p. José María CASTILLO"IO SONO LA PORTA DELLE PECORE"

IV DOMENICA DI PASQUA - 7 maggio 2017 - Commento al Vangelo
IO SONO LA PORTA DELLE PECORE
di p. José María CASTILLO
Gv 10, 1-10
[In quel tempo Gesù disse:] «In verità, in verità io vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore dalla
porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece entra dalla porta, è pastore delle pecore. Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori. E quando ha spinto fuori tutte le sue pecore, cammina davanti a esse, e le pecore lo seguono perché conoscono la sua voce. Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei».
Gesù disse loro questa similitudine, ma essi non capirono di che cosa parlava loro. Allora Gesù disse loro di nuovo: «In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore. Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati. Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvato; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza».
Si interpreta male l’insegnamento di Gesù in questo vangelo, quando si riduce ad affermare che Gesù è l’unico salvatore. Questo è certo. Ma quello che Gesù vuole dire non si riferisce alla teologia dogmatica (della salvezza), ma alla teologia morale e spirituale. Gesù in questo passo spiega come deve essere la vita e la relazione dei capi religiosi con il popolo, specialmente con la comunità religiosa. Già presso i greci l’immagine del pastore si applicava alla “guida” o “dirigente” (Omero) ed ai governanti che si prendevano cura o dovevano prendersi cura del popolo (Platone). Quest’immagine del pastore è stata comune in tutto l’antico oriente. Anche nella Bibbia. È famosa e terribile l’invettiva del profeta Ezechiele contro i pastori di Israele, “che pascono sé stessi” (Ez 34,2).
Ma, quando parla del pastore e dei pastori, Gesù sta dicendo che noi cristiani non dobbiamo dimenticare che la nostra origine sta in Israele. E sappiamo che ai suoi inizi la religione di Israele è stata una delle religioni dei popoli nomadi, i popoli che vedevano la vita come cammino. A differenza delle religioni dei popoli che praticavano l’agricoltura, che non erano itineranti, ma popoli stanziali (Victor Maag, J. Moltmann). Il popolo cristiano è un “popolo in cammino”, che segue i suoi pastori. Questo presuppone ed esige che i pastori debbano essere di esempio, sicuri, essere un modello.
Per Gesù l’aspetto decisivo nei ministri della Chiesa non l’aspetto cultuale, rituale o sacro. Né l’ortodossia delle idee religiose. Né che il pastore sia celibe o sposato, uomo o donna. Né le sue idee politiche. Gesù non fa neanche il più piccolo riferimento a nessuna di queste cose. Cosa interessa a Gesù? La relazione esemplare del pastore con il suo gregge: il pastore va davanti e le pecore lo seguono; le conosce per nome; non è un mercenario, ossia non agisce per un qualche interesse (Gv 10,12) perché l’unica cosa che gli importa nella vita è il bene delle pecore (Gv 10,13). E dà persino la sua vita per il bene della sua comunità (Gv 10,15). Nella Chiesa ci sono preti che si comportano così. Ma abbondano troppo quelli che “fanno carriera”, gli “inseriti”, quelli che vanno non davanti, ma dietro, in retroguardia, senza interesse, carichi di potere e privi di autorità. La dispersione delle pecore, il disorientamento che soffrono, gli scandali che le allontanano dalla Chiesa…Il profeta Ezechiele è perentorio: “Eccomi contro i pastori! Chiederò loro conto delle mie pecore […] perché non siano più loro cibo”. Ciò che fa più danno alla Chiesa ed al Vangelo è il comportamento di buona parte del clero: i mercenari della religione.

Fonte:http://www.ildialogo.org/

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