Juan Jose BARTOLOME SDB Lectio"IO SONO LA VIA, LA VERITà E LA VITA"

14 maggio 2017 | 5a Domenica di Pasqua - A | Omelia

IO SONO LA VIA, LA VERITà E LA VITA
Lectio Divina : Gv 14,1-12

Nelle parole di Gesù si riflette la situazione che vivevano i discepoli dopo Pasqua: sapevano che
Cristo era risuscitato, ma erano ancora addolorati per la sua assenza. Li riempiva un triste sentimento di sentirsi orfani, rubando l'allegria recuperata di sapere che Gesù era vivo. Incoraggiandoli, Gesù spiega loro la sua apparente assenza: sta preparando loro un posto nella casa del Padre; la sua apparente lontananza attuale è dovuta alla preoccupazione che viene dai suoi; dovrebbero saperlo ed avere coraggio: la fede in Dio deve viversi da ora in poi come fede in Gesù; che, risuscitato, deve stare con suo Padre. Le domande dei discepoli esprimono il loro sconcerto: non sanno bene dove sta andando il loro Signore, non conoscono la strada per seguirlo. Gesù non insiste sul suo nuovo destino personale, Dio Padre; per i suoi discepoli è Lui la via, la verità, la vita: senza passare per lui nessuno arriva a Dio. E, pertanto, risponde a chi desidera vedere Dio che vedere Lui è contemplare il Padre: Gesù Resuscitato è il volto umano di Dio, dal quale Dio ci guarda e nel quale contempliamo Dio. Non è impressionante, e significativo che Gesù debba pregare i suoi discepoli perché gli credano?.

In quel tempo, disse Gesù ai suoi discepoli:

1 "Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me.
2 Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto;
3 quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io.
4 E del luogo dove io vado, voi conoscete la via".
5 Gli disse Tommaso: "Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?".
6 Gli disse Gesù: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.
7 Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto".
8 Gli disse Filippo: "Signore, mostraci il Padre e ci basta".
9 Gli rispose Gesù: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre?
10 Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere.
11 Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse.
12 In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre.

