fr. Massimo Rossi, "...senza ‘sé e senza ‘ma'!"
Commento su Matteo 10,37-42
fr. Massimo Rossi
XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (02/07/2017)
Vangelo: Mt 10,37-42
In una sua vecchia canzone, il compianto Lucio Dalla dichiarava: "Bisogna saper perdere! Non
sempre si può vincere!...".
Si tratta di una legge fondamentale della vita umana; ne va addirittura del concetto stesso di vita.
L'evangelista Luca presenta ripetutamente il binomio perdere-trovare e ne esprime il significato teologico associandolo ad un altro binomio, ben più esplicito: morire-risorgere; in particolare, due fatti raccontati nel suo Vangelo testimoniano l'aderenza perfetta delle figure letterarie ‘perdere-trovare' e ‘morire-ritornare in vità: la perdita/ritrovamento di Gesù dodicenne tra i dottori del Tempio e la parabola del figlio prodigo, nella quale ultima, il padre del racconto definisce il secondo figlio perduto e ritrovato, morto e ritornato in vita.
E dopo questa incursione teologico-biblica nell'universo linguistico di san Luca, veniamo al fatto serio, grave, che i giovani di oggi non sono abituati ad accettare di perdere qualcosa, qualcuno: mentre, questa condizione - saper perdere - è decisiva, in funzione di un sano cammino di maturazione e di crescita!
Non possiamo tenere tutto sotto controllo! Qualcosa ci sfugge...del resto, siamo mica Dio!
Più in generale, non possiamo tenere tutto! durante la vita, qualcosa inevitabilmente va perduto, affinché qualcosa di nuovo possa nascere, crescere, maturare e, in fin dei conti, renderci migliori.
Invece: per un egoismo tutto infantile, segno che l'infanzia non è stata ancora superata - taluni non la superano mai... -, non riusciamo a capacitarci se qualcosa, qualcuno escono dal nostro orizzonte, e non ruotano più intorno a noi,... Non riusciamo a farcene una ragione.
Ogni perdita, specie se a livello di relazioni, ha il sapore amaro di un abbandono... provoca strappi, lacerazioni, solitudini... Quando poi la perdita assume i connotati del lutto, la tentazione della disperazione è fortissima, quasi irresistibile.
Ripeto, soprattutto gli adolescenti e i giovani non sono (ancora) capaci di elaborare un lutto, di reggere una crisi di abbandono, così come può essere interpretata e patita la fine di un'amicizia, o di un amore acerbo....Che, poi, sarebbe interessante capire che cosa si intenda per amicizia, e per amore.
Amicizia, amore: al giorno d'oggi non c'è alcuna chiarezza nell'uso dei due termini: complici i moderni strumenti di comunicazione, i social, il mondo virtuale in genere, e internet: discorso già affrontato in altre occasioni che tuttavia mi permetto di richiamare all'attenzione: esistono in sostanza due mondi, quello reale, e quello virtuale. Non si può tracciare una linea di separazione netta...e questo è il peggio; perché si può passare con facilità dall'uno all'altro, illudendosi, che in fondo, non ci sia soluzione di continuità. E qui sta l'errore!! Restare parcheggiati troppo a lungo nel virtuale, vivere addirittura di relazioni virtuali, può convincere di conoscere e soprattutto di AVERE una (intensa) vita di rapporti che in verità sono solo fittizi, appunto, virtuali...
In verità abbiamo poco, forse niente... Ma su questo ‘niente' noi costruiamo certezze, che sono castelli di sabbia... Presto o tardi, crolleranno... meglio presto che tardi!
Dunque, perdere: secondo la terminologia dei Vangeli, il significato del verbo è molto ricco: nel presente contesto, soprattutto quando si tratta della vita, il verbo perdere significa in realtà donare, a fondo perduto, cioè senza chiedere, né attendersi nulla in cambio.
Dare la vita, così come Gesù l'ha data per amore nostro, è un dare fine a se stesso.
Lo so che nel gergo comune, parlare di un'azione fine a se stessa significa ritenere che l'azione non valga niente... Letteralmente, l'espressione "atto fine a se stesso" significa che il fine dell'atto è proprio l'atto in se; amo per amare, non per ricevere tornaconto...
Dono per il puro piacere di donare! La mia retribuzione è nient'altro che l'aver donato.
