MONASTERO MARANGO,SS. Corpo e Sangue di Cristo
SS. Corpo e Sangue di Cristo (anno A)
Letture: Dt 8,2-3.14b-16a; 1Cor 10,16-17; Gv 6,51-58
Ciò che tiene in vita il popolo di Dio
1)Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni
nel deserto.
C’è un legame tra gli avvenimenti passati e il presente. Ciò che è accaduto un tempo nella storia del popolo d’Israele, soprattutto nel suo peregrinare per quarant’anni nel deserto, non è soltanto fondamento del presente, ma è una storia che trova nel nostro oggi la sua attualità. Come a dire che siamo noi la generazione del deserto, ed è a noi che è rivolta la Parola.
Nel deserto Dio mette allo scoperto il cuore dell’uomo. E il cuore, nella cultura semita, è la sede degli orientamenti profondi e della riflessione. Nel deserto Dio vuole sapere se siamo o non siamo legati a Lui in modo assoluto.
Ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna.
Umiliare vuol dire far sentire a qualcuno la sua povertà. Riferito all’oggi, quando molti sono tentati dall’orgoglio per l’abbondanza dei beni posseduti, o per una presuntuosa autosufficienza, questo significa rifare l’esperienza di una dipendenza totale da Dio: tutti i beni che abbiamo a disposizione sono doni di Dio. L’umiltà, dunque, è un atteggiamento fondamentale nelle relazioni con il Signore, non solo nel passato, ma pure nel presente.
A questo punto ci chiediamo: per quale motivo Dio dona la «manna» nel deserto, questo cibo che «i padri non avevano conosciuto»? Perché vuole farci «capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore».
Un tempo la manna aveva ridato vita al popolo affamato e noi oggi, se vogliamo vivere, dobbiamo nutrirci «di tutto ciò che esce dalla bocca del Signore». Abituati alla citazione del Vangelo, identifichiamo spontaneamente questa espressione con la Parola di Dio. Ma, nella teologia della creazione per mezzo della Parola, «ciò che esce dalla bocca del Signore» significa, anzitutto, ogni cosa creata. Allora, in un tempo come il nostro in cui siamo tentati di «innalzare il nostro cuore» pensando di poter vivere contando solo sulle nostre forze, è bene ritrovare la certezza di fede che i beni che danno la vita sono dovuti alla creazione continua del Signore. Ma è cosa buona insistere anche nell’altro aspetto. Ciò che esce dalla bocca del Signore è la Parola, per mezzo della quale il Signore non solo crea il mondo, ma chiama all’esistenza il suo popolo. Questa interpretazione spirituale è stata ripresa dall’autore del libro della Sapienza nella sua meditazione sul miracolo della manna: «Perché i tuoi figli, che hai amato, o Signore, imparassero che non le diverse specie di frutti nutrono l’uomo, ma la tua parola tiene in vita coloro che credono in te» (Sap 16,28).
Umiltà, dipendenza, donazione del cuore, osservanza della legge di Dio, meditazione della Parola: ecco ciò che tiene in vita il popolo di Dio.
Questa rilettura dell’esperienza dell’esodo trova il suo coronamento nel vangelo di Giovanni, che paragona il pane dato da Cristo alla manna. Ormai è Cristo che, nella sua Parola così come nell’Eucaristia, è il Pane di vita, nutrimento per l’umanità in esodo verso il suo stato definitivo.
Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo disceso dal cielo».
Domandiamoci se il discorso di Gesù, tenuto nella sinagoga di Cafarnao, abbia un significato esclusivamente eucaristico. Se fosse così se ne restringerebbe di molto l’importanza. Gesù si rivela come «il pane della vita» in tutto quello che fa, in tutta la sua attività messianica. Ma si afferma come tale, in un modo del tutto particolare, nell’Eucaristia, che si offre a noi come il simbolo e il segno più efficace del Cristo salvatore. In nessun’altra parte Cristo è pienamente e realmente ciò che è, quanto nell’Eucaristia, il «sacramento» per eccellenza di Gesù, pane di vita. L’Eucaristia non è solo il memoriale della morte di Cristo, un avvenimento sepolto nel passato; e non è nemmeno solo annuncio e speranza di una salvezza che otterremo definitivamente al momento del ritorno glorioso del Signore. L’Eucaristia è presenza viva del Salvatore, dono attuale di vita eterna, «farmaco di immortalità», come dicevano i padri.