1. LEGGERE : capire quello che dice il testo facendo attenzione a come lo dice
L'annuncio del tradimento di Giuda (Gv 13,21-30) e del rinnegamento di Pietro (Gv 13,36-38) ha riempito di turbamento il coraggio di alcuni discepoli. Il testo, incorniciato sul tema della fede (14,1.10.11.12), non ha uno sviluppo chiaro: dopo aver spiegato ai suoi discepoli perché si è assentato e che cosa fa mentre essi si sentono soli (14,1-4), Tommaso, in primo luogo, e dopo Filippo domandano a Gesù la strada per arrivare al Padre (14,5.8). Gesù adotta un tono magistrale (14,1.9.11), mentre i discepoli si sforzano per capirlo, senza troppo successo.
Il discepolo che si sente abbandonato, ha la fede come aiuto. Ma una cosa è credere in Dio ed un'altra, ben distinta e più difficile, è credere in un uomo che è stato tradito e rinnegato da essi e che, ora, restituito alla vita, non convive con essi. Vissuta nella solitudine, la fede non dispera: la solitudine non è il destino ultimo del credente, poiché l'assenza è mezzo per costruire una nuova casa con Dio. Casa è qui immagine di accoglienza e familiarità, posto dove il credente è ricevuto da Dio, stato di salvezza escatologica: avendo la casa di Dio molte dimore uno può essere accolto in diversi modi (14,2a). Gesù li ha lasciati, affinché essi trovino accoglienza in Dio, dove è il Figlio. Che i discepoli avranno accesso a Dio è opera del Figlio. Nella loro solitudine devono ritrovare la serenità. "Vada, dunque, il Signore a prepararci il posto" commentò Sant' Agostino - "va e non lo vediamo; nasconditi affinché crediamo. Si prepara il posto vivendo nella fede. Desideriamolo per la fede per averlo per il desiderio, perché il desiderio di amare anticipa il fare. Prepara, dunque, Signore, quello che stai preparando: ci prepari per te e te per noi". La sua partenza non è definitiva: ritornerà ai suoi affinché stiano con Lui. Più che lasciarli abbandonati, Gesù lascia i suoi speranzosi; la sua solitudine è puramente apparente. Quando ritorna, conosceranno dove è andato e la strada per arrivare.
La domanda di Tommaso (14,5; 11,16) introduce un nuovo sviluppo (14,5-11): chi ha fatto il cammino verso Dio, in Lui trova strada e meta, via e accesso, mezzo e fine (14,6). Gesù è la strada, l'unico, che conduce a Dio. E lo è senza altri concorrenti, in esclusività: nessuno può pensare altre vie o proporre altri sentieri per andare dal Padre che quella che Lui è e realizza. Conoscendolo, l'accesso a Dio è garantito: solo Lui, le sue parole e le sue opere, manifestano Dio pienamente. In quanto mediatore esclusivo dell'incontro col Padre, è verità definitiva (1,14.17; 5,33; 8,32.40.44-46); accolto come tale, si fa vita (1,4; 6,33.35.48.63.68; 8,12; 10,10; 11,25).
Con sorprendente audacia, Gesù arriva a dire che la conoscenza vitale della sua persona è già visione del Padre, conoscenza di Dio senza intermediari né segni (14,7): diventare amico di Gesù, conoscerlo, è la condizione per accedere al Padre. Come discepoli, lo hanno già conosciuto e, perciò, ora possono conoscere e vedere il Padre, compito impossibile all'uomo (1,18. Is 45,15).
Filippo, incomprensibilmente, chiede a Gesù che manifesti il Padre (14,8. Es 33,18) e rimanere così soddisfatto. Per il credente di tutti i tempi costituisce una tentazione perenne la sentita necessità di uno svelamento definitivo del suo Dio; vedere Dio è la suprema aspirazione dei suoi fedeli (Es 33,12-23; Sal 27,8.9.13; 24,6; 43,3.4.19; 105,6; Mt 5,7; 1 Gv 3,2). Gesù esautora quella speranza vana e si lamenta; il malessere di Gesù va diretto a tutti i suoi discepoli: sarebbe dovuto bastare il tempo di convivenza affinché fosse sorto in essi il riconoscimento che in Gesù si vede il Padre (10,38). Gesù è la definitiva teofania di Dio, la sua migliore definizione e la sua più completa esegesi: chi lo vede, vede il Padre (14,9); per chi crede (12,44-45), non desidera prove né dimostrazioni ulteriori. La fede che vede Gesù come Figlio fa vedere suo Padre, non perché si contempla Dio bensì perché si accetta il Figlio; in presenza del Figlio si sta in presenza di Dio.
Gesù motiva la sua affermazione (14,11-12): è il mediatore che risiede nel Padre ed il Padre in lui. La coabitazione di Gesù ed il Padre, l'abitare reciproco, si realizza nelle parole di Gesù che sono opere del Padre (14,10). L'intimità di Gesù con Dio è la prova che Gesù porta affinché il discepolo passi dalla sua ignoranza alla fede dell'amico (14,11). La legittimità della rivelazione che Gesù fa di Dio riposa sulla mutua relazione che esiste tra tutti e due: quello che fa Gesù sono azioni di Dio. Se non servono le sue parole che, almeno, valgano le opere che fa il Padre in lui.

