Don Marco Ceccarelli, Commento XIV Domenica Tempo Ordinario “A”

XIV Domenica Tempo Ordinario “A” – 9 Luglio 2017
I lettura: Zc 9,9-10
II lettura: Rm 8,9.11-13
Vangelo: Mt 11,25-30
- Testi di riferimento: Es 33,12-14; Nm 12,3; Dt 5,47-48; 12,9; 28,47-48; Gs 1,13-15; Tb 7,16; Sal
8,2; 23,2; 95,10-11; 116,7; Pr 9,4-6; Sap 2,13; 10,21; Sir 3,20; 6,22-28; 24,18.22; 51,23-27; Is
28,11-12; 29,14; Ger 2,20; 5,5; 6,16; 31,25; Lam 3,27; Sof 3,12-13; Mt 5,5; 13,11; 16,17; 21,5.16;
Mc 10,14-15; Gv 1,18; 6,44-45; 7,37; 12,37-40; Rm 11,33; 1Cor 1,19-21; 2,11; 14,20; 2Cor 10,1;
Eb 3,11; 4,10-11; 1Pt 2,21; 1Gv 5,3; Ap 14,11-13
1. Il rivelatore del Padre.
- Il brano di Vangelo odierno va inquadrato nel contesto del capitolo 11 di cui costituisce la
conclusione.
In tale capitolo si descrive il crescente rifiuto nei confronti di Gesù; il rifiuto di riconoscerlo
come rivelatore di Dio, come la Sapienza che è discesa dal cielo per farci conoscere Dio. All’inizio
del capitolo Giovanni Battista interroga Cristo riguardo la sua messianicità e questi risponde mostrando
le opere (11,2.5). In seguito Gesù afferma che «alla sapienza è stata resa giustizia da tutte le
sue opere» (11,19). Vale a dire: le opere che Gesù compie sono il segno che egli è la Sapienza discesa
dal cielo per rivelare il Padre (11,27) e la Sua volontà. Lui può far conoscere Dio e i suoi disegni
perché è ciò che di più intimo ha il Padre. I segreti di qualcuno sono conosciuti soltanto da chi
gli è più confidenziale; così anche per Dio (1Cor 2,11). Nell’Antico Testamento la Sapienza era ciò
che Dio aveva di più intimo e che meglio conosceva Lui e i suoi segreti (Sap 8,4; 9,9-11.16-18;
10,10). Gesù è l’intimissimo di Dio, è il Figlio che vive nel seno del Padre, è la sua Sapienza. Esiste
una conoscenza intima e reciproca fra la Sapienza e Dio; solo Dio conosce la Sapienza (Gb 28,12-
28) e soltanto la Sapienza conosce Dio (Sap 9,1-18). Ciascuno dei due rivela l’altro (Mt 11,27). Tuttavia,
nonostante che Gesù sia rivelato da Dio come la Sapienza per mezzo delle opere che compie,
egli non è riconosciuto.
- Lo stupore negativo, possiamo dire lo sconcerto, che Gesù manifesta per la non accoglienza nei
suoi confronti culmina nei versetti conclusivi del capitolo (quelli del brano odierno), in cui Gesù,
quasi inaspettatamente (apparente contrasto con quanto precede), esprime una confessione di lode.
Gesù “confessa” le imperscrutabili vie del Padre che ha “nascosto queste cose” (= non ha permesso
che fossero comprese le opere di Gesù) ai sapienti, ma le ha rivelate ai bambini (vedi sotto). Cosa
Dio ha rivelato a questi bambini che è rimasto invece nascosto ad altri? Primo: Che Cristo è il Figlio
del Padre. Questo può essere rivelato solo dal Padre (Mt 16,17); perciò se non si è disposti ad ascoltare
Dio non si può riconoscere Cristo. Qualsiasi miracolo Cristo possa fare è inutile se non si è disposti
a riconoscere Dio. D’altra parte Dio si può riconoscere soltanto attraverso il Figlio; per questo
occorre imparare da lui. Secondo: Che il giogo di Cristo è dolce e leggero (11,29-30). Ciò che
sembra estremamente pesante e mortale, diventa per coloro che imparano da Cristo un “riposo”. Ciò
che appare come uno scandalo e una stoltezza, diventa per coloro che sono istruiti da Dio una sapienza
(1Cor 1,17-25). Cristo è la Sapienza incarnata da cui occorre imparare. Il “mio giogo” è il
giogo di cui Cristo si è caricato, cioè la volontà del Padre, ma è anche Cristo stesso, la Sapienza fatta
carne, sotto la quale occorre piegare il collo, e nella quale si trova il riposo.
2. La Sapienza.
- Rivelata ai “bambini” (nepioi). La rivelazione divina non raggiunge tutti. Anche se Dio «vuole che
tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4), l’affermazione di Gesù
svela che non tutti si trovano nella condizione adeguata per accogliere la rivelazione, per capire
dalle sue opere che lui è l’inviato di Dio. Nel contesto del cap. 11 costoro sono rappresentati dalle
città che Gesù rimprovera perché hanno rifiutato di convertirsi nonostante i tanti miracoli visti
(11,20-24). La condizione di nepios (infante, bambino, lattante) sta ad indicare la condizione di chi
deve imparare ed è disposto a farlo (cfr. i diversi passi di san Paolo in cui si usa questo termine:
1Cor 3,1; 13,11; ecc.). Occorre «non diventare bambini in quanto a comprensione, ma essere nepios
in quanto al male; invece perfetti in quanto a comprensione» (1Cor 14,20). Solo in questo caso, solo
se si è nell’atteggiamento di chi sa di dover imparare si è in grado di ricevere la rivelazione della
Sapienza. I bambini sono dunque coloro che si sono posti alla scuola della Sapienza, cioè di Cristo;
sono coloro che sono disposti ad accogliere l’invito di Gesù: “venite a me … imparate da me …”.
