padre Gian Franco Scarpitta"In terra e non solo lassù"
In terra e non solo lassù
padre Gian Franco Scarpitta
XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (02/07/2017)
Vangelo: Mt 10,37-42
«Sono andato in cielo ma non ho visto alcun Dio» è la famosa espressione di Gagarin dopo la sua
ascesa nell'immensità dello spazio galattico. Scrutare la profondità della volta celeste e andare oltre la stratosfera del nostro pianeta probabilmente corrispondeva per lui a ravvisare un luogo in cui potesse dimorare la divinità. Ma come si può pretendere di incontrare Dio nell'immensità dello spazio interstellare se non si è stati capaci di riscontrarne la presenza attorno a noi, nello stesso pianeta in cui viviamo? Impresa pretestuosa e azzardata voler trovare Dio in luoghi e ambiti arcani e distanti senza averlo incontrato laddove maggiormente Lui si manifesta, cioè nell'ordinarietà della nostra vita. Dio lo si trova attorno a noi, perché ci si è rivelato Padre di tutti, che agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti (Ef 4,6) e non occorre cercarlo in astratte dimensioni. Anzi, quelle non ci permetterebbero mai di farne esperienza. E soprattutto è l'esperienza immediata, semplice e dai piccoli risvolti che ci consente di vivere la presenza di Dio. Non ultima la presenza del fratello, dell'amico, del bisognoso e, come evinto facilmente da questa liturgia, anche del forestiero che bussa alla nostra porta. Nella prima lettura Eliseo viene accolto da una donna di Sunem, che prima lo rifocilla più volte a pranzo e poi gli mette a disposizione un luogo in cui dimorare. Ella riconosce nel suo ospite la presenza di un profeta del Signore, un suo inviato al quale va usata ospitalità e accoglienza. L'episodio non è affatto nuovo se è verr che anche Abramo inconsapevolmente aveva accolto il Signore nelle sembianze di Tre Visitatori alle querce di Mamre (Gen 18, 10 e ss). A tal proposito così si esprime l'autore della Lettera agli Ebrei: "«Non dimenticate l'ospitalità, perché. praticandola alcuni senza saperlo hanno accolto degli angeli». (Ebrei l3.2) Se Dio lo si incontra innanzitutto sulla terra, lo si vede in primo luogo nel bisognoso e nel forestiero accogliendo il quale si pratica il vero culto a lui gradito. Tante volte si nega l'ospitalità ai viandanti perché timorosi e circospetti e ci si giustifica con il ricorso alla prudenza e alla circospezione. Il che è giusto e regolare, soprattutto perché non possiamo mai essere certi di chi siano coloro che entrano a casa nostra. Ciononostante quello della prudenza può sempre trasformarsi in un alibi o in una mera giustificazione di comodo: persone bisognose di alloggio e di assistenza reale certamente se ne trovano e non di rado anche noi, quando ci disponiamo a riceverli, ci rendiamo conto di avere a che fare con dei messaggeri divini, anzi con lo stesso Signore. Ho già raccontato la mia esperienza di un gruppetto di capi scout che una sera sul tardi bussarono alla porta del convento in cui dimoravo (non attualmente) per chiedere ospitalità, dopo aver vagato in lungo e in largo bussando invano a parrocchie, canoniche e abitazioni private. La spossatezza soprattutto di una signora ultracinquantenne del gruppo, il suo sguardo attento e implorante mi resero certo che la sua era davvero una necessità a cui far fronte inderogabilmente. E una volta che ebbi accolto e rifocillato quei pellegrini, avvertii come fra di loro commentassero "la bellezza della Provvidenza improvvisa". In realtà io stesso pensai all'episodio della ricerca notturna di Maria e Giuseppe che non trovavano posto nell'albergo e anche se la circostanza non era similare mi rendevo conto di aver ospitato lo stesso Gesù. Quando è rivolta a tutti coloro che chiedono asilo, l'ospitalità merita sempre le sue ricompense; soprattutto perché in coloro che vengono a trovarci c'è sempre il Signore, quel Dio che sfugge alla nostra percezione sensoriale ma che abbiamo modo di vedere nel fratello che vediamo (Giovanni).
E questo soprattutto quando chi bussa alla nostra porta è un latore di divini messaggi, un profeta. Gesù in tal senso è molto perentorio nelle sue parole: "Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto.
Non si parla solamente di obblighi, ma anche di ricompense future e di guadagni, perché chi esercita l'accoglienza in definitiva pratica la carità e la messa in pratica di questa è sempre un atto di fede. Non è infatti credere e affidarsi l'accogliere un profeta nient'altro che come un profeta? E la fede non si tramuta necessariamente nella carità effettiva e operosa? Questa ci colloca nell'ottica delle Beatiiitudini, che a loro volta prevedono impegno, ma anche giusta ricompensa finale. Accogliere poi un missionario riscontrando in lui la presenza stessa del Signore Gesù Cristo, equivale a vivere una fede dalla portata non indifferente che agli occhi di Dio non passerà mai inosservata.
La fede e la carità sono indice di un'attitudine basilare a non anteporre nulla a Dio e ad attribuire il primato su ogni cosa a Gesù suo Figlio. Solo mettere Dio al primo posto, come di fatto Gesù esorta nel suo invito a non amare nulla al di sopra di lui, è garanzia che noi viviamo di Dio e vediamo questo Dio davvero dappertutto. E non solamente nell'immensità dei cieli.
