FIGLIE DELLA CHIESA, Lectio "La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda"

Santissimo Corpo e Sangue di Cristo

Antifona d'ingresso
Il Signore ha nutrito il suo popolo
con fior di frumento,
lo ha saziato di miele della roccia. (Sal 81,17)

Colletta
Signore Gesù Cristo,
che nel mirabile sacramento dell’Eucaristia
ci hai lasciato il memoriale della tua Pasqua,
fa’ che adoriamo con viva fede
il santo mistero del tuo Corpo e del tuo Sangue,
per sentire sempre in noi i benefici della redenzione.

Oppure:
Dio fedele, che nutri il tuo popolo
con amore di Padre,
ravviva in noi il desiderio di te,
fonte inesauribile di ogni bene:
fa’ che, sostenuti dal sacramento
del Corpo e Sangue di Cristo,
compiamo il viaggio della nostra vita,
fino ad entrare nella gioia dei santi,
tuoi convitati alla mensa del regno.

PRIMA LETTURA (Dt 8,2-3.14-16)
Ti ha nutrito di un cibo, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto.
Dal libro del Deuteronòmio

Mosè parlò al popolo dicendo:
«Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore, se tu avresti osservato o no i suoi comandi.
Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore.
Non dimenticare il Signore, tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla terra d’Egitto, dalla condizione servile; che ti ha condotto per questo deserto grande e spaventoso, luogo di serpenti velenosi e di scorpioni, terra assetata, senz’acqua; che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima; che nel deserto ti ha nutrito di manna sconosciuta ai tuoi padri».

SALMO RESPONSORIALE (Sal 147)
Rit: Loda il Signore, Gerusalemme.

Celebra il Signore, Gerusalemme,
loda il tuo Dio, Sion,
perché ha rinforzato le sbarre delle tue porte,
in mezzo a te ha benedetto i tuoi figli. Rit:

Egli mette pace nei tuoi confini
e ti sazia con fiore di frumento.
Manda sulla terra il suo messaggio:
la sua parola corre veloce. Rit:

Annuncia a Giacobbe la sua parola,
i suoi decreti e i suoi giudizi a Israele.
Così non ha fatto con nessun’altra nazione,
non ha fatto conoscere loro i suoi giudizi. Rit:

SECONDA LETTURA (1Cor 10,16-17)
Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo.
Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi

Fratelli, il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?
Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane.

SEQUENZA
[…]
Ecco il pane degli angeli,
pane dei pellegrini,
vero pane dei figli:
non dev’essere gettato.

Con i simboli è annunziato,
in Isacco dato a morte,
nell'agnello della Pasqua,
nella manna data ai padri.

Buon pastore, vero pane,
o Gesù, pietà di noi:
nutrici e difendici,
portaci ai beni eterni
nella terra dei viventi.

Tu che tutto sai e puoi,
che ci nutri sulla terra,
conduci i tuoi fratelli
alla tavola del cielo
nella gioia dei tuoi santi.

Canto al Vangelo (Gv 6,51)
Alleluia, alleluia.
Io sono il pane vivo, disceso dal cielo, dice il Signore,
se uno mangia di questo pane vivrà in eterno.
Alleluia.

VANGELO (Gv 6,51-58)
La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
+ Dal Vangelo secondo Giovanni

In quel tempo, Gesù disse alla folla:
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?».
Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».

Preghiera sulle offerte
Concedi benigno alla tua Chiesa, o Padre,
i doni dell’unità e della pace,
misticamente significati nelle offerte che ti presentiamo.

PREFAZIO
L’Eucaristia memoriale del sacrificio di Cristo

È veramente cosa buona e giusta,
nostro dovere e fonte di salvezza,
rendere grazie sempre e in ogni luogo
a te, Signore, Padre santo,
Dio onnipotente e misericordioso,
per Cristo nostro Signore.
Sacerdote vero ed eterno,
egli istituì il rito del sacrificio perenne;
a te per primo si offrì vittima di salvezza,
e comandò a noi di perpetuare l’offerta in sua memoria.
Il suo corpo per noi immolato è nostro cibo e ci dà forza,
il suo sangue per noi versato
è la bevanda che ci redime da ogni colpa.
Per questo mistero del tuo amore,
uniti agli angeli e ai santi,
cantiamo con gioia l’inno della tua lode: Santo...

