p. José María CASTILLO"LA MIA CARNE E’ VERO CIBO E IL MIO SANGUE VERA BEVANDA"
CORPO E SANGUE DI CRISTO – 18 giugno 2017 - Commento al Vangelo
LA MIA CARNE E’ VERO CIBO E IL MIO SANGUE VERA BEVANDA
di p. José María CASTILLO
Gv 6, 51-58
[In quel tempo Gesù disse alla folla:]
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io
darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Dalla cena alla messa. E dalla messa alla processione. Per questo oggi, giorno del Corpus Domini, ci risulta difficile comprendere il fatto che l’eucaristia sia, secondo il Concilio Vaticano II, “fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione” (Presbyterorum Ordinis 5,2). Cosa significa questa formula così profonda del Concilio? Questa formula riassume il posto centrale e culminante che occupa l’eucaristia nella vita della Chiesa e dei cristiani. Da questo deriva l’importanza decisiva che l’eucaristia ha avuto nella religiosità cristiana. La fede nell’eucaristia, l’esperienza della presenza di Gesù in lei e la spiritualità che queste convinzioni hanno generato in tanti credenti sono state, lungo la storia, una fonte di forza interiore e di generosità che merita la nostra adesione e deve essere una delle convinzioni per la vita dei cristiani.
Ma l’eucaristia ha subito tali cambiamenti, a partire da Gesù fino a questo momento, che risulta semplicemente irriconoscibile. Perché, da una “cena che ricrea ed innamora” (s. Giovanni della Croce), è passata ad essere una cerimonia religiosa, che ogni giorno si capisce sempre meno ed interessa meno persone. Non si sa quando abbia smesso di essere una cena di intimità e di amore e si sia trasformata in un rituale sacro. Quello che certamente sappiamo è che nel sec. VIII il rituale si è separato dai fedeli, ha continuato ad essere celebrato in latino, benché la gente avesse già iniziato a parlare le lingue attuali, la “diceva” un prete di spalle al popolo e la “ascoltava” un popolo al quale ha iniziato ad interessare soprattutto il “vedere l’ostia consacrata”; da questo, a partire dal sec. XIII sono nate le processioni con l’ostia sacra, che si facevano ogni volta che c’erano tempeste o calamità pubbliche ed i fedeli erano interessati al fatto che il prete mantenesse le mani alzate per vedere l’ostia il maggior tempo possibile. Inoltre, i teologi di allora hanno detto che la caratteristica specifica del prete è il potere di consacrare nella messa. Con questo l’eucaristia ha smesso di essere un atto della comunità ed è passata ad essere un privilegio del clero.
Così il “miracolo”, il “mistero” e la “autorità” hanno prevalso. Perché sono “le tre forze capaci di soggiogare per sempre la coscienza dei deboli” (F. Dostoevskij). E questo ci è rimasto: messe con le quali il clero mantiene il suo potere ed i suoi vantaggi (anche economici), alle quali assistono normalmente persone anziane, alle quali risulta difficile comprendere la messa, atti sociali per mettere in luce alcuni o liturgie pompose che nessuno sa a che cosa servano. Non è urgente che tra tutti noi rinnoviamo l’esperienza originale della Cena di Gesù? È una delle urgenze più grandi che ha la Chiesa in questo momento. E tutti dovremmo chiederlo ai preti, ai vescovi, alla Curia Vaticana, al Papa. È responsabilità di tutti.
Fonte:http://www.ildialogo.org
LA MIA CARNE E’ VERO CIBO E IL MIO SANGUE VERA BEVANDA
di p. José María CASTILLO
Gv 6, 51-58
[In quel tempo Gesù disse alla folla:]
«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io
darò è la mia carne per la vita del mondo».
Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda.
Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
Dalla cena alla messa. E dalla messa alla processione. Per questo oggi, giorno del Corpus Domini, ci risulta difficile comprendere il fatto che l’eucaristia sia, secondo il Concilio Vaticano II, “fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione” (Presbyterorum Ordinis 5,2). Cosa significa questa formula così profonda del Concilio? Questa formula riassume il posto centrale e culminante che occupa l’eucaristia nella vita della Chiesa e dei cristiani. Da questo deriva l’importanza decisiva che l’eucaristia ha avuto nella religiosità cristiana. La fede nell’eucaristia, l’esperienza della presenza di Gesù in lei e la spiritualità che queste convinzioni hanno generato in tanti credenti sono state, lungo la storia, una fonte di forza interiore e di generosità che merita la nostra adesione e deve essere una delle convinzioni per la vita dei cristiani.
Ma l’eucaristia ha subito tali cambiamenti, a partire da Gesù fino a questo momento, che risulta semplicemente irriconoscibile. Perché, da una “cena che ricrea ed innamora” (s. Giovanni della Croce), è passata ad essere una cerimonia religiosa, che ogni giorno si capisce sempre meno ed interessa meno persone. Non si sa quando abbia smesso di essere una cena di intimità e di amore e si sia trasformata in un rituale sacro. Quello che certamente sappiamo è che nel sec. VIII il rituale si è separato dai fedeli, ha continuato ad essere celebrato in latino, benché la gente avesse già iniziato a parlare le lingue attuali, la “diceva” un prete di spalle al popolo e la “ascoltava” un popolo al quale ha iniziato ad interessare soprattutto il “vedere l’ostia consacrata”; da questo, a partire dal sec. XIII sono nate le processioni con l’ostia sacra, che si facevano ogni volta che c’erano tempeste o calamità pubbliche ed i fedeli erano interessati al fatto che il prete mantenesse le mani alzate per vedere l’ostia il maggior tempo possibile. Inoltre, i teologi di allora hanno detto che la caratteristica specifica del prete è il potere di consacrare nella messa. Con questo l’eucaristia ha smesso di essere un atto della comunità ed è passata ad essere un privilegio del clero.
Così il “miracolo”, il “mistero” e la “autorità” hanno prevalso. Perché sono “le tre forze capaci di soggiogare per sempre la coscienza dei deboli” (F. Dostoevskij). E questo ci è rimasto: messe con le quali il clero mantiene il suo potere ed i suoi vantaggi (anche economici), alle quali assistono normalmente persone anziane, alle quali risulta difficile comprendere la messa, atti sociali per mettere in luce alcuni o liturgie pompose che nessuno sa a che cosa servano. Non è urgente che tra tutti noi rinnoviamo l’esperienza originale della Cena di Gesù? È una delle urgenze più grandi che ha la Chiesa in questo momento. E tutti dovremmo chiederlo ai preti, ai vescovi, alla Curia Vaticana, al Papa. È responsabilità di tutti.
Fonte:http://www.ildialogo.org
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