MONASTERO MARANGO,"Tutti siamo sacerdoti"

5 Domenica di Pasqua (anno A)
Letture: At 6,1-7; 1Pt 2,4-9; Gv 14,1-12
Tutti siamo sacerdoti
1)Questa settimana scelgo di commentare solo il brano della prima lettera di Pietro, dal momento che
sono impegnato in un corso di esercizi spirituali su questo testo per una sessantina di religiose. E un ritiro non offre a me altri spazi di riflessione.

La lettera, attribuita a Pietro, “apostolo di Gesù Cristo”, sembra essere una circolare scritta per gli “eletti” che vivono come stranieri nella dispersione. Essere “eletti” esprimeva la grande dignità derivante dall’appartenere al popolo d’Israele, popolo eletto fin dall’antichità, per una missione particolare. A questo popolo appartengono ora anche i pagani, liberati dal sangue di Cristo, santificati dallo Spirito, inseriti nel nuovo popolo di Dio mediante il battesimo.
Questi eletti vivono come “stranieri” nella “dispersione”. Provengono dalle classi più povere della società, vivono come cittadini di seconda categoria, senza fissa dimora e senza diritti di cittadinanza, come gente di passaggio e disprezzata.
Il cristiano, come già il fedele dell’antico patto, è estraniato dal mondo, alla ricerca di una ulteriorità, di qualche cosa d’altro. Non di un’altra terra, ma di una relazione che dia pienezza di vita. Il cristiano non appartiene alla logica del mondo perché è, rispetto al mondo, solo di passaggio. Il suo cuore, il suo sguardo, è altrove.
I cristiani sono dispersi in tutte le regioni, stranieri e senza terra, ma per scelta rimangono a vivere in mezzo ai popoli del mondo. Per servire. E per testimoniare la fede nell’unico Dio, che è Padre, Figlio e Spirito Santo.
Anche Gesù, che è venuto a “piantare la sua tenda in mezzo agli uomini” (Gv 1,14), ha compiuto la sua missione sempre in cammino, sulla via. La condizione sociale della maggioranza dei cristiani, stranieri residenti, servi nelle case, schiavi, diventava segno e simbolo della condizione del cristiano e della Chiesa in ogni tempo e in ogni luogo. Il discepolo di Gesù “non ha quaggiù una città stabile” (Eb 13,14); è “nel mondo” ma non è “del mondo” (Gv 17,16) perché “la sua vera patria è nei cieli” (Fil 3,20).
Carissimi, avvicinandovi a Cristo, pietra viva…
Il verbo è quello usato nella liturgia del battesimo e degli ordini sacri: “Accedant, si avvicinino”. Si accede al Cristo, che è pietra viva, per essere impiegati anche noi come pietre vive. Con due conseguenze. Si è “insieme” per l’edificazione del tempio del Signore. Viene cioè esclusa ogni interpretazione individualistica della vita cristiana. Io sono insieme agli altri, altrimenti non sono. L’altro precede la mia singolarità, e mi dona l’identità. In secondo luogo, è inammissibile ogni riduzione “mondana” della Chiesa. Papa Francesco ci mette spesso in guardia dalla “mondanità spirituale”, che spesso si nasconde dietro apparenze di bene, “perché cerca, al posto della gloria del Signore, la gloria umana e il benessere personale” (EG. 93). Si accede al Signore come pietre vive per la costruzione di un “edificio spirituale”, per un “sacerdozio santo”. Siamo allo stesso tempo casa di Dio e sacerdoti: fortemente connessi l’uno all’altro, fino a “contenere Dio” e ad avere Dio presente in mezzo a noi.

Siete costruiti come edificio spirituale, per un sacerdozio santo.
Questi cristiani, che vivono nel mondo come stranieri, sono stati costituiti sacerdoti. Il sacerdozio di comunione, che qualifica ogni cristiano, comporta, innanzitutto, l’offerta di sé come vittima spirituale (1Pt 2,5). Questo sacerdozio universale esige anche che siano proclamate in tutto il mondo “le opere ammirevoli di lui che ci ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa”. E’ quello che crediamo quando affermiamo che il compito del cristiano è essenzialmente il suo rapporto con l’Eucaristia e con la Parola di Dio. Il rapporto con la Parola e con i divini misteri, con la preghiera e con la Scrittura, è dichiarato in termini formali già in questo testo.

Per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio.
Il sacerdozio dell’A.T. si esercitava per mezzo di mediazioni: erano i figli di Aronne che offrivano i sacrifici. Ora siamo tutti noi che offriamo l’Eucaristia, il sacrificio vivo e santo che santifica l’intero popolo di Dio. E’ un “sacrificio spirituale”: non più offerto secondo le prescrizioni della Legge, ma secondo lo Spirito che santifica la nostra offerta.

Mediante Gesù Cristo
E’ Cristo che fa salire la nostra supplica, la nostra lode, la nostra intercessione, a Dio. Possiamo intendere in due modi. Possiamo offrire sacrifici spirituali solo per mezzo di Gesù Cristo. Oppure: i sacrifici che noi offriamo sono graditi a Dio per mezzo di Gesù Cristo.

Si legge infatti nella Scrittura: <<Ecco, io pongo in Sion una pietra d’angolo, scelta, preziosa>>.
E’ Cristo la “pietra viva” che costituisce il modello di ogni sacerdozio, quello universale dei fedeli e quello ministeriale, dei presbiteri e dei vescovi. Credere in lui è ricevere il suo Spirito, affinché anche noi possiamo celebrare il nostro “culto spirituale” offrendo “i nostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio” (Rm 12,1).

Voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo che Dio si è acquistato.
Le antiche prerogative del popolo di Dio erano di essere popolo profetico e sacerdotale. Era un popolo che aveva ricevuto la Parola e a cui era stato dato il Tempio perché in esso si pregasse non solo per Israele, ma per tutte le nazioni, e si offrisse il culto gradito a Dio. Era anche un popolo regale, per il servizio che doveva rendere ai poveri, agli ultimi, agli stranieri.
Ora queste prerogative passano a coloro che “accedono” a Cristo, provenendo non solo da Israele, ma anche dalle genti, ed è solo nel Cristo che si realizzano ad un livello incomparabilmente più pieno di quello dell’A.T.
Tutti siamo fatti sacerdoti, anche le donne! E questo come dono del battesimo, per l’opera compiuta in noi da Cristo, con la sua Pasqua. Ogni separazione in seno al popolo di Dio, arricchito da una multiformità di carismi e di ministeri, distruggerebbe il tempio stesso di Dio, ci farebbe perire, renderebbe vana la croce di Cristo.
Tutti siamo sacerdoti: ce ne siamo accorti?

Giorgio Scatto
Fonte:www.monasteromarango.it/

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