2 - MEDITARE : Applicare quello che dice il testo alla vita
Oggi il vangelo ci mostra Gesù, che saluta i suoi discepoli alla vigilia della sua morte violenta e consolandoli anticipatamente per la sua precoce sparizione. I cristiani tornarono a ricordare questa scena e le parole di Gesù, quando, dopo la sua resurrezione, si sentirono soli e sconsolati: Gesù era vivo, certamente, ma non stava oramai con essi. Non era oramai come prima, quando camminavano predicando il regno di Dio, godendo della sua presenza e delle sue attenzioni; ora, benché lo sapessero risuscitato, non tutti potevano vederlo, alcuni non riuscivano a riconoscerlo e tutti temevano dover vivere senza di lui. Superata la prima sorpresa ed appena guadagnata l'allegria, si andarono rendendo conto che Gesù Resuscitato non apparteneva loro oramai come prima. Il godimento della sua presenza non doveva durare molto; Gesù aveva recuperato la vita, ma i discepoli non recuperarono il loro Signore: il Risuscitato tornava a Dio ed essi si dovevano sentire, sempre di più, orfani di Gesù.
La resurrezione di Gesù fu, senza dubbio, il trionfo di Dio sulla morte, ma, momentaneamente, suppose anche la sparizione fisica di Gesù tra i vivi: i discepoli, appena superato il trauma della morte violenta del loro maestro, non molto sicuri ancora di averlo vivo, dovettero abituarsi a non contare su di lui per tutto; a cosa poté servirgli che il Signore recuperasse la vita, se essi non recuperavano il loro Signore? Se Gesù risuscitato non ritornava con essi, che beneficio otterrebbero della sua gloriosa resurrezione?
Non è anche quella la nostra situazione? Non ci sentiamo anche noi abbandonati alla nostra sorte nei confronti di Gesù? Abbiamo celebrato la resurrezione di Gesù e sappiamo - è il cuore stesso della nostra fede e la ragione della nostra speranza - che egli vive per sempre e per noi. Ma ciò non ci basta per sentirci sicuri, per liberarci dalla sensazione di abbandono, per recuperare la fiducia in lui. Incapaci di poter vedere e palpare Dio nel nostro mondo, senza sentire le sue attenzioni né sentirsi oggetto della sua preoccupazione, dubitiamo del suo interesse per noi e si accrescono le nostre paure. Sembra che viviamo, come i primi apostoli, senza dubitare che Gesù sia realmente vivo e con Dio, ma senza poter credere che non ci ha abbandonati. Come ad essi, oggi Gesù ci ripete: "Non sia turbato il vostro cuore, abbiate fede in Dio e abbiate fede in me."
Ed il motivo convince, perché, ben mirato, è tanto consolante! Recuperata la vita, Gesù non ci recupera immediatamente. Deve prima prepararci un posto nella casa del Padre, la nostra casa vicino a Dio. E si allontana, fisicamente da noi; non rimane neanche a portata delle nostre mani, come qualche volta abbiamo desiderato, del nostro cuore. Ma non ci abbandona: si sta occupando di convincere Dio affinché vicino a Lui ci faccia un posto nel suo cuore e ci dia un luogo a portata delle sue mani, mani di Dio e cuore di Padre. La sua sparizione, benché faccia male al discepolo di Gesù il non vedere il suo Signore né sentirlo vicino, è ben motivata: sta facendoci posto vicino a Dio, sta allargando il cuore di Dio, affinché dove Egli è già, staremo anche noi. Non staremmo all'altezza della sua bontà, se interpretassimo la sua sparizione come disinteresse o dimenticanza, se ci lamentassimo di essere stati abbandonati a noi stessi: credere oggi in Cristo Risuscitato suppone accettare che non sta totalmente con noi, perché vuole stare per sempre con noi vicino a Dio. Potevamo aspettare qualcosa di meglio? Abbiamo fede in lui, per più abbandonati che ci sentiamo; non disperiamo di lui, benché tutto ci dica che ci ha lasciato.
Come Tommaso, non riusciamo sempre a capire Gesù, che, se ci lascia momentaneamente, ci ha trasmesso anche la sua promessa di ritornare; e se ciò fosse poco, si è impegnato personalmente ad essere via verso Dio, c'è stato offerto come la strada da percorrere: chi si sente lontano dal suo Signore, può ricorrere a lui percorrendo la sua strada; vivere come egli lo fece è il modo di recuperarlo, è la forma per renderlo presente. Il discepolo che si sente solo che gli dolga l'allontanamento di Dio, trova la via del suo recupero, se prende la vita di Gesù come cammino da percorrere, come verità per i suoi dubbi, come vita per le sue morti.