Oppure:
PREFAZIO
L’Eucaristia vincolo di unità e di perfezione

È veramente cosa buona e giusta renderti grazie
e innalzare a te l’inno di benedizione e di lode,
Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore.
Nell’ultima cena con i suoi Apostoli,
egli volle perpetuare nei secoli
il memoriale della sua passione
e si offrì a te, Agnello senza macchia,
lode perfetta e sacrificio a te gradito.
In questo grande mistero tu nutri e santifichi i tuoi fedeli,
perché una sola fede illumini
e una sola carità riunisca l’umanità diffusa su tutta la terra.
E noi ci accostiamo a questo sacro convito,
perché l’effusione del tuo Spirito
ci trasformi a immagine della tua gloria.
Per questo mistero di salvezza
il cielo e la terra si uniscono in un cantico nuovo
di adorazione e di lode,
e noi con tutti gli angeli del cielo
proclamiamo senza fine la tua gloria: Santo...

Antifona di comunione
Dice il Signore:
“Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue,
rimane in me e io in lui”. Alleluia. (Gv 6,56)

Preghiera dopo la comunione
Donaci, Signore,
di godere pienamente della tua vita divina
nel convito eterno,
che ci hai fatto pregustare
in questo sacramento del tuo Corpo e del tuo Sangue.
Tu che vivi e regni nei secoli dei secoli.

Lectio
Alcune note storico-liturgiche sulle origini della Solennità
Nel giugno 2010 l’Ufficio per le celebrazioni liturgiche del Sommo Pontefice pubblicava alcune note storico-liturgiche sulle origini della Solennità del Corpus Domini. Richiamarle brevemente ci permette di contestualizzare la celebrazione odierna nel cammino ecclesiale di fede e di devozione che affonda le sue radici in secoli di storia.
“Le origini remote della festa del Corpus Domini si trovano nello sviluppo del culto dell’Eucaristia nel corso del Medioevo. Le dispute dottrinali fra Pascasio Radberto († 865) e Ratramno di Corbie († 868), e soprattutto fra Berengario di Tours († 1088) e Lanfranco di Pavia († 1089), portarono ad un chiarimento della dottrina sulla presenza reale di Cristo nel Sacramento e, di conseguenza, ad un più sentito e diffuso culto dell’Eucaristia.
Nel secolo XIII si manifesta un movimento più ampio di devozione eucaristica presso il popolo ed anche fra i teologi, con un forte contributo dato dal nuovo ordine francescano. Il Concilio Lateranense IV (1215), precisando la dottrina della Chiesa con la formula della transustanziazione del pane e del vino nel Corpo e nel Sangue di Cristo, ha spinto ad un ulteriore sviluppo del culto eucaristico. Lo stesso Concilio prescrisse l’obbligo della comunione annuale a Pasqua e la custodia dell’Eucaristia in un luogo sicuro. Nella liturgia si diffuse la prassi di elevare l’ostia ed il calice durante la Messa per il desiderio dei fedeli di vedere e di adorare le specie consacrate.
La solenne celebrazione del Corpus Domini, come la conosciamo anche oggi, è dovuta all’ispirazione della religiosa fiamminga Santa Giuliana di Cornillon (1191-1258). La festa, istituita nella diocesi di Liegi, nell’attuale Belgio, nel 1246, si diffuse rapidamente, grazie anche all’impegno del fiammingo Giacomo Pantaleone di Troyes, in seguito eletto papa col nome di Urbano IV (1261-1264). Egli incluse la festa nel calendario liturgico generale con la Bolla Transiturus de hoc mundo, dell’11 agosto 1264. Tuttavia, a causa di diverse vicende, essa fu celebrata in tutta la Chiesa solo dopo il Concilio di Vienne (1311-1312).
Secondo la Vita di Santa Giuliana, Cristo stesso le disse il principale motivo per cui desiderava questa nuova festa, cioè per ricordare l’istituzione del Sacramento del suo Corpo e Sangue in maniera particolarmente solenne, il che non era possibile il Giovedì Santo, quando la liturgia è segnata dalla lavanda dei piedi e della Passione del Signore.
La festa fu stabilita per il giovedì dopo l’Ottava di Pentecoste, il primo giovedì dopo il Tempo Pasquale, secondo il Calendario liturgico dell’usus antiquior. La festa è così chiaramente legata al Giovedì Santo, ed esprime il suo carattere essenziale: «Nella festa del Corpus Domini, la Chiesa rivive il mistero del Giovedì Santo alla luce della Risurrezione»”.

