Don Marco Ceccarelli Pasqua di Risurrezione “A”

Pasqua di Risurrezione “A” – 16 Aprile 2017 I lettura: At 10,34.37-43 II lettura: Col 3,1-4 (opp. 1Cor 5,6-8) Vangelo: Gv 20,1-9 (opp. Mt 28,1-10) - Testi di riferimento: Es 12,5-11; Sal 16,10; 110,1; Is 25,8; 26,19; 53,7; Mc 14,12; 16,19; Lc 1,74; 24,46; Gv 1,29; 8,12; 11,25-26; 19,14.36; At 2,24-27; 13,34-37; 26,17-18.23; Rm 5,17; 6,3-14.22; 8,11.34; 1Cor 15,4.54-55; 2Cor 4,10; 13,4; Gal 2,19-20; Ef 1,20; 5,14; Col 2,12; 1Ts 1,9; 2Tm 1,10-11; 2,11-12; Eb 2,14-15; 9,14; 10,12; 1Pt 1,18-19; 2,16; 1Gv 1,2.5-7; Ap 5,6 1.
La Pasqua di “Risurrezione”. - Questo giorno – il terzo dei tre giorni santi del triduo pasquale della
passione, morte e risurrezione di Cristo che costituisce il centro della vita cristiana – celebra l’evento unico ed esclusivo della vittoria sulla morte di Gesù. Tale vittoria – coronata dalla sua esaltazione alla destra del Padre – costituisce il punto conclusivo della sua pasqua compiuta, appunto, nei tre giorni del triduo, e con la quale porta a compimento quanto significato nella pasqua ebraica. - La Pasqua antica. La Pasqua ebraica ci è descritta nel suo nascere dal libro dell’Esodo. Gli israeliti avevano verso il Faraone un rapporto di schiavitù (la parola usata è ‘abodah: Es 1,13-14; 5,9.11.18; 6,5-6.9; ecc.). Mosè chiede al Faraone di lasciare andare Israele perché possa rendere a Jahvè un servizio (anche in questo caso la parola è ‘abodah: Es 3,12; 4,23; 7,16.26; 8,20; 9,1.13; 10,3.7.8.11.24.26; 12,31). Gli ebrei erano considerati proprietà del Faraone ed egli ne disponeva come voleva. Jahvè dunque chiama gli ebrei non ad una libertà nel senso di una completa autonomia, ma a passare da un tipo di ‘abodah, quello verso il Faraone, ad un altro, quello verso di Lui. Ciò implicava evidentemente anche un cambio di proprietà. Per questo il Faraone non voleva acconsentire. Il momento chiave di questo passaggio dall’essere proprietà del Faraone all’esserlo del Signore è la celebrazione della prima Pasqua, descritta in Es 12. Il sangue dell’agnello sparso sugli stipiti della casa, quel sangue che permetteva la protezione dallo sterminio dei primogeniti, segna il passaggio di appartenenza al Signore. Mentre tutto ciò che appartiene al Faraone viene colpito, le case degli israeliti no, perché ormai essi, grazie al sangue dell’agnello, non sono più sua proprietà, anche se ancora si trovano fisicamente in Egitto. Il passaggio del mar Rosso segnerà il compimento della Pasqua, il passaggio dal servizio al Faraone a quello verso Dio. - Il servizio del popolo a Jahvè si concretizzerà nella celebrazione e nel sacrificio di Pesach (Pasqua) cioè dell’agnello pasquale (Es 12,27; 13,4-5). Di anno in anno Israele deve celebrare questa ‘abodah della Pasqua (Es 12,25), e quando i figli chiederanno ai padri che significa questa ‘abodah essi risponderanno che si tratta del sacrificio della Pasqua (Es 12,25-27), cioè dell’agnello pasquale. La Pasqua è l’agnello pasquale (Es 12,11). Il rito pasquale, che ha come fulcro il sacrificio dell’agnello che salva dalla morte e libera dalla schiavitù, è il “servizio” che Israele offre a Dio (Es 13,5), e che esprime il rapporto di servizio che ora ha con Jahvè (e non più con il Faraone). La pasqua che continuerà ad essere celebrata annualmente come memoriale di questo passaggio rimarrà tuttavia insufficiente, bisognosa di un suo compimento più perfetto. L’Egitto e il Faraone rimangono una realtà, per così dire, ultratemporale, che continua a far sentire il suo persistente influsso in tutti i tempi. 2. La nuova Pasqua. - «Il nostro agnello pasquale è stato immolato: Cristo» (1Cor 5,7). Come fu per il primo agnello pasquale, così anche quello nuovo e definitivo, produce un effetto tangibile in coloro che celebrano la sua pasqua. Gesù, offrendosi in croce con il suo corpo e il suo sangue, di cui ci ha lasciato il memoriale nell’ultima cena, è il vero agnello pasquale che ci libera dall’appartenenza al Faraone per farci servi di Dio. «Quando Gesù, prima della passione, dice il suo “consacro me stesso” (Gv 17,19) allora egli si sottrae al mondo profano e si consegna alla santità consumante di Dio per lo “sgozzamento” (Ap 5,6.9.12; 13,8), come “sacrificio di odore gradito” (Ef 5,2)» (H. U. von Balthasar). È grazie  a questo suo “culto” che noi possiamo rendere a Dio il culto spirituale (Rm 12,2). Come si afferma in 1Pt 1,18-19: «Non per mezzo di cose corruttibili, argento o oro, siete stati riscattati dalla vostra vuota condotta, … ma per il sangue prezioso di Cristo come di agnello senza macchia né colpa». La pasqua di Cristo riscatta gli uomini, cioè li libera dalla loro condizione di schiavitù al demonio (Eb 2,14-15) per farli passare al servizio di Dio. Cristo risorto