta, ma un semplice "catechista" che aiuta i due discepoli a leggere le scritture e a capire il collegamento tra la parola e gli avvenimenti capitati a Gerusalemme in quei giorni.
Lo riconoscono nello spezzare il pane… in un gesto probabilmente abituale di Gesù con i discepoli. Un gesto semplice e umano che li aiuta a credere. Gesù è presente anche quando scompare ai loro occhi, e oggi, come allora, nello spezzare il pane della domenica. Fino alla fine del mondo.
Ed ecco che, stanchi com'erano - era ormai sera - si mettono a correre e ritornano sui loro passi. E la loro testimonianza si aggiunge a quella degli apostoli e di Pietro, a cui il Signore è apparso.

Attualizzare

Emmaus. "È curioso che gli studiosi non si siano ancora accordati sull'identificazione esatta di questo villaggio citato dall'evangelista Luca per una delle più famose apparizioni del Cristo risorto: tre o quattro località si contendono questo onore. Forse tale molteplicità potrebbe essere assunta a segno. Infatti la strada e il villaggio di Emmaus sono anche in ogni luogo dove i cristiani vivono la loro fede: l'incontro col Cristo risorto avviene infatti, per quei discepoli e per noi, quando la Scrittura è proclamata e ascoltata e quando il pane eucaristico è spezzato" (Gianfranco Ravasi).
Un tempo questa pagina di vangelo si leggeva il lunedì di Pasqua e la fuga dei due discepoli era vista come una scampagnata fuori porta, che si concludeva con l'incontro con il Risorto. In realtà niente di più serio della loro partenza.
Si aspettavano un Gesù diverso. "Noi speravamo che fosse lui a liberare il popolo di Israele!". Ma la vittoria di Gesù è su un altro versante. È la vittoria della croce ed è difficile da capire e da accettare. Anche dopo duemila anni. Di fronte alla prova personale, alla fatica, alle delusioni è difficile pensare che lì il Signore vince ed è presente risorto. Che la strada che ti fa soffrire è quella che ti salva.
Qualcuno ha scritto che Gino Strada, il famoso medico chirurgo fondatore di Emergensy, un'organizzazione di medici volontari presenti in molti paesi a soccorso delle vittime della guerra, da qualche tempo non sorride più, nemmeno quando viene intervistato alla televisione. Dopo aver assistito a tante guerre, è profondamente deluso e ormai non crede più che l'uomo sia capace di costruire la pace. È la stessa tristezza che ha preso i discepoli di Emmaus. Così simile a ciò che proviamo noi quando qualcosa ci delude.
Anche il nostro è a volte un cammino per una strada in terra battuta e assolata che da Gerusalemme conduce a Emmaus. Anche noi siamo in fuga, in ricerca, dubbiosi. Non crediamo più che le situazioni possano cambiare in meglio, che l'umanità possa una buona volta risorgere. Non ci fidiamo di ciò che dicono su Gesù gli altri, i cristiani, la chiesa, i preti…
Il Risorto si mette al nostro fianco: ci parla, ci dona il suo corpo e il suo sangue, è con noi, ci infonde la speranza nell'uomo, nella storia, nel presente e nel futuro.

Qualcuno però camminava al nostro fianco

"A chi di noi non è familiare l'albergo di Emmaus? Chi non ha camminato per questa strada, una sera in cui tutto sembrava perduto? Cristo era morto dentro di noi. Ce l'avevano preso: il mondo, i filosofi, e i sapienti, le nostre passioni. Non c'era più Gesù per noi, sulla terra. Andavamo per una strada e Qualcuno camminava al nostro fianco. Eravamo soli e non più soli. È sera. Ecco una porta spalancata, l'oscurità d'una stanza in cui la fiamma del focolare non rischiara che la terra battuta e fa danzare le ombre, Oh, pane spezzato! Oh frazione del pane consumato malgrado tanta miseria! "Resta con noi, Signore, perché si fa sera"" (François Mauriac).
Mostrati, Signore

A tutti i cercatori del tuo volto, mostrati, Signore; a tutti i pellegrini dell'assoluto, vieni incontro, Signore; con quanti si mettono in cammino e non sanno dove andare, cammina, Signore; affiancati e cammina con tutti i disperati sulle strade di Emmaus; e non offenderti se essi non sanno che sei tu ad andare con loro, tu che li rendi inquieti e incendi i loro cuori; non sanno che ti portano dentro: con loro fermati poiché si fa sera e la notte è buia e lunga, Signore (David Maria Turoldo).
1° maggio

Questa domenica pasquale spesso la viviamo a pochi giorni dalla tradizionale festa dei lavoratori. Le parole di Gesù: "Non vi lascerò orfani", e quelle di Pietro: "Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi", si fondono con un'epica storia di rivendicazioni e di lotte per la dignità e il lavoro. Niente di più attuale, soprattutto per i giovani. Se non tocca alla chiesa indicare le strade per risolvere i nuovi problemi occupazionali, c'è da domandarsi a chi tocca, dal momento che economisti, politici e sindacalisti hanno inventato per i nostri giovani in cerca di futuro soltanto varie e fantasiose forme di lavori senza garanzie: contratti di formazione, lavori a progetto, call center, job on call e simili precarietà, che non li metteranno mai nelle condizioni di lasciare la casa dei loro genitori e di iniziare una propria famiglia.
Oggi molto meno di ieri si accusa la chiesa di insensibilità nei confronti della società, ma i lavoratori delle fabbriche non smettono di pensare che la chiesa sia lontana dai problemi reali e dal mondo del lavoro. Così dice don Gianni Oderda, l'ultimo prete operaio della diocesi di Torino, che lavora alla Fiat Avio. Se non è una leggenda metropolitana, qualche anno fa si diceva che il cardinal Pellegrino auspicasse che fossero ordinati anche dei preti che non avessero fatto studi classici o universitari. Preti quindi più vicini alla gente comune e al mondo del lavoro. Lo stesso Giovanni Paolo II era orgoglioso di essere stato in gioventù un operaio e sostenne con entusiasmo le lotte sindacali in Polonia. Ma c'è ancora l'idea che a diventare cristiani e a sbilanciarsi nei confronti della chiesa si finisce per cambiare campo, per condurre una vita lontana dalle dure problematiche del vivere quotidiano.
Fonte:http://www.donbosco-torino.it/
 Umberto DE VANNA sdb

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