- Nascosta ai “sapienti e intelligenti”. L’incapacità di riconoscere anche ciò che è palese viene
dall’accecamento dell’orgoglio. In Gv 12,37-40 si dice che «sebbene avesse compiuto tanti segni
davanti a loro, non credevano in lui»; e questo perché Dio «ha reso ciechi i loro occhi …». È quella
cecità causata dalla pretesa di possedere già la verità, la conoscenza delle cose, e quindi di non aver
bisogno di alcun cambiamento. È la pretesa di volere comprendere la realtà secondo gli schemi della
propria ragione, o secondo i modelli delle proprie abitudini. Ma le vie di Dio – cioè i suoi modi di
agire – non sono le vie dell’uomo. Così Mosè, in Es 33,13 chiede al Signore di fargli conoscere la
sua via, affinché egli possa conoscere Lui. Dio si fa conoscere non direttamente, perché nessuno
può vedere Dio, ma attraverso le sue vie, cioè il suo agire in mezzo agli uomini. Per questo Gesù
mostra le sue opere, che sono le opere di Dio. Per conoscere Dio dobbiamo essere in grado di vedere
e comprendere le sue vie. Ma per fare questo occorre quella mitezza e umiltà indispensabili per
accettare che le vie di Dio sono molto diverse dalle nostre, che non sono secondo i nostri schemi.
Dobbiamo accettare di lasciarci istruire. Per gli orgogliosi, per i sapienti di questo mondo, questo è
inaccettabile. Soltanto gli umili potranno comprendere la via di Dio, che è Cristo, e attraverso di lui
conoscere il Padre. Per questo se si vuole accogliere la salvezza occorre imparare da Cristo che è
mite e umile di cuore. Lui che essendo Dio, si è umiliato (Fil 2,6-8), accettando la via del Padre, il
disegno che il Padre aveva su di lui per la salvezza degli uomini. Soltanto così si giungerà al riposo,
cioè al conseguimento di quella terra promessa (cfr. Es 33,14) che è il regno di Dio per coloro che
lo accolgono.
3. Il giogo e il riposo.
- Il “giogo” indica la sottomissione a qualcuno o qualcosa (Gen 27,40; Lv 26,13; Dt 28,48; ecc.).
Chi è sottomesso riconosce che c’è qualcosa o qualcuno superiore a lui. Quando Dio libera il popolo
dalla schiavitù al Faraone, non lo fa per renderlo autonomo, ma perché presti un servizio a Lui. È
in fondo un cambio di giogo, così come indicato in Ger 2,20 e 5,5. Ovviamente il giogo di Dio, il
servire Lui, l’obbedire ai suoi comandi, è molto diverso del giogo, del servizio, dei comandi del Faraone.
È inevitabile per l’uomo essere sottomesso a qualcuno, portare un giogo. La letteratura sapienziale
invita l’uomo a sottomettersi al giogo della torah, o della sapienza (vedi testi di riferimento).
Dio invita l’uomo a prendere il Suo giogo, a servire Lui, per non essere invece sottomesso ai
suoi nemici (Dt 28,47-48). Allo stesso modo Cristo invita i suoi discepoli a prendere il suo giogo e
ad imparare da lui; egli è la torah incarnata, è la sapienza vivente. Egli stesso però si è sottomesso al
giogo del Padre e invita a seguire le sue orme. Per portare il suo giogo occorre la sua mitezza e la
sua umiltà; quella umiltà che si è mostrata nel suo abbassamento dalla condizione divina alla croce
(Fil 2,6-11).
- Chi fa questo trova il riposo. Il “riposo” a cui Dio ha condotto Israele è la terra promessa (vedi testi
di riferimento), il luogo dove il popolo poteva vivere nella comunione con Lui. Non si trova riposo
nella completa autonomia, nell’essere svincolati da qualsiasi cosa e da chiunque. Di fatto questo
è impossibile a delle creature così limitate come siamo noi. Il riposo, la pace, lo shalom, risiede
nella comunione con Dio. Il riposo è il “luogo” dove si abita stabilmente sentendosi in pace, senza
cioè desiderare di cambiare posto, perché si ha ben chiaro che non c’è altro luogo migliore che quello.
Questo “luogo” è Dio. Il nostro cuore non trova pace finché non riposa in Dio. E la via per arrivare
a Dio è Cristo. È lui che ci introduce – che ci insegna, che ci mostra come entrare – nel riposo
della terra promessa, della comunione con Dio. Il contrario è l’inquietudine di chi non trova mai pace
(cfr. Mt 12,43), di chi ha sempre bisogno di qualcos’altro, di qualche altra situazione migliore di
quella che sta vivendo. Cristo è l’immagine esemplare di colui che ha trovato riposo nella volontà
del Padre. In questo consiste la sua mitezza e umiltà.
Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it/

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