“Il valore della mia vita dipende dalla mia capacità di donarla”. Con queste parole, mons. Pierre Claverie, vescovo domenicano, morto martire ad Orano (Algeri) il 1° agosto 1996, esprimeva la quintessenza della sua vita eucaristica: “fare memoria della Pasqua di Gesù, che prende su di sé la violenza del mondo per condurla alle sorgenti dell’amore, ci impegna nello stesso movimento. Gesù ha riconciliato l’umanità con se stessa e con Dio abolendo il potere della morte nella propria carne. Noi, che lo seguiamo e che formiamo il suo corpo nella storia, diventiamo a nostra volta sacramento di questa riconciliazione e completiamo quello che è stato acquisito una volta per tutte, proseguendo nella lotta contro il potere della morte con le armi dell’amore.
Va da sé che questa lotta si nutre innanzitutto del memoriale dell’eucaristia: la nostra immersione nella morte di Gesù Cristo, presente con la potenza della sua risurrezione, ci prepara a intraprendere una Pasqua quotidiana. […] Sacramento di liberazione e di riconciliazione possiamo diventarlo solo se accettiamo di donare la nostra vita alla sequela di Gesù Cristo.
La Pasqua di Gesù Cristo si compie nel suo corpo che è la Chiesa: l’unico sacrificio di Cristo fa così passare il mondo dalla morte alla vita. E noi ne siamo i testimoni e gli attori fino alla fine dei tempi. Guardiamoci dal non prendere sul serio questo impegno al martirio!” (P. Claverie, Dare la propria vita. Meditazioni sull‘Eucaristia, EDB, Bologna 2005, 88-89). Corroborati anche dalla sua testimonianza entriamo nel mistero della solennità che celebriamo, guidati dalla sapiente tessitura di testi che la Madre Chiesa ci propone.
La liturgia della parola ruota intorno ad alcuni concetti chiave: nutrire, saziare, ricordarsi/non dimenticare, corpo/comunione, carne/sangue, pane, e il termine vita, declinato in vari modi: vita/vivere/vivo. Dunque, si tratta di VITA che si effonde e si espande con sovrabbondanza nel dono della Carne e del Sangue del Signore, Pane vivo disceso dal cielo: “chi mangia la mia carne e beve il mio sangue – dice Gesù in Gv 6, 56.51 – rimane in me e io in lui. […] Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo”. Noi siamo e rimaniamo in vita perché Lui ci sostiene in vita dandoci se stesso in cibo.
Così l’antifona d’ingresso: “Il Signore ha nutrito il suo popolo con fior di frumento, lo ha saziato con miele della roccia” (Sl 80, 17). Si tratta della più antica storia d’amore che non si finirebbe mai di raccontare: il Signore ama Israele, lo fa suo, lo cura, lo custodisce, lo fa crescere con amore di Padre e di Sposo.
Nella prima lettura (Dt 8, 2-3.14b-16a) è riportato l’invito rivolto da Mosè a Israele dinanzi alla visione della Terra Promessa: “Ricòrdati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere nel deserto, per metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore […] per farti capire che l’uomo non vive solo di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore. […] Non dimenticare il Signore tuo Dio, che ti ha fatto uscire dalla condizione servile, che ti ha condotto […] che ha fatto sgorgare per te l’acqua dalla roccia durissima, che ti ha nutrito di manna sconosciuta.” Israele non deve smarrire mai la consapevolezza che la sua vita è custodita e promossa da un Altro; e questa consapevolezza cresce e si rinnova solo nella memoria, nel ricordare, nel non dimenticare i prodigi del Signore nella sua storia, nel narrarli ai figli e ai figli dei figli. Nasce da qui la traditio, la consegna della storia di salvezza che ha segnato i tempi, fino ai nostri giorni. Israele non deve dimenticare che ha vissuto un passaggio esistenziale decisivo: è passato dalla