CARLA SPRINZELES, "Narrarono tutto ciò che avevano vissuto"

Commento su Atti 2,14.22-23; Luca 24,13-35
Carla Sprinzeles  
III Domenica di Pasqua (Anno A) (30/04/2017)
Vangelo: Lc 24,13-35 
Tutte le letture di oggi sono molto ricche.
Il Vangelo ci riporta al giorno di Pasqua, quando due discepoli tornano a casa ormai rassegnati alla
sconfitta, ma incontrano Gesù e ritornano con gioia a ritrovare gli amici e a riprendere il cammino con loro. Questo racconto ci dà la consapevolezza del compito che tutti noi abbiamo di sostenerci nel cammino di fede, spezzandoci il pane come fece quel giorno Gesù e facendo risuonare la parola, quella parola che narra la presenza di Dio nella storia degli uomini.
Ci sono dei giorni in cui, sfiduciati, ci allontaniamo dai nostri amici, ci rinchiudiamo in noi stessi, ci illudiamo di trovare nella nostra casa, separati dagli altri, la salvezza. E' proprio in queste situazioni che scopriamo l'insufficienza della nostra vita, il bisogno di aprirci al dono che ci perviene attraverso i fratelli che incontriamo.
I due discepoli di Emmaus "narrarono tutto ciò che avevano vissuto": comunicano la loro esperienza, che consiste nell'accogliere una forza nuova, un'energia che prima non avevano. Dalla sfiducia per cui avevano abbandonato gli amici, tornano pieni di entusiasmo, dalla paura per cui si allontanavano dalla città, tornano in città spavaldi e raccontano ciò che avevano vissuto. Questo cambiamento è avvenuto per un incontro, un incontro che si svolge, potremmo dire attraverso i riti, lo stesso rito che celebriamo anche noi: il richiamo alle Scritture e lo spezzare il pane.
Noi spesso cadiamo nella tentazione di metterci al centro, come questi due discepoli che si allontanavano dagli amici: erano centrati su di sé, sulle loro paure, sulla loro angoscia, sulla loro delusione: "speravamo". Proprio per questo non riconoscono che Gesù era accanto a loro.
ATTI 2, 14; 22-23
La prima lettura ci fa ascoltare l'annuncio di Pietro, a nome degli altri apostoli, nel giorno di Pentecoste. Da qui parte l'annuncio della testimonianza: essa ci rivela il senso di ciò che ha fatto Gesù nel corso della sua esistenza terrena e ci stimola a riconoscere l'agire di Dio anche ai nostri giorni.
Se l'evento di Pentecoste ha un valore programmatico per la Chiesa, tale valore è da attribuirsi anche al discorso di Pietro, che è il primo esempio di predicazione cristiana. Esso intende rispondere alla domanda posta dai presenti: "Che cosa significa questo?", spiegando non il contenuto del discorso in lingue, bensì l'avvenimento e la sua origine.
Il discorso di Pietro è di grande ampiezza e profondità, per cui non può essere qui approfondito in tutti i suoi aspetti, ma annotiamo alcuni elementi fondamentali. Anzitutto l'effusione dello Spirito rende capaci di parlare di Gesù Cristo e del suo Dio in modo autentico ed efficace. Il vento e il fuoco non sono manifestazioni spettacolari, ma hanno lo scopo di orientare a Cristo e al Dio in lui rivelato! Pietro dichiara che il compito profetico di cui è rivestito Israele è assunto dai discepoli di Gesù. Nel corpo principale del discorso di Pietro proclama la resurrezione di Gesù. Il discorso di Pietro è concentrato il mistero del Cristo risorto e del nuovo linguaggio su Dio che ne scaturisce. Infatti, d'ora in poi, Dio è colui che ha risuscitato Gesù e che ha riconosciuto il Crocifisso come il suo inviato, il suo Messia. Dio si è riconosciuto nel Crocifisso, in quell'uomo che gli ascoltatori di Pietro hanno rifiutato.
E' paradossale questo linguaggio, in quanto molti dei presenti potrebbero obiettare di non essere stati presenti agli eventi della morte di Gesù e non sarebbero coinvolti. Tuttavia il linguaggio di Pietro è plausibile perché la morte di Gesù ci riguarda tutti.
