mons. Antonio Riboldi"La nostra fede alla prova"

La nostra fede alla prova
mons. Antonio Riboldi
XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)
  Visualizza Mt 10,37-42
Leggendo ben Mt 10,37-42e la vita di Gesù, raccontata nel Vangelo, risalta in modo chiaro che per
Lui amare voleva dire accogliere tutti, senza distinzione. Per Lui non c'era differenza tra uomo o donna, tra ebrei o gentili. Lui sapeva benissimo di essere tra noi per fare conoscere l'amore del Padre, che li voleva suoi figli, tutti, senza distinzione. Sapeva leggere le difficoltà di ciascuno, come leggesse nel cuore di tutti, fino in fondo, e a tutti dava un posto nel Suo Cuore.
Non è neanche pensabile che Gesù, Figlio di Dio, mandato dal Padre a salvarci, potesse considerare qualcuno estraneo, o straniero, dividendo così il mondo e l'umanità in privilegiati e rifiutati. E conobbe Lui stesso la sorte di chi è accolto con amore, come fu con i suoi amici di Betania, Marta, Maria, Lazzaro, e conobbe il netto, totale rifiuto, fino alla crocifissione, l'estremo rifiuto. Ma Lui, anche da lì, permise che il Suo Cuore fosse trafitto, versando le ultime gocce di acqua e di sangue, come a dire che lì c'era posto per tutti.
Non solo, ma fece della sua vita un continuo rincorrere l'uomo, anche quando questi preferiva fuggire, come è nella parabola della pecora smarrita o in quella meravigliosa del figlio prodigo. Sapeva molto bene chi siamo noi, nell'abisso della nostra sofferenza o rifiuto, ma sapeva farsi strada anche nel cuore più tormentato: come fu con la Samaritana al pozzo, con l'adultera, con Maria Maddalena, con Matteo, l'esattore delle tasse.
Ed ancora oggi va in cerca di ciascuno di noi per accoglierci e farci conoscere la bellezza della vita con Lui. Non è neppure concepibile, anzi sarebbe grave bestemmia, il solo pensare che Gesù o il Padre, ignori qualcuno di noi, anche se siamo i peggiori peccatori.
Avessimo la capacità, che tante volte i santi della carità hanno, di scendere nel segreto della nostra vita, credo nascerebbe anche in noi la compassione, che fa spalancare le porte del cuore.
La meravigliosa realtà, che è la prova della nostra fede e della nostra carità, è l'accoglienza. "Chi accoglie voi, accoglie me, e chi accoglie me accoglie Colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto. E chi avrà dato anche un solo bicchiere di acqua fresca ad uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità vi dico: non perderà la sua ricompensa" (Matteo).
E la Sacra Scrittura, oggi, ci racconta la stupenda accoglienza del profeta Eliseo. "Un giorno Eliseo passava per Sunne, dove c'era una donna facoltosa, che lo invitò con insistenza a tavola. In seguito, tutte le volte che passava, si fermava a mangiare da lei. Essa disse al marito: "Io so che è un uomo di Dio, un santo, colui che passa sempre da noi. Prepariamogli una piccola camera al piano di sopra, in muratura, mettiamoci un letto, un tavolo, una sedia e una lampada, sì che venendo da noi, vi si possa ritirare".
Recatosi egli un giorno là, si ritirò nella camera e vi si coricò.
Eliseo chiese al suo servo: "Che cosa si può fare per questa donna?"
Il servo disse: "Purtroppo essa non ha figli e suo marito è vecchio". Eliseo disse: "Chiamala!" La chiamò; essa si fermò sulla porta. Allora disse: "L'anno prossimo, in questa stessa stagione, terrai in braccio un figlio" (4,8-16).
Ci rammarica, ed è segno che il Vangelo è volato lontano, che a causa delle immigrazioni, e non solo, oggi, tante volte, affiora il rifiuto dell'immigrato o lo si copre di disprezzo, o lo si usa come merce per la produzione come non fosse uomo, ma una soma da rimandare a casa appena finisce l'uso. E a volte si proibisce che gli immigrati possano unirsi qui da noi con le loro famiglie, come sarebbe giusto agli occhi di Dio e degli uomini.
E questo è indice che la nostra non è fede. Potremmo dire: "Chi non accoglie voi non accoglie me", ossia il rifiuto del fratello è rifiuto di Dio.
Da parroco del Belice, siccome per necessità di lavoro, tantissimi emigravano o in Francia o in Germania o in Svizzera o negli Stati Uniti, credetti mio dovere visitarli, per ricreare quella unità familiare che si spezzava con la emigrazione. E ricordo tante volte il disprezzo che circondava l'emigrato. In una città, volendo una domenica visitare un parco verde, fummo rifiutati da un avviso che diceva: "Vietato ai cani e agli italiani". Essere emigrati allora, troppe volte significava emarginazione, come se non fossimo uguali. Mi si proibì una domenica di celebrare la Messa con i locali. "La direte dopo, mi fu detto, questa è la nostra Messa e voi non potete stare con noi". Ma poteva essere quella una Eucarestia? Era un rifiuto di Dio!