schiavitù del faraone in Egitto alla libertà della terra promessa; è passato dalla morte alla vita. La sua vita non si consuma solo nella fame di pane, ma trova il suo senso, il suo gusto più profondo in quanto esce dalla bocca di Dio, dal soffio del suo Spirito che rigenera e vivifica, dalla Parola che ha fatto i cieli e si è fatta carne condivisa con tutta l’umanità. Questa memoria, nel dono del Corpo e del Sangue di Cristo sull’altare, diviene memoriale di salvezza per ogni uomo, si attualizza hic et nunc, qui e ora, il Dono dell’Amore più forte della morte, che rimane fino alla consumazione dei secoli, raggiunge i figli di Dio, sostiene e guida la Chiesa, il Corpo del Risorto che cammina nella storia.
La moltitudine dei credenti che comunica al Corpo di Cristo, forma a sua volta un solo corpo, poiché si ritrova UNO nella condivisione dell’UNICO Pane. È Paolo il grande cantore di questo mistero nella seconda lettura (1 Cor 10, 16-17): “poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo; tutti infatti partecipiamo all’unico pane”. La molteplicità numerica dei fratelli non è un ostacolo all’unità, perché tutti siamo in com-unione con Cristo.
Il vangelo di Giovanni riporta una pericope tratta dal grande capitolo 6, il cosiddetto ‘discorso del pane di vita’, in cui Gesù si propone ‘pane vivo, disceso dal cielo’. L’allusione è forte e chiara alla manna di cui il Signore nutrì il popolo d’Israele nel deserto, durante il cammino verso la terra promessa. La manna era anche il segno inequivocabile dell’amore provvidente e fedele di Dio, che non abbandona il suo popolo, lo mantiene in vita e lo conduce verso una vita sempre più piena. Nel vangelo di Giovanni, però, Colui che è disceso dal cielo è il Verbo che è prima di tutte le cose, nel quale è la Vita, la vera Vita, per mezzo del quale tutto è stato fatto; e che si è fatto ‘carne’ per noi, per manifestarci il Padre, donarci lo Spirito senza misura e rimanere con noi sempre nello spezzare del pane. Gesù dice chiaramente che gli antichi padri nel deserto mangiarono la manna ma poi morirono; invece, “chi mangia questo pane vivrà in eterno” (cfr Gv 6, 58). Perché vivrà in eterno? Perché colui che si nutre della sua carne è reso partecipe del ‘circolo vitale eterno’ tra il Padre e il Figlio: “come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me” (Gv 6, 57). E il pane che lui dà è la sua carne per la vita del mondo; vivere per significa non solo avere uno scopo, un fine, una direzione, un senso, ma anche vuol dire grazie a me, in virtù del mio dono: In lui era la Vita, ci ricordava Giovanni nel prologo. La comunione al Corpo e Sangue del Signore è la partecipazione alla sua Vita divina che si rinnova incessantemente in chi la riceve e lo conduce attraverso la storia, fino al banchetto eterno del cielo. In questo movimento, il credente è trasformato in colui di cui si nutre, coinvolto nel suo vortice di ‘passione’ per la salvezza dell’umanità; unito, infatti, al Corpo e Sangue del Signore, diviene a sua volta ‘eucaristia’ vivente, anche lui corpo dato e sangue versato nel servizio di carità ai fratelli. A tal proposito, gustiamo le parole del prefazio II, uno dei due sull’Eucaristia riservati a questo giorno: “Nell’ultima cena, con i suoi apostoli, egli volle perpetuare nei secoli il memoriale della sua passione e si offrì a te, Agnello senza macchia, lode perfetta e sacrificio a te gradito. In questo grande mistero tu nutri e santifichi i tuoi fedeli, perché una sola fede illumini e una sola carità riunisca l’umanità diffusa su tutta la terra. E noi ci accostiamo a questo sacro convito, perché l’effusione dello Spirito ci trasformi a immagine della tua gloria”.

