Don Marco Ceccarelli, "L’accesso a Dio"

V Domenica di Pasqua “A” – 14 Maggio 2017
I lettura: At 6,1-7
II lettura: 1Pt 2,4-9
Vangelo: Gv 14,1-12
- Testi di riferimento: Gen 28,11-19; 1Re 8,30; Sal 132,5; Is 18,7; 60,13; 66,1; Ger 17,12; Ez 43,7;
Mt 11,27; 16,27; Gv 1,18; 4,20-23; 6,46; 7,34; 8,19; 10,9.38; 12,26.45; 13,33.36; 14,19-20; 17,3.24;
At 1,11; 2Cor 4,6; Ef 2,18; Col 1,15; 1Ts 4,17; Eb 1,3; 11,16; 1Gv 2,23; 5,20
1. La via al Padre. La tematica del brano odierno di Vangelo si riallaccia a quella di domenica scorsa,

in cui Gesù si è presentato come la porta, attraverso la quale si accede alla salvezza. Analogamente
nel brano odierno Gesù si definisce la via, attraverso la quale si accede al Padre, all’incontro
con Dio. L’accesso a Dio è qualcosa che fa parte dei desideri profondi di ogni uomo, in ogni luogo,
in qualsiasi modo lo si voglia esprimere. L’uomo desidera incontrarsi con Dio e cerca il modo di
mettersi in contatto con Lui, creando dei luoghi, degli spazi, dei santuari, dei templi, dove trovarlo.
Le religioni sono la dimostrazione più chiara di questo desiderio. E tuttavia Dio rimane inaccessibile
se Egli stesso non si vuole manifestare. Dio è l’invisibile per eccellenza e non si può conoscere se
Egli non si manifesta. Però Egli ha voluto farlo, ha voluto manifestarsi e rendersi accessibile nel suo
Figlio unigenito fatto uomo. Nessuno può accedere al Padre se non per mezzo di lui (v. 6). Lui è il
“luogo” dove l’uomo può incontrare Dio.
2. Il “luogo” nella casa del Padre (vv. 2-3).
- Il contesto del discorso di Gesù è quello del suo ritorno nella casa del Padre. Gesù va al Padre e lì
prepara un “luogo” (questa è la traduzione più corretta) per i suoi discepoli. La metafora del “luogo”
(topos) può indicare certamente anche l’esistenza ultraterrena in paradiso, ma è preferibile intenderla
in un senso più ampio. In Gv 4,20 il termine topos indica il luogo del culto a Jahvè, sulla
scia dell’Antico Testamento. In esso infatti il “luogo” era un posto dove esisteva un santuario in cui
gli uomini potevano incontrarsi con Dio (Gen 28,17-19); in particolare veniva usato per designare il
Tempio di Gerusalemme (vedi testi di riferimento). Per i giudei la “casa di Dio” era il Tempio. In
esso c’erano diverse “stanze”, spazi appropriati, dove le persone, a seconda del loro stato, potevano
incontrarsi con il Signore. Il Tempio rappresentava la possibilità che l’inaccessibile Dio dava all’uomo
di avere un incontro con Lui, di entrare in qualche modo in comunione con Colui che il cielo e
la terra non possono contenere.
- Possiamo dire che il luogo di cui parla Gesù è lo “spazio” dell’incontro con Dio. Quello che Gesù
va a preparare è un nuovo luogo in cui l’uomo, da ora in poi, si potrà incontrare con Dio. È la possibilità
di entrare nella comunione con il Padre, nell’intimità della vita divina. I veri adoratori non
adoreranno più in un luogo, ma in spirito e verità (Gv 4,20-23). Nella letteratura rabbinica antica,
forse già al tempo di Cristo, l’espressione hammaqom, “il luogo”, era usato come sostitutivo del
nome di Jahvè (cfr. in particolare il trattato m.Abot 2,9.13; 3,3.10.14; 5,4; 6,6). A questo proposito
possiamo fare una considerazione. Nell’immaginario del credente il paradiso viene a volte concepito
come un “luogo” all’interno del quale si trovano Dio, gli angeli e i santi; come se ci fosse qualcosa
più grande di Dio che lo contenga. Ma questo modo di pensare appare fuorviante, perché non
ci può essere altro luogo che Dio stesso, entro il quale si vive nella comunione con lui. Secondo il
libro dell’Apocalisse, nella Gerusalemme celeste non c’è tempio perché Dio e l’agnello sono il suo
tempio (Ap 21,22), vale a dire il “luogo” stesso dove si vive nella comunione con Dio. Ma questa
Gerusalemme celeste è già presente nella Chiesa terrestre che vive fin da ora esistenzialmente
all’interno della casa del Padre.
- In definitiva il “luogo” non è altro che Gesù stesso, perché lui è nel Padre e il Padre è in lui (v.
