MACHETTA Domenico SDB, 2ª Domenica di Pasqua ( o della Divina Misericordia)

23 aprile 2017 | 2a Domenica: S. PASQUA - A | Omelia
2ª Domenica di Pasqua ( o della Divina Misericordia) 
È l'antica domenica "in Albis" (in riferimento alle tuniche bianche dei neo-battezzati, che venivano
deposte in questo giorno).
Giovanni Paolo II, come sappiamo, ha istituito in questa domenica la festa a lui cara della Divina Misericordia.
E, suggestivamente, Dio ha messo la sua "firma" chiamandolo all'eternità proprio all'inizio di questa festa.
È la domenica in cui Gesù consegna alla Chiesa il potere divino di perdonare i peccati.
È la domenica di Tommaso, il discepolo che rappresenta chi progredisce faticosamente verso la fede autentica. Ci sentiamo un po' tutti rappresentati da questo apostolo, sulla bocca del quale comunque fiorisce la professione di fede cristologica più alta di tutto il Vangelo: "Mio Signore e mio Dio!".

1ª LETTURA: At 2,42-47

Con un tocco di entusiasmo, Luca presenta questo modello ideale della comunità cristiana. Corrisponde certamente alla realtà, un po' come è sempre capitato agli albori di ogni comunità religiosa nella storia della Chiesa, ma l'autore degli Atti vuol darci anche forse uno stimolo, un programma da "sogno" per il futuro delle comunità cristiane.
Lo stile profetico e giovanile di Luca, portato sempre a una lettura in chiave escatologica degli eventi, spinge a leggere queste pagine in questa direzione.
Ecco gli elementi fondamentali:
1. l'insegnamento-predicazione degli apostoli;
1. la koinonía, la comunione fraterna, manifestata nel-l'aiuto concreto reciproco, che ha come base la comunione con la vita trinitaria, e ha come frutto la vita di famiglia e la gioia;
2. la "fractio panis" nelle case, cioè la celebrazione eucaristica, e le preghiere nel tempio, certamente vissute con uno spirito nuovo, in un cuore solo e un'anima sola.

VANGELO: Gv 20,19-31

Apparizione del Risorto la sera di Pasqua: "La sera di quel giorno, il primo della settimana", che per noi è il giorno del Signore, la Domenica. Il Risorto dona sempre lo Spirito ("alitò su di loro"): lo Spirito Santo viene riversato sulla terra con la morte di Gesù, come ci fa intuire il racconto di Giovanni, e ogni volta in cui si incontra Gesù c'è un'effusione di Spirito. Gli Apostoli sono ancora pieni di paura, le porte sono ancora chiuse. Si apriranno a Pentecoste, quando i cuori dei discepoli saranno spalancati!
Gesù, donando lo Spirito, affida alla Chiesa il potere divino di perdonare i peccati. "A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati". "Saranno perdonati" è unpassivo. Qual è il complemento d'agente? È Dio! È un passivo teologico. La Chiesa diventa "sacramento", mediazione dell'Amore infinito.
Ed ecco che arriva Tommaso: lo aspettiamo puntualmente ogni anno in questa domenica. Tommaso è sempre passato per l'incredulo, anche se sappiamo che tutti gli apostoli sono stati increduli e hanno avuto il rimprovero di Gesù.
Sappiamo che questo episodio è il culmine del Vangelo di Giovanni, che vuole portare il suo lettore a cadere inginocchio dicendo: "Mio Signore e mio Dio!". È questa la professione di fede cristologia più alta di tutto il Vangelo. Tommaso rappresenta tutti coloro che faticano, fra dubbi e incertezze, nel cammino oscuro della fede.
Non fu facile credere al Risorto. E non bastano neanche le apparizioni. Pensiamo, per esempio, al fatto del non riconoscere il Risorto, prendendolo per il custode del giardino, per un fantasma o per un viandante qualsiasi. Il Risorto non è riconoscibile con occhi umani, occorre che qualcosa cambi dentro, per un intervento misterioso di Dio. Guardiamo tutta la dinamica del cuore dei discepoli di Emmaus al contatto con il Pellegrino che spiega loro le Scritture! La "lectio divina" ha questo compito, perché la Messa (lo "spezzare il pane") sia un momento in cui si aprano gli occhi.
Quello che viene rifiutato nell'episodio di Tommaso è un "vedere" considerato come prova sensibile. "Perché mi hai veduto, Tommaso, hai creduto".
E allora ecco la grande conclusione: "Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!". E Giovanni ha forse in mente colei che è la madre di coloro che credono senza vedere: Maria di Nazareth. Egli, che con la madre di Gesù ha avuto un'esperienza tutta particolare, non può più pensare alla vita di fede senza fare riferimento alla Madre dei credenti. Abbiamo già ricordato che resta significativo che nessun evangelista parli di apparizioni pasquali a Maria (anche se uno può legittimamente pensarlo). Lei, la madre della Chiesa, dell'umile popolo che crede, non aveva bisogno di apparizioni, perché unita mediante la fede in modo unico al suo Figlio.
A questo punto è necessario fare una "meditatio" di conclusione, a cui vuol portarci Giovanni al termine del suo vangelo. Perché è così difficile credere? Il tema della fede è al centro del 4° Vangelo e direi anche delle lettere di Giovanni, in cui emerge un dato importante: che la mancanza di amore, di comunione fraterna, in definitiva deriva dalla mancanza di fede. Ma la mancanza di fede da che cosa deriva? È qui il punto cruciale. Al binomio fede-amore cosa manca? La risposta "sintesi" la troviamo in Gv 5,44:

"E come potete credere, voi
che ricevete gloria gli uni dagli altri,
e non cercate la gloria
che viene dall'unico Dio?".
La parola che manca è "umiltà".
Allora, tirando le somme, viene fuori un trinomio:
umiltà-fede-amore!

Da: Domenico MACHETTA
Fonte:http://www.donbosco-torino.it/

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