Appendice
Poiché la mia carne è un vero cibo e il mio sangue vera bevanda (Gv 6, 56). Quello che gli uomini bramano mediante il cibo e la bevanda, di saziare la fame e la sete, non lo trovano pienamente se non in questo cibo e in questa bevanda, che rendono immortali e incorruttibili coloro che se ne nutrono, facendone la società dei santi, dove sarà la pace e l'unità piena e perfetta. E' per questo che, come prima di noi hanno capito gli uomini di Dio, il Signore nostro Gesù Cristo ci offre il suo corpo e il suo sangue, attraverso elementi dove la molteplicità confluisce nell'unità. Il pane, infatti, si fa con molti chicchi di frumento macinati insieme, e il vino con molti acini d'uva spremuti insieme.
Finalmente il Signore spiega come avvenga ciò di cui parla, e in che consista mangiare il suo corpo e bere il suo sangue: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, dimora in me ed io in lui (Gv 6, 57). Mangiare questo cibo e bere questa bevanda, vuol dire dimorare in Cristo e avere Cristo sempre in noi. Colui invece che non dimora in Cristo, e nel quale Cristo non dimora, né mangia la sua carne né beve il suo sangue, ma mangia e beve a propria condanna un così sublime sacramento, essendosi accostato col cuore immondo ai misteri di Cristo, che sono ricevuti degnamente solo da chi è puro; come quelli di cui è detto: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio (Mt 5, 8).
Come il Padre, il Vivente, ha mandato me ed io vivo per il Padre, così chi mangia di me vivrà per me (Gv 6, 58). Non dice: Come io mangio del Padre e vivo per il Padre, così anche chi mangia di me vivrà per me. Il Figlio non diviene infatti migliore partecipando alla vita del Padre, egli che è nato uguale al Padre, come invece diventiamo migliori noi diventando partecipi della vita del Figlio nell'unità del suo corpo e del suo sangue, il che appunto viene significato da questo mangiare e bere. Noi viviamo, dunque, per mezzo di lui, mangiando lui, cioè ricevendo lui che è la vita eterna, che da noi non avevamo; allo stesso modo che egli vive per il Padre che lo ha mandato, perché annientò se stesso fattosi obbediente fino alla morte di croce (cf. Fil 2, 8). Se infatti prendiamo l'affermazione io vivo per il Padre nel senso di quest'altra: Il Padre è più grande di me (Gv 14, 28), possiamo dire che a nostra volta noi viviamo per lui, che è più grande di noi. Tutto ciò deriva dal fatto che egli è stato inviato dal Padre. La sua missione, infatti, vuol dire l'annientamento di se stesso nell'accettazione della forma di servo (salva, s'intende la sua uguaglianza di natura con il Padre). Il Padre è, sì, più grande del Figlio in quanto uomo; ma in quanto Dio, il Figlio è uguale al Padre, essendo un unico Cristo Gesù, Dio e uomo insieme, Figlio di Dio e Figlio dell'uomo. Se intendiamo bene le sue parole, egli disse: Come il Padre, il Vivente, ha mandato me ed io vivo per il Padre, così anche chi mangia di me vivrà per me, volendo farci intendere questo: Affinché io potessi vivere per il Padre, orientando verso di lui, che è più grande di me, tutta la mia esistenza, fu necessario il mio annientamento, per il quale egli mi ha mandato; a sua volta se uno vuol vivere per me, è necessario che entri in comunione con me mangiando di me; e come io, umiliato, vivo per il Padre, così egli, elevato, vive per me. Se dice Io vivo per il Padre, nel senso che il Figlio viene dal Padre e non il Padre da lui, lo può dire senza compromettere in alcun modo l'uguaglianza sua col Padre. Tuttavia, dicendo così anche chi mangia di me vivrà per me, non vuole indicare una sua uguaglianza con noi, ma vuole mostrare la sua grazia di mediatore. (Agostino, Commento al Vangelo di Giovanni, Omelia 26,17-19)

