Don Paolo Zamengo, "I giorni della prova"

I giorni della prova      Mt 26, 14-27, 66
Si apre una settimana di emozioni forti e incalzanti. Tutti attorno alla croce. C’è chi fugge la croce,
chi la subisce, chi l’abbraccia. Gesù passa dagli osanna al “sia crocifisso”, urlati dalla stessa gente di Gerusalemme in festa o sobillata dai soliti vecchi burattinai.

Nel corso della cena pasquale Gesù lava i piedi agli apostoli per educarli al grembiule, servizio umile e generoso e si consegna loro come eucarestia.

Nel chiarore di una notte di luna piena che illumina i volti smarriti dei suoi primi concelebranti, Gesù si trova a vegliare in solitudine, tra sudore di sangue e senza alcun conforto. È il preludio della sconfessione di Pietro, preannuncio della fuga precipitosa del resto del gruppo, che la dice lunga sulla superficialità della loro sequela.

Poco dopo il bacio ipocrita di Giuda e il successivo arresto, e poi l’assurda notte di interrogativi segnati dalla tracotanza di chi ha fatto della religione un potere e della ferocia di chi ha fatto della violenza un mestiere. Infine la condanna a morte estorta a Pilato cui fa seguito il barbaro e umiliante patibolo della croce.

Ma a rattristare Gesù sarà l’abbandono dei suoi che sapeva essere fragili ma che si rivelano ancora più impreparati a sostenere quei tragici eventi. Li aveva scelti dopo una notte di preghiera. E in una notte tutto sfuma come neve al sole. Proprio in quella notte uno di loro guida la congiura e Pietro finge di non conoscerlo mentre gli altri non tardano a tagliare la corda. Non facciamo fatica ad ammettere che nel momento cruciale i più vicini si sono dimostrati i più lontani ed estranei.

Sul palcoscenico della passione si avvicenda il mondo intero, dai figli di Abramo ai seguaci della nuova religione, dai romani invasori ai loro soldati pagati per eseguire le sentenze crudeli, dai pellegrini che salgono al tempio per celebrare la loro pasqua alla folla volubile e terribile nelle sue pretese, da un gruppo di donne poche e ardimentose ai passanti estranei e solo curiosi, quasi divertiti ad avere gratis uno spettacolo singolare.

Tra questi passanti ed estranei c’è un uomo di nome Simone. Non è un discepolo di Gesù. Viene da Cirene, città della Libia, vive sulla strada e proprio per questo incrocia la storia di quel condannato a morte che gli cambierà l’esistenza.

I farisei non vogliono contaminarsi con quel condannato a morte e chiedono a lui, non ebreo, di aiutare quello sventurato a portare la croce. Simone non può rifiutarsi. È privo di identità e quindi è uno non conta. È uno dei tanti poveri del mondo, costretti, loro malgrado, a portare il peso della violenza altrui.  Simone si carica la croce di Gesù e vive l’imprevista avventura come un peso non voluto e cercato. Solo più tardi capirà la grandezza del suo gesto.

Coloro che hanno il coraggio di restare sulla strada, i cirenei, incrociano, prima o poi, lo sguardo di Gesù sofferente. È in costante aumento la schiera dei cirenei. Hanno il volto dei popoli alla deriva che pagano, a nome dei ricchi, un prezzo salato per entrare nel banchetto dell’umanità.

Questi giorni della prova e dello sbando sono anche i giorni della prossimità e della consolazione. Maria, la madre, e il gruppo delle donne coraggiose accompagnano senza tentennamenti Gesù fin sotto la croce. Saranno loro, con Giovanni, le testimoni oculari della sua morte.

Quel gruppetto sparuto e temerario, in silenziosa contemplazione, è la chiesa che nasce ai piedi della croce. E come dal fianco del primo uomo addormentato nasce Eva la prima donna, la madre dei viventi, così dalla ferità d’amore di Gesù, nuovo Adamo, nasce la nuova umanità.

Del vangelo sono rimaste solo le donne. I discepoli, forti e, a volte arroganti, sono scomparsi. Resta solo chi ha la forza e la sapienza di Dio e la debolezza e la divina stupidità dell’amore.

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