11). Dal momento in cui Gesù lascia i suoi per andare al Padre, vale a dire dal compimento del mistero
pasquale, l’unico vero Tempio è il corpo di Cristo (Gv 2,21). È su di lui che gli angeli salgono
e scendono (Gv 1,51), perché lui è Betel, la casa di Dio (cfr. Gen 28,19). Il mistero pasquale di Cri-
sto introduce l’umanità all’incontro con Dio, apre la strada alla comunione con il Padre. È dal momento
della sua risurrezione che il Padre di Gesù è anche Padre dei discepoli, ed essi, per la prima
volta, sono chiamati “fratelli” (Gv 20,17). La risurrezione di Cristo sarà efficace dal momento in cui
egli vivrà nei suoi discepoli: «Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga
con voi per sempre ... Voi lo conoscete perché dimora presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò
orfani, verrò a voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, poiché
io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in
voi» (Gv 14,16-20). Gesù scompare perché sale al Padre, ma solo per “poco” (Gv 16,16-17) perché
riappare in una nuova forma; lo si potrà vedere di nuovo dal momento che egli vive nei suoi discepoli.
Rimanendo nel Padre, Cristo continua ad essere presente in mezzo ai suoi perché vive in loro.
Gesù chiama così i suoi fratelli a vivere nell’intimità con lui, a vivere in lui e nel Padre, per mezzo
dello Spirito Santo. Il discepolo di Cristo abita lì dove abita lui (Gv 1,39); e lui abita nel Padre. Chi
è in Cristo è nel Padre. L’accesso all’inaccessibile Dio è possibile soltanto attraverso Cristo. Nessuno
può arrivare al Padre se non passa attraverso la porta che è il Figlio: Lasciata alle sue forze naturali,
l’umanità non ha accesso alla “casa del Padre” (Gv 14,2), alla vita e alla felicità di Dio. Soltanto
Cristo ha potuto aprire all’uomo questo accesso «per darci la serena fiducia che dove è lui,
Capo e Primogenito, saremo anche noi, sue membra, uniti nella stessa gloria (CCC 661).
- Cristo vive nel Padre. Il Verbo che era rivolto verso il Padre (Gv 1,1.2), è tornato nel Padre dopo
la sua incarnazione e missione terrena (Gv 1,18). Ma anche durante la sua vita terrena Cristo era
continuamente nel Padre, vivendo una vita sempre rivolta al Padre (1Gv 1,2: «la vita eterna che era
rivolta al Padre si è manifestata a noi»). Cristo ha vissuto esistenzialmente in un rapporto profondo
di comunione con il Padre. Egli ci ha rivelato il Padre mostrandoci il suo rapporto con Lui durante
tutta la sua esistenza terrena. Questa stessa esistenza di comunione con il Padre viene donata ai suoi
discepoli. La fede in Cristo ci apre la possibilità di vivere continuamente orientati verso il Padre, in
un rapporto con un Dio che abbiamo conosciuto come Padre. Nel linguaggio biblico la conoscenza
è una esperienza intima e profonda della realtà conosciuta. La conoscenza di Dio come Padre è una
esperienza profonda di Colui che ci ha dato l’esistenza, che ci ha generati, che ci ha fatti suoi figli.
Questa provoca una fiducia enorme in questa “persona” che mi ama profondamente, e di conseguenza
produce un cambiamento nell’agire quotidiano. La conoscenza di Dio cambia radicalmente
il proprio modo di vivere. Innanzitutto l’obbedienza al Padre è radicalmente diversa dall'obbedienza
ad un Dio “anonimo”. Possiamo obbedire a Dio non più per timore, ma per amore, per fiducia nel
Padre che ci ama (Rm 8,15). In secondo luogo scopriamo che tutta la nostra vita è nel Padre, che la
nostra vita cioè, fin dal suo concepimento, è un’opera d’arte, che è un prodigio, che tutti i nostri
giorni sono scritti nel cielo. Per questo il cristiano che vive nel Padre respingerà tutto ciò che viene
a mettere in discussione la paternità di Dio, tutto ciò che pretende di minare la verità che da Dio Padre
non ci può venire nulla di cattivo, tutto ciò che ci vuole fare dubitare di Dio e del suo amore.

Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it

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