don Walter Magni, "Noi siamo suo popolo e gregge del suo pascolo"

Noi siamo suo popolo e gregge del suo pascolo
don Walter Magni
III Domenica di Pasqua (Anno A) (30/04/2017)
Vangelo: Lc 24,13-35
I vangeli delle prime domeniche di Pasqua ci hanno raccontato l'incontro di Gesù risorto con Maria
Maddalena e gli Undici discepoli. La liturgia, a partire da questa domenica (III di Pasqua, 30 aprile 2017), vuole aiutarci ad approfondire il significato di questo fatto servendosi di alcune importanti immagini bibliche. La prima ce la offre Giovanni Battista che definisce Gesù: l'"Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo".
Chi è Gesù?
Giovanni Battista chiama Gesù Agnello di Dio all'inizio del IV Vangelo, dimostrando d'essere già a conoscenza dell'esito pasquale di Gesù. Della Sua morte e resurrezione. Questo conferma un dato che ritorna in tutti i Vangeli: il fatto che siano stati proclamati e scritti, anche quelli che ci narrano dell'infanzia di Gesù, nell'orizzonte della Pasqua del Signore. Di fatto Giovanni Battista compie un passaggio importante: dall'alta considerazione sacrificale dell'agnello secondo la Pasqua ebraica alla identificazione di questo stesso agnello con Gesù, Agnello di Dio. Operazione che Gesù stesso metterà in atto durante l'Ultima Cena.
Un'esperienza che facciamo anche noi, quando, usando certe parole ci capita di accorgerci - con l'andare del tempo e in ragione di certe particolari esperienze - che si si arricchiscono di nuovi significati. Un accumulo di significati che attesta la vitalità del nostro linguaggio, che altrimenti rimarrebbe lettera morta e vuota. Giovanni Battista fa sicuramente un cammino tutto all'interno del linguaggio biblico, a riguardo della figura dell'agnello del sacrificio e dell'agnello pasquale. Consapevole soprattutto che si trattava però di un passaggio spirituale. Dovuto allo Spirito, come lui stesso dice: "ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui".
"Io non lo conoscevo"
Questo processo di identificazione dell'agnello pasquale ebraico con la Pasqua di Gesù si avvia però da uno stato iniziale di profonda ignoranza. Giovanni Battista afferma per ben due volte: "Io non lo conoscevo". Giovanni cioè era consapevole di non conoscere l'identità profonda di Gesù. Per questo si è lasciato guidare, si è lasciato prendere per mano dallo Spirito santo. Da solo non sarebbe mai arrivato a tanto, dicendo ad alta voce: "Ecco l'Agnello di Dio" che Si fa carico dei peccati del mondo. Come? Anzitutto rileggendo il senso della sua predicazione, unita al segno di quel battesimo di penitenza verso il quale tanti accorrevano: "Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare nell'acqua, perché egli fosse manifestato a Israele". Giovanni rilegge la sua vicenda di predicatore appassionato e di battezzatore instancabile, accorgendosi che la ragione profonda che muoveva tutta quella gente a chiedere perdono e di misericordia era proprio Gesù. Per questo allora è lui che Gli spiana la strada. Sino a quando Gesù gli compare davanti, perché voleva essere battezzato anche Lui: "ma proprio colui che mi ha inviato a battezzare nell'acqua mi disse: "Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito, è lui che battezza nello Spirito Santo". Giovanni Battista arriva a percepire chi è Gesù rileggendo i segni che Dio aveva disseminato nella sua vita. Scavando e alimentandosi della parola dei profeti, della Parola di Dio, come Maria, la Madre di Gesù.
"Io ho visto e ho testimoniato"
Quando il Battista, dunque, dice che Gesù è davvero l'Agnello di Dio, esprime certo un significato compiuto, fatto di parole. Ma la vita è più grande. La vita, nel suo significato ultimo, si ritrova in una consegna di sé che porta oltre le parole che la descrivono e la identificano. Come anche è capitato a Gesù che, dopo tanto parlare, spiegare e dimostrare e discutere, "avendo amato i suoi li amò sino alla fine" (Gv 13,1). Giungendo ad una fine che si consuma nell'estrema testimonianza del dono di Sé. Là dove la vita si consegna e si dona. Come "agnello muto davanti ai suoi tosatori", direbbe Isaia; come Gesù, l'Agnello che a Pasqua semplicemente ci invita non tanto a dire parole, ma a declinare nella nostra vita, concretamente, il Suo stesso dono: "fate questo in memoria di me". Anche Giovanni Battista, prossimo ormai alla morte, dal carcere aveva osato esporre a Gesù una domanda estrema: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo attendere un altro?" (Mt 11,2ss) e poi semplicemente va incontro alla sua morte. Le parole prendono luce o ombra secondo gli accadimenti della vita, secondo certe emozioni del cuore. Solo il dono di sé ha la forza di una testimonianza convincente. Come lo stesso Giovanni aveva affermato: "Io ho visto e ho testimoniato che questi è il Figlio di Dio".
Quanti altri agnelli nel mondo, ancora oggi, con la loro stessa vita nnocente, con la loro tenera e fragile esistenza - spesso martoriata, talvolta offerta in modo consapevole, ma molto più spesso semplicemente esposta alla cattiveria che avita la nostra storia - continuano a proclamare a loro modo al mondo la grande testimonianza pasquale di Gesù, "Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo".

Fonte:http://www.qumran2.net/

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