Che cos’è il Pane? Corpo di Cristo. Che cosa diventano quelli che lo ricevono? Corpo di Cristo. Ma non molti corpi, bensì un corpo solo. Infatti come il pane è un tutt'uno, pur essendo costituito di molti grani, i quali, benché non si vedano, ci sono, e la loro differenza scompare in ragione della loro perfetta fusione; alla stessa maniera anche noi siamo uniti reciprocamente gli uni agli altri e tutti insieme con Cristo. (San Giovanni Crisostomo)

Non si può "mangiare" il Risorto, presente nella figura del pane, come un semplice pezzo di pane. Mangiare questo pane è comunicare, è entrare nella comunione con la persona del Signore vivo. Questa comunione, questo atto del "mangiare", è realmente un incontro tra due persone, è un lasciarsi penetrare dalla vita di Colui che è il Signore, di Colui che è il mio Creatore e Redentore. Scopo di questa comunione è l’assimilazione della mia vita alla sua, la mia trasformazione e conformazione a Colui che è Amore vivo. Perciò questa comunione implica l’adorazione, implica la volontà di seguire Cristo, di seguire Colui che ci precede. "Prendete e mangiate!". (Benedetto XVI)

Per noi [Figlie della Chiesa] l'Eucaristia è la Fonte dell’Amore increato che investe e sublima l'amore creato, la Fonte della Comunione Trinitaria che modella, attua e perfeziona sempre più la comunione umana, la Fonte della conoscenza intuitiva che eleva la conoscenza sensibile e razionale e la Fonte di tutto, che dà consistenza al nulla. È soprattutto questo per noi che ci sentiamo piccole e nell'Eucaristia cerchiamo l'amore del padre e della madre, la comunione con lo Sposo nostro, la conoscenza sperimentale di Lui. […] Dal Corpo Eucaristico al Corpo mistico è il nostro programma: dalla Vittima gloriosa dell’altare, cui cediamo corpo e anima perché prolunghi in noi la sua salvifica passione, alla Chiesa, suo Corpo mistico per la salvezza di tutte le sue membra, all’umanità intera per la salvezza di tutti gli uomini, perché tutti si lascino salvare. Quindi, contemplative, sempre unite a Lui e apostole, sempre aperte a tutti: nella Celebrazione eucaristica e nell’Adorazione pubblica e intima. (Madre Maria Oliva Bonaldo MC, fondatrice Suore Figlie della Chiesa)

