D. Gianni Mazzali SDB, "TRIONFO E CROCE"

09 aprile 2017 | 6a Domenica di Quaresima: Le Palme - A | Omelia
TRIONFO E CROCE

Una cultura avvezza ai trionfi ed alle conquiste tende ad esorcizzare la propria fragilità, le incertezze e i vuoti che comunque, nonostante un progresso che sembra inarrestabile, provocano ansietà e insicurezza. Ci si rende conto che la tecnica progredisce in modo inarrestabile, talvolta a scapito di una pacata e profonda attenzione ai significati profondi del vivere, ai valori irrinunciabili che ciascuno di noi avverte e che sembrano essere ormai terra di nessuno. Ci soccorre in questa tensione della nostra esistenza vera la Parola forte ed esigente della Domenica delle Palme. E' giorno di trionfo, di grida entusiaste, di accoglienza festosa di un "figlio" da tutti riconosciuto. Chi dubiterebbe oggi che le promesse antiche si siano avverate? Eppure è un trionfo che il "figlio di Davide" completerà sul patibolo di una croce. Non è una totale sconfessione, non è una parola crudele. E' una verità profonda che svela noi a noi stessi. E' quella sintesi di gloria e di sconfitta, di morte e di vita, di finito e di eterno che illumina il mistero dell'esistenza.

UN SERVO DI DIO PER LA SALVEZZA DI TUTTI

Il secondo autore del libro di Isaia ci offre una pagina che non può che essere letta come una preghiera, un salmo di supplica, di sofferenza, di totale affidamento. Gli studiosi lo chiamano il terzo carme del "servo sofferente". Sentiamo che le varie espressioni e le diverse tonalità spirituali parlano alla nostra anima, la raggiungono nel profondo. C'è un riconoscimento del protagonismo, della libera iniziativa di Dio nelle parole ispirate del profeta: "Il Signore Dio mi ha dato una lingua da discepolo, perché io sappia indirizzare una parola allo sfiduciato". Dio ha chiamato il suo servo, come chiama ciascuno di noi, sia che accettiamo il suo protagonismo sia che lo rifiutiamo categoricamente in nome della nostra libertà ed autonomia. Per essere noi stessi in pienezza Dio ci chiama ad essere per gli altri. Il profeta ascolta prima e poi parla per il vero bene degli altri per aiutarli a vivere la libertà. Il servo di Yahweh non può essere che l'uomo per gli altri. Il profeta incarna questo suo uscire da sé stesso, accettando, senza recriminare, il rifiuto e l'opposizione di tanti, forse soprattutto dei capi del popolo: "Ho presentato il mio dorso ai flagellatori, le mie guance a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi". Non è una parola popolare, accattivante, a buon mercato quella dell'uomo di Dio. Dio gli chiede il totale distacco da sé stesso e dal proprio successo. Egli parla ed agisce per conto di Dio e per la salvezza vera, autentica di tutti. La sofferenza che gli viene inflitta è la garanzia della sua trasparenza e rettitudine. La sua forza non è il successo, l'approvazione, il consenso, ma la vicinanza di Dio a cui si affida totalmente: "Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto svergognato, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare confuso". Nell'annullamento dell'io del servo si staglia il primato di Dio, che solo può salvare l'uomo da se stesso.

L'UMILIAZIONE TOTALE DI DIO NEL SERVO

Forse quanto Paolo ci riferisce nel secondo capitolo della lettera ai Filippesi sull'umiliazione di Cristo costituisce il testo di un inno, di una preghiera anteriore, come composizione, a Paolo stesso. Senza alcuna fatica o forzatura troviamo una corrispondenza piena con il brano del Deutero Isaia. Il Cristo si è totalmente annullato nella sua identità, si è svuotato di ogni segno o aspetto esteriore che avrebbe potuto rivelare la sua identità divina. Gesù per coloro che lo hanno frequentato da vicino e per chi lo ha visto ed incontrato, è stato considerato un uomo come tutti gli altri. C'è un "ateismo" in Gesù che ci colpisce e ci provoca. Ha accettato di non essere conosciuto come Dio. Non solo, ma sulla croce ha gridato, come le parole del salmo 22, tutta la sua solitudine, la tragedia del suo annullamento, del suo svuotamento: "Dio mio, Dio mio, perché li hai abbandonato?". In Gesù, l'uomo per gli altri, appeso ad una croce, Dio ha mostrato tutta la debolezza dell'uomo abbandonato a sé stesso, oppresso dall'io della ribellione e dell'orgoglio. Il totale annullamento di Gesù rappresenta la distanza da Dio, la devastazione che il peccato, il male opera in noi. Gesù, ce lo dice lo stesso Paolo, si è fatto "peccato" per tutti noi.

LA CROCE DELLA FEDE

Per chi non si è stancato di camminare, di procedere nel cammino della vita, alla ricerca di un significato profondo di verità e di amore, la contemplazione della Croce di Gesù diventa una testimonianza limpida che suscita la fede. In ginocchio di fronte a Gesù crocifisso il nostro peregrinare raggiunge la sua meta. Non siamo soli, ci accostiamo al centurione romano che ha seguito tutte le fasi del cammino di Gesù verso il Calvario. Un soldato, un uomo pragmatico, attorniato dal suo drappello. Di quelle morti ne ha già viste tante, è abituato a svolgere il suo mestiere, il suo ruolo. Questa volta i soldati sono sconvolti da quanto di unico hanno visto, da ciò che succede attorno a loro e reagiscono: "Davvero costui era Figlio di Dio". Ci inginocchiamo anche noi e sentiamo che la Croce di Gesù rinnova la nostra fede.

"L'Agnello c'insegna la fortezza:
l'Umiliato ci dà lezioni di dignità:
il Condannato esalta la giustizia:
il Morente conferma la vita:
il Crocifisso prepara la gloria".

(Primo Mazzolari, Tempo di credere, 1941)

Don Gianni MAZZALI sdb
 Fonte:  www.donbosco-torino.it

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