Nell’Eucaristia è tutto: «tutta la creazione, tutto l’uomo, tutta la storia, tutta la grazie e la redenzione: tutto Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo: per Gesù, Dio e Uomo, nell’atto, operante in noi, della sua morte di croce, della sua risurrezione e ascensione alla destra del Padre, e del suo glorioso ritorno» (G. Dossetti, La piccola regola).
Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane.
Permettete che il commento a questo brano di San Paolo ai Corinzi lo faccia Sant’Agostino.
“Se vuoi comprendere il corpo di Cristo ascolta l’Apostolo che dice ai fedeli: «Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra» (1Cor 12,27). Se dunque siete voi il corpo di Cristo e le sue membra, sulla mensa del Signore viene posto il vostro mistero: il vostro sacro mistero ricevete. A ciò che voi siete, rispondete: Amen, e rispondendo lo sottoscrivete. Odi infatti: «Il Corpo di Cristo» e rispondi: «Amen». Sii veramente membro del corpo di Cristo, perché l’Amen sia vero.
Perché allora nel pane? Qui non portiamo idee nostre, ma udiamo lo stesso Apostolo che, parlando di questo sacramento, dice: «Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo» (1Cor 10,17). Comprendete e gioitene: unità, verità, pietà, carità. «Un solo pane». Chi è quest’unico pane? «Pur essendo molti, siamo un corpo solo». Riflettete che il pane non si fa con un solo chicco di grano, ma con molti. Siate quello che vedete, e ricevete ciò che siete” (Sant’Agostino, Discorsi, 272).
Giorgio Scatto
Fonte:www.monasteromarango.it/
Letture: Dt 8,2-3.14b-16a; 1Cor 10,16-17; Gv 6,51-58
Ciò che tiene in vita il popolo di Dio
1)Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni
nel deserto.
C’è un legame tra gli avvenimenti passati e il presente. Ciò che è accaduto un tempo nella storia del popolo d’Israele, soprattutto nel suo peregrinare per quarant’anni nel deserto, non è soltanto fondamento del presente, ma è una storia che trova nel nostro oggi la sua attualità. Come a dire che siamo noi la generazione del deserto, ed è a noi che è rivolta la Parola.
Nel deserto Dio mette allo scoperto il cuore dell’uomo. E il cuore, nella cultura semita, è la sede degli orientamenti profondi e della riflessione. Nel deserto Dio vuole sapere se siamo o non siamo legati a Lui in modo assoluto.
Ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna.
Umiliare vuol dire far sentire a qualcuno la sua povertà. Riferito all’oggi, quando molti sono tentati dall’orgoglio per l’abbondanza dei beni posseduti, o per una presuntuosa autosufficienza, questo significa rifare l’esperienza di una dipendenza totale da Dio: tutti i beni che abbiamo a disposizione sono doni di Dio. L’umiltà, dunque, è un atteggiamento fondamentale nelle relazioni con il Signore, non solo nel passato, ma pure nel presente.
A questo punto ci chiediamo: per quale motivo Dio dona la «manna» nel deserto, questo cibo che «i padri non avevano conosciuto»? Perché vuole farci «capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore».