Ma ecco che si affaccia un nuovo problema, ancora più grave, forse, del saper o non saper perdere: Nel mondo di oggi, manca una solida e diffusa mentalità del dono gratuito, del dono fine a se stesso, del dare senza suscitare in colui che riceve lo scrupolo di doversi sdebitare alla prima occasione... Troppo radicato è il clima di diffidenza e di sospetto: "Nessuno fa niente per niente!", "Nessuno ti regala niente!", "Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio!"... evvai così!
Fin da bambini respiriamo quest'aria di diffidenza e di sospetto, ne siamo addirittura educati... "Fatti furbo!", "Il mondo è dei furbi!"...evvai così!
Ebbene, il Vangelo è in decisa controtendenza!
La parabola del buon samaritano (Lc 10,25-37) rappresenta forse l'esempio classico; ma anche quella del Signore che condona tutto il debito al debitore insolvente (Mt 18, 21-35).
Si tratta di casi in cui il protagonista prende l'iniziativa senza esservi tenuto, senza aver un apparente motivo e soprattutto senza (poter) contare sul contraccambio; dal momento che i destinatari del gesto non sono assolutamente in grado di rispondere a quella inattesa e scriteriata generosità.
Se guardiamo alla legge, motivi per agire in termini di assoluta gratuità non ne troveremo.
Possiamo stare tranquilli e continuare a pensare e agire avendo la legge dalla nostra parte...
Gesù ha preferito un'altra legge, non scritta, ma molto più ampia ed esigente.
Niente da stupirsi che sulla croce abbia fatto la figura del fesso, per dirla con un termine decente. Ecco la sfida che oggi il Signore severamente lancia a ciascuno di noi: "Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me.".
La fede cristiana è (soltanto) una proposta: se tuttavia accogliamo la proposta, non possiamo più discutere se rimanere fedeli alla legge del "puro dovuto", puntando, per così dire, al minimo sindacale. Se accogliamo la proposta di aderire al Cristo della fede, la mentalità del dono gratuito, fine a se stesso e, per di più, a costo della vita, diventa un obbligo...senza ‘sé e senza ‘ma'!
Fonte:http://www.qumran2.net/
fr. Massimo Rossi
XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (02/07/2017)
Vangelo: Mt 10,37-42
In una sua vecchia canzone, il compianto Lucio Dalla dichiarava: "Bisogna saper perdere! Non
sempre si può vincere!...".
Si tratta di una legge fondamentale della vita umana; ne va addirittura del concetto stesso di vita.
L'evangelista Luca presenta ripetutamente il binomio perdere-trovare e ne esprime il significato teologico associandolo ad un altro binomio, ben più esplicito: morire-risorgere; in particolare, due fatti raccontati nel suo Vangelo testimoniano l'aderenza perfetta delle figure letterarie ‘perdere-trovare' e ‘morire-ritornare in vità: la perdita/ritrovamento di Gesù dodicenne tra i dottori del Tempio e la parabola del figlio prodigo, nella quale ultima, il padre del racconto definisce il secondo figlio perduto e ritrovato, morto e ritornato in vita.
E dopo questa incursione teologico-biblica nell'universo linguistico di san Luca, veniamo al fatto serio, grave, che i giovani di oggi non sono abituati ad accettare di perdere qualcosa, qualcuno: mentre, questa condizione - saper perdere - è decisiva, in funzione di un sano cammino di maturazione e di crescita!
Non possiamo tenere tutto sotto controllo! Qualcosa ci sfugge...del resto, siamo mica Dio!
Più in generale, non possiamo tenere tutto! durante la vita, qualcosa inevitabilmente va perduto, affinché qualcosa di nuovo possa nascere, crescere, maturare e, in fin dei conti, renderci migliori.
Invece: per un egoismo tutto infantile, segno che l'infanzia non è stata ancora superata - taluni non la superano mai... -, non riusciamo a capacitarci se qualcosa, qualcuno escono dal nostro orizzonte, e non ruotano più intorno a noi,... Non riusciamo a farcene una ragione.
Ogni perdita, specie se a livello di relazioni, ha il sapore amaro di un abbandono... provoca strappi, lacerazioni, solitudini... Quando poi la perdita assume i connotati del lutto, la tentazione della disperazione è fortissima, quasi irresistibile.