permette all’umanità di rendere culto all’unico vero Dio, di lasciare il servizio agli idoli per servire il Dio vivente (1Ts 1,9; Eb 9,14). Rimane tuttavia sempre presente l’esistenza di un Faraone che non rinuncia alla perdita dei suoi servitori. Rimane la possibilità di usare male la libertà che Cristo ci ha ottenuto e di diventare di nuovo schiavi (Gal 5,1). Raggiungere la libertà consiste nel ritornare a quella terra del servizio a Dio da cui si è stati cacciati a causa del peccato. La libertà è la capacità di non servire più le proprie passioni, ma di essere al servizio di Dio e degli altri (Gal 5,13; 1Pt 2,16). - Non si può servire a due padroni (Mt 6,24). La libertà non consiste nell’assenza di un servizio, ma nell’aver trovato il giusto referente del servizio. Per poter fare Pasqua, cioè passare al servizio verso Dio, occorre rinunciare al servizio verso altri padroni. L’illusione di poter servire Dio e allo stesso tempo continuare a servire le proprie concupiscenze è assolutamente fallace. Per questo occorre rinunciare al lievito vecchio di cattiveria e malvagità per diventare pasta nuova (1Cor 5,7-8). Occorre rinunciare, seriamente, a Satana e a tutte le sue seduzioni, come ogni anno la veglia pasquale ci invita a fare. Se il Figlio dell’uomo ci libererà saremo veramente liberi (Gv 8,36). 3. La vittoria sulla morte. - «Cristo ha distrutto la morte e ha portato alla luce la vita» (2Tm 1,10). Se la passione di Cristo ha qualcosa di unico, di “speciale”, così anche la sua risurrezione. Essa non è semplicemente il lieto fine di una storia tragica. Il mistero della risurrezione di Gesù non può essere disgiunto da quello della sua passione. Se Dio ha risuscitato proprio «quel Gesù che voi avete crocifisso» (At 2,36), e non un altro, è perché c’è una stretta relazione fra i due eventi. E la relazione sta nel fatto che con la sua passione Gesù ha agito come agnello pasquale, caricandosi del peccato del mondo per distruggerlo sulla croce. E siccome la morte è l’effetto del peccato, avendo vinto il peccato Gesù vince anche la morte. E la vince definitivamente. Gesù di Nazareth non è semplicemente tornato in vita dopo essere morto – questo era avvenuto anche per Lazzaro. La “specialità” della risurrezione di Cristo è che con essa egli ha vinto la morte per sempre. La Pasqua di Risurrezione annuncia al mondo la vittoria sul peccato e sulla morte, poiché colui che era appeso sulla croce come agnello pasquale che toglie i peccati del mondo ora è vivo e non muore più (Ap 5,6); la morte non ha più potere su di lui (Rm 6,9). Dopo duemila anni Cristo è ancora vivo e il suo corpo incorrotto (At 13,34.37). Ciò significa che la vittoria sulla morte è definitiva. La morte non ha più possibilità di prevalere. Nonostante tutte le apparenze, la morte non avrà mai più l’ultima parola, perché è stata sconfitta per sempre. Per questo Cristo vive “nei secoli dei secoli” e “ha le chiavi della morte e degli inferi” (Ap 1,18). - La vittoria di Cristo sulla morte ci viene donata nel battesimo, nella vita nuova che egli ci dona attraverso il suo Spirito. La vita di Cristo donata nel battesimo ci permette di essere uomini nuovi, risorti con Cristo, e di camminare in una vita nuova (Rm 6,4). La risurrezione di Gesù, anzi la sua vittoria sulla morte, diventa efficace per noi per il fatto che possiamo condurre una vita nuova. Ci viene data la possibilità di amarci gli uni gli altri come lui ci ha amato e di non essere più nella morte, perché “chi non ama è nella morte; ma noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita perché amiamo i fratelli” (1Gv 3,14). La risurrezione di Gesù diventa una forza che continua ad operare nell’esistenza dei cristiani. Chi crede in lui diventa partecipe della potenza della sua risurrezione (Fil 3,10). È la potenza della risurrezione di Cristo che permette di amarci come lui ci ha amato. È la potenza della risurrezione di Cristo che ha permesso alla Chiesa di mantenersi viva per duemila anni, che ha permesso a infinite schiere di cristiani di morire per Cristo, che ha prodotto moltitudini di santi, di apostoli, di persone che hanno rinunciato a vivere per se stessi donando la vita a Dio e ai fratelli. Chi partecipa della potenza della risurrezione ha vinto la paura della morte ed è veramente libero. Cristo ci chiama a diventare partecipi di questa eredità che lui ci ha guadagnato, cioè la vita nuova di figli di Dio, la natura di Dio, che mi permette di vivere non più nella carne, ma nello Spirito (Rm 8); cosicché se lo Spirito di Cristo abita in noi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai nostri corpi mortali.

Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it

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