Un tempo la manna aveva ridato vita al popolo affamato e noi oggi, se vogliamo vivere, dobbiamo nutrirci «di tutto ciò che esce dalla bocca del Signore». Abituati alla citazione del Vangelo, identifichiamo spontaneamente questa espressione con la Parola di Dio. Ma, nella teologia della creazione per mezzo della Parola, «ciò che esce dalla bocca del Signore» significa, anzitutto, ogni cosa creata. Allora, in un tempo come il nostro in cui siamo tentati di «innalzare il nostro cuore» pensando di poter vivere contando solo sulle nostre forze, è bene ritrovare la certezza di fede che i beni che danno la vita sono dovuti alla creazione continua del Signore. Ma è cosa buona insistere anche nell’altro aspetto. Ciò che esce dalla bocca del Signore è la Parola, per mezzo della quale il Signore non solo crea il mondo, ma chiama all’esistenza il suo popolo. Questa interpretazione spirituale è stata ripresa dall’autore del libro della Sapienza nella sua meditazione sul miracolo della manna: «Perché i tuoi figli, che hai amato, o Signore, imparassero che non le diverse specie di frutti nutrono l’uomo, ma la tua parola tiene in vita coloro che credono in te» (Sap 16,28).
Umiltà, dipendenza, donazione del cuore, osservanza della legge di Dio, meditazione della Parola: ecco ciò che tiene in vita il popolo di Dio.
Questa rilettura dell’esperienza dell’esodo trova il suo coronamento nel vangelo di Giovanni, che paragona il pane dato da Cristo alla manna. Ormai è Cristo che, nella sua Parola così come nell’Eucaristia, è il Pane di vita, nutrimento per l’umanità in esodo verso il suo stato definitivo.
Gesù disse alla folla: «Io sono il pane vivo disceso dal cielo».
Domandiamoci se il discorso di Gesù, tenuto nella sinagoga di Cafarnao, abbia un significato esclusivamente eucaristico. Se fosse così se ne restringerebbe di molto l’importanza. Gesù si rivela come «il pane della vita» in tutto quello che fa, in tutta la sua attività messianica. Ma si afferma come tale, in un modo del tutto particolare, nell’Eucaristia, che si offre a noi come il simbolo e il segno più efficace del Cristo salvatore. In nessun’altra parte Cristo è pienamente e realmente ciò che è, quanto nell’Eucaristia, il «sacramento» per eccellenza di Gesù, pane di vita. L’Eucaristia non è solo il memoriale della morte di Cristo, un avvenimento sepolto nel passato; e non è nemmeno solo annuncio e speranza di una salvezza che otterremo definitivamente al momento del ritorno glorioso del Signore. L’Eucaristia è presenza viva del Salvatore, dono attuale di vita eterna, «farmaco di immortalità», come dicevano i padri.
Nell’Eucaristia è tutto: «tutta la creazione, tutto l’uomo, tutta la storia, tutta la grazie e la redenzione: tutto Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo: per Gesù, Dio e Uomo, nell’atto, operante in noi, della sua morte di croce, della sua risurrezione e ascensione alla destra del Padre, e del suo glorioso ritorno» (G. Dossetti, La piccola regola).
Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all’unico pane.
Permettete che il commento a questo brano di San Paolo ai Corinzi lo faccia Sant’Agostino.
“Se vuoi comprendere il corpo di Cristo ascolta l’Apostolo che dice ai fedeli: «Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra» (1Cor 12,27). Se dunque siete voi il corpo di Cristo e le sue membra, sulla mensa del Signore viene posto il vostro mistero: il vostro sacro mistero ricevete. A ciò che voi siete, rispondete: Amen, e rispondendo lo sottoscrivete. Odi infatti: «Il Corpo di Cristo» e rispondi: «Amen». Sii veramente membro del corpo di Cristo, perché l’Amen sia vero.
Perché allora nel pane? Qui non portiamo idee nostre, ma udiamo lo stesso Apostolo che, parlando di questo sacramento, dice: «Poiché c’è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo» (1Cor 10,17). Comprendete e gioitene: unità, verità, pietà, carità. «Un solo pane». Chi è quest’unico pane? «Pur essendo molti, siamo un corpo solo». Riflettete che il pane non si fa con un solo chicco di grano, ma con molti. Siate quello che vedete, e ricevete ciò che siete” (Sant’Agostino, Discorsi, 272).
Giorgio Scatto
Fonte:www.monasteromarango.it/
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