«Il Signore, tuo Dio, … ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi» (Dt 8,2).
Queste parole del Deuteronomio fanno riferimento alla storia d’Israele, che Dio ha fatto uscire dall’Egitto, dalla condizione di schiavitù, e per quarant’anni ha guidato nel deserto verso la terra promessa. Una volta stabilito nella terra, il popolo eletto raggiunge una certa autonomia, un certo benessere, e corre il rischio di dimenticare le tristi vicende del passato, superate grazie all’intervento di Dio e alla sua infinita bontà. Allora le Scritture esortano a ricordare, a fare memoria di tutto il cammino fatto nel deserto, nel tempo della carestia e dello sconforto. L’invito è quello di ritornare all’essenziale, all’esperienza della totale dipendenza da Dio, quando la sopravvivenza era affidata alla sua mano, perché l’uomo comprendesse che «non vive soltanto di pane, ma … di quanto esce dalla bocca del Signore» (Dt 8,3).
Oltre alla fame fisica l’uomo porta in sé un’altra fame, una fame che non può essere saziata con il cibo ordinario. E’ fame di vita, fame di amore, fame di eternità. E il segno della manna – come tutta l’esperienza dell’esodo – conteneva in sé anche questa dimensione: era figura di un cibo che soddisfa questa fame profonda che c’è nell’uomo. Gesù ci dona questo cibo, anzi, è Lui stesso il pane vivo che dà la vita al mondo (cfr Gv 6,51). Il suo Corpo è il vero cibo sotto la specie del pane; il suo Sangue è la vera bevanda sotto la specie del vino. Non è un semplice alimento con cui saziare i nostri corpi, come la manna; il Corpo di Cristo è il pane degli ultimi tempi, capace di dare vita, e vita eterna, perché la sostanza di questo pane è l’Amore.
Nell’Eucaristia si comunica l’amore del Signore per noi: un amore così grande che ci nutre con Sé stesso; un amore gratuito, sempre a disposizione di ogni persona affamata e bisognosa di rigenerare le proprie forze. Vivere l’esperienza della fede significa lasciarsi nutrire dal Signore e costruire la propria esistenza non sui beni materiali, ma sulla realtà che non perisce: i doni di Dio, la sua Parola e il suo Corpo.
Se ci guardiamo attorno, ci accorgiamo che ci sono tante offerte di cibo che non vengono dal Signore e che apparentemente soddisfano di più. Alcuni si nutrono con il denaro, altri con il successo e la vanità, altri con il potere e l’orgoglio. Ma il cibo che ci nutre veramente e che ci sazia è soltanto quello che ci dà il Signore! Il cibo che ci offre il Signore è diverso dagli altri, e forse non ci sembra così gustoso come certe vivande che ci offre il mondo. Allora sogniamo altri pasti, come gli ebrei nel deserto, i quali rimpiangevano la carne e le cipolle che mangiavano in Egitto, ma dimenticavano che quei pasti li mangiavano alla tavola della schiavitù. Essi, in quei momenti di tentazione, avevano memoria, ma una memoria malata, una memoria selettiva. Una memoria schiava, non libera.
Ognuno di noi, oggi, può domandarsi: e io? Dove voglio mangiare? A quale tavola voglio nutrirmi? Alla tavola del Signore? O sogno di mangiare cibi gustosi, ma nella schiavitù? Inoltre, ognuno di noi può domandarsi: qual è la mia memoria? Quella del Signore che mi salva, o quella dell’aglio e delle cipolle della schiavitù? Con quale memoria io sazio la mia anima?
Il Padre ci dice: «Ti ho nutrito di manna che tu non conoscevi». Recuperiamo la memoria. Questo è il compito, recuperare la memoria. E impariamo a riconoscere il pane falso che illude e corrompe, perché frutto dell’egoismo, dell’autosufficienza e del peccato.
Tra poco, nella processione, seguiremo Gesù realmente presente nell’Eucaristia. L’Ostia è la nostra manna, mediante la quale il Signore ci dona se stesso. A Lui ci rivolgiamo con fiducia: Gesù, difendici dalle tentazioni del cibo mondano che ci rende schiavi, cibo avvelenato; purifica la nostra memoria, affinché non resti prigioniera nella selettività egoista e mondana, ma sia memoria viva della tua presenza lungo la storia del tuo popolo, memoria che si fa “memoriale” del tuo gesto di amore redentivo. Amen. (Papa Francesco, Omelia del 19 giugno 2014)
Fonte:http://www.figliedellachiesa.org

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