Così come ancora più diffuso è quello stare insieme, magari in famiglia, come mariti o mogli o figli, e sentirsi estranei, non accolti con l'amore dovuto, facendo della vita un vero inferno. Non si dovrebbe coniugare la parola "accoglienza" a cominciare dalla famiglia? E lo stesso avviene nelle Eucarestie che pure dovrebbero essere il segno visibile della accoglienza e della festa. Quanti rifiuti! Quanto dolore!
Senza parlare del rifiuto dei fratelli detenuti. Ho vissuto una stagione in cui ho fatto della visita ai detenuti, in tutte le prigioni italiane, un mio preciso compito pastorale. Quelle mura di cemento, ben custodite perché nessuno potesse fuggire, la dicevano lunga sul sentirsi soli e non accolti.
E ricordo che un giorno, in una pubblica assemblea, in cui sollecitavo tutti a prendersi cura anche di chi aveva fatto del male, con l'amore, uno alla fine mi apostrofò: "La perdoniamo per quello che ha detto perché lei è l'uomo del Belice. Ma non parli più di questi dannati".
E' vero anche, ed è un segno di grande crescita nella fede e nella carità, che oggi non c'è paese o città, o parrocchia che non abbia "luoghi di accoglienza", dove si cerca non solo di dare un pasto o un letto a chi ha nulla, ma di riportare l'uomo al centro della nostra attenzione e quindi della nostra carità. Dovremmo moltiplicare questi centri: non solo, ma accogliere tutti senza distinzione, come fa Gesù, e fare dono del nostro amore perché escano dalla loro solitudine e si sentano uomini a pari dignità e giustizia.
A volte leggo che in parecchie missioni in Africa o Brasile o altrove, nonostante la mancanza di mezzi, sorgono centri di accoglienza sopratutto per chi è povero, o cerca di sfuggire alla crudeltà delle guerriglie o è malato di AIDS.
Quel condividere tutto con questi fratelli è davvero come lo spezzare il pane nella Eucarestia. E sono certo che sono questi centri, questo spirito di accoglienza che salva il mondo agli occhi di Dio.
"Ogni estate, mi raccontava un piccolo commerciante, giovane, con famiglia, parto con i miei in una missione, con tutto quello che ho guadagnato e per tre mesi vivo in un centro di accoglienza. Mi sento davvero in Paradiso!"
E credo che tutti voi, che mi leggete, avete sentito non solo il racconto di questi fratelli, che sacrificano le vacanze per farsi vicini a chi ha bisogno di noi. E credo che tutti abbiate accolto la verità delle parole di Gesù: "Chi accoglie voi, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato".
Amava dire Madre Teresa di Calcutta: "Non ho paura di morire, perché sono certa che sulla porta del Paradiso troverò tantissimi che ho raccolto dai marciapiedi delle città per dare loro tutte le cure". Se è vero, che Calcutta, come scrisse Lapierre, è "la città della gioia", Madre Teresa avrà trovato la sua città in Paradiso.
Piace rileggere il commento alla sesta stazione della Via Crucis, dettata quest'anno dall'attuale Papa Benedetto XVI:
"Il tuo volto, Signore, io cerco. Non nascondermi il tuo volto!"
Veronica - Berenice, secondo la tradizione greca, incarna questo anelito che accomuna tutti gli uomini pii dell'Antico Testamento, l'anelito di tutti gli uomini credenti, a vedere il volto di Dio. Sulla Via Crucis di Gesù, comunque, ella, all'inizio, non rende altro che un servizio di bontà femminile: offre un sudario a Gesù. Non si fa contagiare dalla brutalità dei soldati, né immobilizzare dalla paura dei discepoli. E' l'immagine della donna buona, che, nel turbamento e nella oscurità dei cuori, mantiene il coraggio della bontà, non permette che il suo cuore si ottenebri. "Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio".
All'inizio Veronica vede soltanto il volto maltrattato e segnato dal dolore. Ma l'atto d'amore imprime nel suo cuore la vera immagine di Gesù: nel volto umano, pieno di sangue e di ferite, ella vede il volto di Dio e della sua bontà, che ci segue anche nel più profondo sempre. Soltanto con il cuore possiamo vedere Gesù. Soltanto l'amore ci fa riconoscere Dio, che è l'amore stesso.
Preghiamo
Signore, donaci l'inquietudine del cuore che cerca il tuo volto. Proteggici dall'ottenebramento del cuore che vede solo la superficie delle cose. Donaci quella schiettezza e purezza che ci rende capaci di compiere grandi cose; donaci il coraggio di un'umile bontà. Imprimi il tuo volto nei nostri cuori, in modo che possiamo incontrarti nei fratelli e mostrare al mondo la tua immagine. Amen." (Dalla Via Crucis dell'allora Card. Ratzinger, Sesta stazione).
E' bello risentire Gesù: "Chi accoglie voi, accoglie me e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato".
Fonte:www.qumran2.net

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