La storia di Gesù è al centro dell'annuncio cristiano, perché non viene annullata la resurrezione, ma compresa pienamente alla luce della Pasqua. In secondo luogo si parla di Gesù citando le Scritture, in quanto rivelazione del disegno di Dio: il piano di Dio per il suo popolo si compie in Gesù. Al rifiuto degli uomini si oppone l'iniziativa di Dio, che risuscita Gesù. Il mistero di Cristo annunciato da Pietro è sorgente di trasformazione per gli uomini, perché con la risurrezione Cristo è costituito Signore e datore dello Spirito, che è appunto la forza che trasforma la vita.
LUCA 24, 13-35
Il Vangelo di oggi traccia il cammino di fede che noi compiamo nella nostra vita, con le sue tappe principali. Probabilmente i due discepoli di Emmaus erano marito e moglie, che tornavano a casa dopo l'esperienza vissuta a Gerusalemme. Erano in preda alla sfiducia, allo sconforto, ad un senso di fallimento. In realtà il cammino di fede era già cominciato per loro con l'incontro di Gesù: con lui avevano vissuto esperienze, ma non ancora esperienze di autentica fede.
"Stolti e tardi di cuore!", dice Gesù ai due che camminavano tristi sulla strada della loro vita. E' l'unica volta nei vangeli in cui il Signore usa queste invettive, perché ha vinto la morte, ha vinto la negatività e loro non se ne accorgono. La coppia cammina triste e delusa, cercando di diluire l'angoscia in un flusso di parole: "Discorrevano e discutevano", senza cercare di capire il senso degli avvenimenti terribili appena successi, senza ricordare nemmeno che erano stati annunciati non solo da Gesù stesso ma anche dalla Scrittura.
Hanno già seppellito il loro sogno di una vita liberata, non hanno neanche osato credere al racconto delle donne, tornano a casa per riprendere la vita di prima, appesantiti dall'amarezza di chi si sente ingannato.
"Stolti e tardi di cuore", grida il Risorto alle nostre tristezze sterili, "non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella gloria?" E noi, che siamo il suo corpo, non dobbiamo sopportare il peso della nostra "stoltezza" e di quella degli altri? Coloro che aspettavano la liberazione d'Israele non si erano accorti che il Signore li aveva liberati dalla morte.
Da quando Gesù è risorto, ogni separazione è un passo verso la libertà, ogni dolore è un varco verso la crescita, persino ogni peccato riconosciuto è un appuntamento con la sua misericordia, ognicondivisione è presenza del Risorto tra noi.
I bambini non hanno paura della morte. "Ti voglio così bene, mamma, che vorrei che andessi a vedere Gesù", diceva Teresa di Lisieux a sua madre. Due ragazzi stupivano per la loro allegria, eppure lui era handicappato, i loro genitori erano morti quando lei era ancora piccola ed erano rimasti soli. Se credessimo davvero che siamo a immagine del Bene, che la morte è vinta e con lei ogni separazione e tristezza, ogni smacco e peccato, sapremmo riconoscere il Bene nascosto in ogni situazione. Ma siamo soffocati dal peso dei sensi di colpa che ci siamo addossati. Non pensiamo che ci potrebbero capitare delle cose belle. Non crediamo al racconto delle donne che affermano che la pietra del sepolcro è rotolata via e che lui è vivo.
Non immaginiamo che siamo capaci di produrre del bene, di scoprire sotto il fango una sorgente limpida.
Amici, affidiamo al Risorto le nostre perplessità, le nostre paure, la tristezza e lo scoraggiamento, lui ci rinfranca e ci dona la capacità di vedere il Bene in noi e negli altri. Portiamo anche ai nostri fratelli il messaggio della misericordia e della vita che il Risorto offre a tutti per rinfrancarci e rimetterci sulla via.

Fonte:http://www.qumran2.net

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