MONASTERO DI RUVIANO," UN’ASSENZA PRESENZA"

ASCENSIONE DI NOSTRO SIGNORE

At 1, 1-11; Sal 46; Ef 1,17-23; Mt 28, 16-20

UN’ASSENZA – PRESENZA

La liturgia di oggi si dipana dal racconto lucano dell’Ascensione nel capitolo primo di Atti alla finale
dell’Evangelo di Matteo.
Il racconto di Atti dell’Ascensione ci mostra la meta della nostra carne, della nostra umanità. Quell’umanità, che in Gesù Cristo è ormai l’umanità di Dio, è chiamata da Dio non più a perdersi nella terra ma a salire al cielo.
Al di là del linguaggio simbolico Luca vuole dirci con forza quale la destinazione dell’uomo, quale la meta dei nostri faticosi cammini, quale l’esito delle infinite piaghe dolorose della storia dell’uomo. Luca, sottolineando nella pagina di Atti questa meta, mostra come la Chiesa debba saper vivere nell’ “assenza” di Gesù … e come debba nutrirsi di un’attesa colma di speranza: Quel Gesù ritornerà! Così dicono gli angeli dell’Ascensione.
L’attenzione di Matteo è invece rivolta proprio a questo frattempo dell’attesa e, anche se Matteo non fa accenno esplicito al ritorno glorioso del Cristo, fa dell’epilogo del suo Evangelo la definitiva “apocalisse” di Gesù, è l’estrema e piena rivelazione di Colui che già sulla croce il Centurione ha riconosciuto Figlio di Dio (cfr Mt 27,54); qui Gesù toglie del tutto il velo  dalla sua identità: Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra; è il Figlio dell’uomo di cui Daniele profetava (cfr Dn 7,13-14) ricolmo di ogni potere e autorità sulla storia. E’ Gesù, insomma, il senso, la chiave di lettura e di comprensione della storia. Matteo è coerente al progetto del suo Evangelo che era iniziato con l’annunzio a Giuseppe di una nascita che adempiva le promesse; quel figlio di Maria che Giuseppe deve accogliere è l’ Emmanuele, il Dio-con-noi (cfr Mt 1,22-23); ecco che l’Evangelo si conclude coerentemente con una promessa di presenza: Ecco io sono con voi fino alla fine del mondo. E’ davvero l’Emmanuele: ogni promessa è adempiuta. L’adorazione dei discepoli esplicita questa presa di coscienza dell’identità di Gesù: è il Signore! L’evangelo di Matteo l’aveva, d’altro canto, proclamata fin dal principio quando i Magi si prostrano ad adorare il Bambino a Betlemme (cfr Mt 2,11) … notiamo che l’Evangelista usa precisamente la stessa forma verbale: “prosekúnesan” (“adorarono”).
Il tempo della Chiesa , dunque, il tempo di una presenza sì misteriosa, sì nascosta nelle pieghe anche dolorose della storia ma di una presenza reale e piena di consolazione. L’assenza di cui Luca parla in Atti mostrandoci quell’ascendere al cielo e quell’essere occultato dalla nube è, in realtà, dice Matteo, il tempo di una nuova presenza. La Chiesa, radunata attorno al Risorto che incontra i suoi in Galilea, è già luogo di contraddizioni, non è una realtà omogenea e pacificata: Alcuni però dubitavano, scrive Matteo. Il grano e la zizzania saranno sempre assieme nella Chiesa la quale non deve spaventarsi della compresenza in se stessa di fede e incredulità, di santità e miseria. Il dubbio è è compagno inseparabile della fede in cammino; sembrerebbe che fede ed esitazione siano realtà contrapposte, o c’è l’una o l’altra; in realtà non è sempre così: fede ed esitazione possono coesistere. In ogni caso è consolante che Gesù affida la missione,  il frattempo della Chiesa ad uomini esitanti.
La Chiesa ha una sola certezza e questa certezza non è lei stessa, l’unica certezza della Chiesa è la presenza del suo Signore, è la sua promessa di rimanere fino alla fine del mondo. Su questa certezza la Chiesa getta ogni giorno la rete nel suo cammino nella storia; su questa certezza e lottando per custodire la fede,  la Chiesa può obbedire a quei quattro verbi che Gesù le indirizza nella finale di Matteo: andare, fare discepole tutte le genti, battezzare, insegnare.
La Chiesa, sostenuta dalla promessa della presenza dovrà custodire questi verbi che le indicano quali devono essere le sue vie nella storia: andare per essere una Chiesa del cammino, una Chiesa che cerca i sentieri della storia senza rimanere nei palazzi o nei templi; una Chiesa che riconosce che il mondo è tutto luogo di Dio e che deve essere animato da una presenza altra; fare discepole tutte le genti, perché non è questione di dottrina ma di vita; “fare discepole” (in greco “mathetusate”) si tratta cioè di far sì che gli uomini divengano “discepoli” permettendo all’Evangelo di Cristo di afferrare tutta la loro vita e non solo gli ambiti “religiosi”; una Chiesa di uomini che danno la vita e provocano la vita; battezzare per donare agli uomini quell’immersione in Dio (Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo) che trasforma e diviene germe di vita nuova che sottrae l’uomo dalla mano mortifera del male; insegnare in un ministero di magistero non autoritario e arrogante ma un magistero che aiuti gli uomini ad obbedire a Gesù ed al suo Evangelo nella libertà dei figli; un magistero che aiuti gli uomini a gustare questa libertà ritornando sempre al suo Signore crocefisso e risorto. L’obbedienza a Gesù non solo è via da insegnare ma prima ancora da vivere, anzi la si insegna solo se la si vive; l’ obbedienza a Gesù significa restare attaccati a Lui; diversamente la Chiesa diviene altro e non è più la Chiesa di Cristo!
L’Ascensione del Signore è allora la memoria di un’ “assenza” che si fa “presenza” ; questa va riconosciuta e vissuta in un quotidiano ecclesiale che sempre più deve cercare il volto di Cristo e solo il volto di Cristo deve portare alla storia.
p. Fabrizio Cristarella Orestano

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