ERMETE TESSORE SDB, "NOI SPERAVAMO CHE FOSSE LUI A LIBERARCI..."

30 aprile 2017 | 3a Domenica di Pasqua - A | Omelia
NOI SPERAVAMO CHE FOSSE LUI A LIBERARCI...
L'odierno brano dell'evangelista Luca è denso di significati quanto mai attuali. Descrive un fatto
piuttosto banale. Due discepoli di Gesù, che hanno abbandonato tutto e tutti per seguirLo, se ne ritornano a casa con le pive nel sacco, scornati nelle aspettative e delusi dalla vita.
Sotto il sole battente sul sentiero che collega Gerusalemme ad Emmaus, discutono, danno sfogo alle loro frustrazioni con il cuore che trabocca tristezza. Avevano puntato tutte le loro speranze su Gesù. Tutto era svanito nel nulla, annientato, lasciando spazio solo ad un devastante senso di frustrazione. Il loro non è un andare, ma un fuggire pieno di paura.
La morte di Cristo a cui, da lontano e ben mimetizzati, avevano assistito, li ha terrorizzati per la crudeltà disumana dispiegata. Gli apostoli, che avrebbero dovuto essere il loro sostegno, sono apparsi ai loro occhi dei deboli terrorizzati. Non se la sentono di rimanere in Gerusalemme. I sicuri sberleffi dei loro compaesani sono più facilmente gestibili degli oscuri pericoli della capitale. Con il cuore in tempesta, tipico di tutti coloro che hanno provato una cocente delusione, riprendono l'amaro cammino del ritorno.

Il retrogusto che provano ha il ripugnante sapore del venerdì santo. Il paesaggio semidesertico che li accompagna accentua ulteriormente lo scoramento. Il loro passo accelerato dalla paura li porta a raggiungere un altro anonimo viandante che pazientemente si sorbisce le lamentele dei due. Li ascolta con attenzione, si dimostra ben disposto nei loro riguardi. Andando si crea un feeling che dà vita ad un conversare sereno ma franco. Lo sconosciuto non si lascia commuovere davanti ai loro piagnistei ma li fulmina con uno "stolti e duri di cuore a credere".
La cosa li coinvolge tanto da spingerli ad insistere perché lo sconosciuto si fermi con loro "perché si fa sera e il giorno già volge al declino". Gesù si ferma. Per loro è la fine delle loro paturnie. Non fa prediche, ma ripete gesti noti. Sono gesti gravidi di vita e di speranza che non lasciano spazio alla rassegnazione piagnucolosa.

Sanno di accoglienza (fu a tavola con loro); hanno il buono e caldo sapore del pane (prese il pane); sono arricchiti dalla preghiera (disse la benedizione); sono solidali e condivisi (lo spezzò e lo diede loro). Questi segni, semplici e naturali, compiono il miracolo di far riaprire gli occhi e di riaccendere la speranza.
I dubbi si sciolgono, le paure svaniscono, le forze ritornano. I due, ormai ex impauriti discepoli, con il cuore che arde ingranano la retromarcia e ripercorrono di corsa il tratto di strada che li separa dal Cenacolo per poter andare a confermare che il loro Gesù non è morto, ma vivo.

La Resurrezione non è un'allucinazione delle donne ma una realtà storica che loro hanno esperimentato personalmente.
La situazione psicologica dei due discepoli di Emmaus è molto simile alla nostra. Seguiamo Gesù, ma siamo inclini alla tristezza esistenziale.
Diciamo di credere in Lui, ma le nostre certezze le cerchiamo tra gli idoli che popolano il mondo di oggi. Le nostre facce portano più i segni della rassegnazione che della resurrezione. A questo dato di fatto cerchiamo di reagire più con la superstizione che con la vera fede.

Pratichiamo più il culto che la carità. Frequentiamo più i santuari, soprattutto quelli più lontani e turistici, che gli ospedali. Preferiamo essere intruppati più nelle processioni che nelle file del volontariato gratuito e solidale. Abbiamo pane, ma non lo condividiamo né spezziamo con il prossimo.
Il nostro cristianesimo è così stanco e prevedibile che non è in grado di scaldare il cuore nemmeno ai nostri figli che, tristi, battono sentieri molto diversi dai nostri. I comandamenti, i precetti della chiesa, gli articoli del diritto canonico (sono 1752!) troppo spesso riescono a trasformare la Risurrezione in un mito, in una favola, più facile da raccontare nelle chiacchiere che da testimoniare nella coerenza della condotta; meno faticoso da celebrare nel culto e nel moralismo che da incarnare in una autentica spiritualità.

Trasciniamo i piedi alla maniera di coloro che sono stanchi e rassegnati; non corriamo come fanno coloro che sono annunciatori di buone notizie che ci spingono a vivere e non limitarci a sopravvivere.

Ermete TESSORE SDB
Fonte:http://www.donbosco-torino.it/

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