Avere Cristo Gesù come cammino non è ideale lontano né meta irraggiungibile; significa sforzarsi giorno per giorno per ripetere i suoi gesti, realizzare le sue esigenze e camminare dietro le sue orme; rifare quello che ha fatto Gesù può essere faticoso e perfino eroico, inusuale e oggi perfino impopolare, ma ottiene la meta, la familiarità con Dio: Gesù è l'unico che non ci assicura trionfi perituri, bensì un fine davvero felice: "solo Lui ci mostra il Padre." E quello lo fa meritevole della nostra fiducia e di qualunque sforzo.
È vero: accettare Gesù come via, verità e vita non è sempre facile; molte volte, neanche lo desideriamo; lo pensiamo, ma lo temiamo. Perché significa mettere Cristo Gesù al centro della nostra vita, farlo ragione delle nostre decisioni e giudice dei nostri sentimenti. E ciò può risultare complicato e perfino pericoloso: supporrebbe avere un'altra persona, con le sue idee e le sue esigenze, coi suoi valori e le sue necessità, come ispiratore e motore della nostra vita personale. E per non osar dare a Cristo ciò che gli corrisponde, scegliamo di vivere una vita che non è cattiva, ma che neanche è troppo buona, senza fare male ma omettendo il bene. Non ci distinguiamo per i nostri peccati, ma neanche brilliamo per la nostra santità; senza smettere di essere uomini buoni durante tutta la nostra vita, non riusciamo ad essere buoni discepoli di Cristo.
Ci manca di fare un passo, il decisivo, collocare Cristo al centro dei nostri pensieri ed affetti, del nostro volere e del nostro fare; solo quando Egli sarà il nostro Signore, sarà la nostra strada verso Dio; è per paura di perderci noi stessi, se prendiamo sul serio Dio, che ci perdiamo la casa che Cristo ci prepara vicino a Dio e ci sentiamo abbandonati, soli durante il tragitto della vita. Non è che Cristo Risuscitato ci abbia lasciato soli; è che persistiamo a percorrere altre vie più piacevoli ed a seguire altri signori meno esigenti. E non otteniamo, logicamente, di trovarci con Cristo né sapere che ci dirigiamo a Dio.
Quando nella nostra vita non vi è niente che lasci vedere che siamo di Cristo, niente ci sarà in lei che assomigli a Dio. Come Filippo, abbiamo potuto stare tutta la vita con Gesù e non conoscerlo realmente. Sarebbe un grave equivoco ed un gran fallimento. Se vogliamo evitarli, dobbiamo dare a Cristo il posto che gli spetta: sia Lui la nostra via, la verità e la nostra vita. Saremo vincitori: smetteremo di sentirci soli ed avremo guadagnato Dio.
3 - PREGARE : Prega il testo e desidera la volontà di Dio: cosa dico a Dio?
Signore Gesù, mi rallegra saperti già, vicino a Dio Padre, vincitore della morte, ma mi fa paura vedermi tanto abbandonato. Dammi quella fede che mi chiedi affinché calmi la mia ansietà e riempia i miei vuoti di te. Mi dà molta fiducia saperti occupato a prepararmi una casa, un posto di riposo e di intimità in Dio. Non sai quanto mi consola sapere che dove ora stai, non vuoi stare senza di me, che ritornerai per me e che, affinché possa raggiungerti, tu sarai la mia strada. Se santo, mio Signore, grande amico e meglio, fratello.
Ora che ti riconosco già come la mia strada e la meta, la mia verità e la vita, lasciami vedere in te il Padre. Mi basterebbe per trovare la pace ed il coraggio di potere contemplarlo come Padre e contemplarmi come figlio. Lasciami vederlo in te, permettimi che ti veda affinché lo veda e rimanga soddisfatto.
Che stupendo sei con me! Come stimoli la mia povera fede quando mi prometti, come a Filippo un giorno, di fare opere maggiori che le tue, se mi mantengo fedele e fiducioso!

Juan Jose BARTOLOME SDB
Fonte:http://www.donbosco-torino.it

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