Fonte:http://www.qumran2.net
padre Gian Franco Scarpitta
XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (02/07/2017)
Vangelo: Mt 10,37-42
«Sono andato in cielo ma non ho visto alcun Dio» è la famosa espressione di Gagarin dopo la sua
ascesa nell'immensità dello spazio galattico. Scrutare la profondità della volta celeste e andare oltre la stratosfera del nostro pianeta probabilmente corrispondeva per lui a ravvisare un luogo in cui potesse dimorare la divinità. Ma come si può pretendere di incontrare Dio nell'immensità dello spazio interstellare se non si è stati capaci di riscontrarne la presenza attorno a noi, nello stesso pianeta in cui viviamo? Impresa pretestuosa e azzardata voler trovare Dio in luoghi e ambiti arcani e distanti senza averlo incontrato laddove maggiormente Lui si manifesta, cioè nell'ordinarietà della nostra vita. Dio lo si trova attorno a noi, perché ci si è rivelato Padre di tutti, che agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti (Ef 4,6) e non occorre cercarlo in astratte dimensioni. Anzi, quelle non ci permetterebbero mai di farne esperienza. E soprattutto è l'esperienza immediata, semplice e dai piccoli risvolti che ci consente di vivere la presenza di Dio. Non ultima la presenza del fratello, dell'amico, del bisognoso e, come evinto facilmente da questa liturgia, anche del forestiero che bussa alla nostra porta. Nella prima lettura Eliseo viene accolto da una donna di Sunem, che prima lo rifocilla più volte a pranzo e poi gli mette a disposizione un luogo in cui dimorare. Ella riconosce nel suo ospite la presenza di un profeta del Signore, un suo inviato al quale va usata ospitalità e accoglienza. L'episodio non è affatto nuovo se è verr che anche Abramo inconsapevolmente aveva accolto il Signore nelle sembianze di Tre Visitatori alle querce di Mamre (Gen 18, 10 e ss). A tal proposito così si esprime l'autore della Lettera agli Ebrei: "«Non dimenticate l'ospitalità, perché. praticandola alcuni senza saperlo hanno accolto degli angeli». (Ebrei l3.2) Se Dio lo si incontra innanzitutto sulla terra, lo si vede in primo luogo nel bisognoso e nel forestiero accogliendo il quale si pratica il vero culto a lui gradito. Tante volte si nega l'ospitalità ai viandanti perché timorosi e circospetti e ci si giustifica con il ricorso alla prudenza e alla circospezione. Il che è giusto e regolare, soprattutto perché non possiamo mai essere certi di chi siano coloro che entrano a casa nostra. Ciononostante quello della prudenza può sempre trasformarsi in un alibi o in una mera giustificazione di comodo: persone bisognose di alloggio e di assistenza reale certamente se ne trovano e non di rado anche noi, quando ci disponiamo a riceverli, ci rendiamo conto di avere a che fare con dei messaggeri divini, anzi con lo stesso Signore. Ho già raccontato la mia esperienza di un gruppetto di capi scout che una sera sul tardi bussarono alla porta del convento in cui dimoravo (non attualmente) per chiedere ospitalità, dopo aver vagato in lungo e in largo bussando invano a parrocchie, canoniche e abitazioni private. La spossatezza soprattutto di una signora ultracinquantenne del gruppo, il suo sguardo attento e implorante mi resero certo che la sua era davvero una necessità a cui far fronte inderogabilmente. E una volta che ebbi accolto e rifocillato quei pellegrini, avvertii come fra di loro commentassero "la bellezza della Provvidenza improvvisa". In realtà io stesso pensai all'episodio della ricerca notturna di Maria e Giuseppe che non trovavano posto nell'albergo e anche se la circostanza non era similare mi rendevo conto di aver ospitato lo stesso Gesù. Quando è rivolta a tutti coloro che chiedono asilo, l'ospitalità merita sempre le sue ricompense; soprattutto perché in coloro che vengono a trovarci c'è sempre il Signore, quel Dio che sfugge alla nostra percezione sensoriale ma che abbiamo modo di vedere nel fratello che vediamo (Giovanni).
E questo soprattutto quando chi bussa alla nostra porta è un latore di divini messaggi, un profeta. Gesù in tal senso è molto perentorio nelle sue parole: "Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto.
Non si parla solamente di obblighi, ma anche di ricompense future e di guadagni, perché chi esercita l'accoglienza in definitiva pratica la carità e la messa in pratica di questa è sempre un atto di fede. Non è infatti credere e affidarsi l'accogliere un profeta nient'altro che come un profeta? E la fede non si tramuta necessariamente nella carità effettiva e operosa? Questa ci colloca nell'ottica delle Beatiiitudini, che a loro volta prevedono impegno, ma anche giusta ricompensa finale. Accogliere poi un missionario riscontrando in lui la presenza stessa del Signore Gesù Cristo, equivale a vivere una fede dalla portata non indifferente che agli occhi di Dio non passerà mai inosservata.
La fede e la carità sono indice di un'attitudine basilare a non anteporre nulla a Dio e ad attribuire il primato su ogni cosa a Gesù suo Figlio. Solo mettere Dio al primo posto, come di fatto Gesù esorta nel suo invito a non amare nulla al di sopra di lui, è garanzia che noi viviamo di Dio e vediamo questo Dio davvero dappertutto. E non solamente nell'immensità dei cieli.
Fonte:http://www.qumran2.net
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