Ripeto, soprattutto gli adolescenti e i giovani non sono (ancora) capaci di elaborare un lutto, di reggere una crisi di abbandono, così come può essere interpretata e patita la fine di un'amicizia, o di un amore acerbo....Che, poi, sarebbe interessante capire che cosa si intenda per amicizia, e per amore.
Amicizia, amore: al giorno d'oggi non c'è alcuna chiarezza nell'uso dei due termini: complici i moderni strumenti di comunicazione, i social, il mondo virtuale in genere, e internet: discorso già affrontato in altre occasioni che tuttavia mi permetto di richiamare all'attenzione: esistono in sostanza due mondi, quello reale, e quello virtuale. Non si può tracciare una linea di separazione netta...e questo è il peggio; perché si può passare con facilità dall'uno all'altro, illudendosi, che in fondo, non ci sia soluzione di continuità. E qui sta l'errore!! Restare parcheggiati troppo a lungo nel virtuale, vivere addirittura di relazioni virtuali, può convincere di conoscere e soprattutto di AVERE una (intensa) vita di rapporti che in verità sono solo fittizi, appunto, virtuali...
In verità abbiamo poco, forse niente... Ma su questo ‘niente' noi costruiamo certezze, che sono castelli di sabbia... Presto o tardi, crolleranno... meglio presto che tardi!
Dunque, perdere: secondo la terminologia dei Vangeli, il significato del verbo è molto ricco: nel presente contesto, soprattutto quando si tratta della vita, il verbo perdere significa in realtà donare, a fondo perduto, cioè senza chiedere, né attendersi nulla in cambio.
Dare la vita, così come Gesù l'ha data per amore nostro, è un dare fine a se stesso.
Lo so che nel gergo comune, parlare di un'azione fine a se stessa significa ritenere che l'azione non valga niente... Letteralmente, l'espressione "atto fine a se stesso" significa che il fine dell'atto è proprio l'atto in se; amo per amare, non per ricevere tornaconto...
Dono per il puro piacere di donare! La mia retribuzione è nient'altro che l'aver donato.
Ma ecco che si affaccia un nuovo problema, ancora più grave, forse, del saper o non saper perdere: Nel mondo di oggi, manca una solida e diffusa mentalità del dono gratuito, del dono fine a se stesso, del dare senza suscitare in colui che riceve lo scrupolo di doversi sdebitare alla prima occasione... Troppo radicato è il clima di diffidenza e di sospetto: "Nessuno fa niente per niente!", "Nessuno ti regala niente!", "Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio!"... evvai così!
Fin da bambini respiriamo quest'aria di diffidenza e di sospetto, ne siamo addirittura educati... "Fatti furbo!", "Il mondo è dei furbi!"...evvai così!
Ebbene, il Vangelo è in decisa controtendenza!
La parabola del buon samaritano (Lc 10,25-37) rappresenta forse l'esempio classico; ma anche quella del Signore che condona tutto il debito al debitore insolvente (Mt 18, 21-35).
Si tratta di casi in cui il protagonista prende l'iniziativa senza esservi tenuto, senza aver un apparente motivo e soprattutto senza (poter) contare sul contraccambio; dal momento che i destinatari del gesto non sono assolutamente in grado di rispondere a quella inattesa e scriteriata generosità.
Se guardiamo alla legge, motivi per agire in termini di assoluta gratuità non ne troveremo.
Possiamo stare tranquilli e continuare a pensare e agire avendo la legge dalla nostra parte...
Gesù ha preferito un'altra legge, non scritta, ma molto più ampia ed esigente.
Niente da stupirsi che sulla croce abbia fatto la figura del fesso, per dirla con un termine decente. Ecco la sfida che oggi il Signore severamente lancia a ciascuno di noi: "Chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me.".
La fede cristiana è (soltanto) una proposta: se tuttavia accogliamo la proposta, non possiamo più discutere se rimanere fedeli alla legge del "puro dovuto", puntando, per così dire, al minimo sindacale. Se accogliamo la proposta di aderire al Cristo della fede, la mentalità del dono gratuito, fine a se stesso e, per di più, a costo della vita, diventa un obbligo...senza ‘sé e senza ‘ma'!
Fonte:http://www.qumran2.net/
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