don Marco Pedron, "La grande opera......"

La grande opera......
don Marco Pedron
XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) 
  Visualizza Mt 13,24-43
Nel vangelo di Mt, Gesù è il nuovo Mosè. Mosè era salito sulla montagna e aveva dato i Dieci
Comandamenti. Anche Gesù sale sulla montagna e dà le Otto Beatitudini (Mt 5,1). Mosè aveva condotto il popolo ebreo verso la terra promessa, verso la libertà (esterna ed interna), Gesù condurrà i suoi apostoli e i suoi discepoli verso un'altra libertà. Durante i quarant'anni (40 è il numero della prova, dell'umano) di cammino, il popolo ebreo fu tentato. Durante il viaggio degli apostoli, anch'essi sono tentati e messi alla prova. Gesù ha preso le distanze dalla religione del suo tempo: ma non è ancora così per gli apostoli, che sono ancora imbevuti delle dottrine degli scribi e dei farisei. Così proprio per gli apostoli, Gesù dice le tre parabole di oggi (13, 24-33).
La parabola della zizzania dice: "Nessuno è perfetto e nessuna comunità è perfetta" (13,24-30). La parabola del granello di senapa: "Non cercate il grande risultato" (13,31-32). La parabola del lievito: "Non cercate gli effetti speciali" (13,33). Noi ci soffermeremo a commentare solo la parabola della zizzania (Mt 13, 24-30, lettura breve).
La parabola della zizzania. Gesù è costretto anche a spiegarla (13,36-43): la spiega non perché i discepoli non l'abbiano capita, ma perché non vogliono capirla così, non sono d'accordo con Gesù. Infatti, la parabola della zizzania è scomoda e per certi aspetti irritante, perché non è come vorremmo noi.
C'è un uomo che ha seminato nel suo campo del buon seme. Ma il nemico di notte semina la zizzania. La zizzania è il lolium temulentum, una graminacea, molto simile al frumento, impossibile da distinguere finché non arriva la mietitura quando la differenza è chiara, i cui grani nerastri sono tossici e hanno un effetto narcotizzante.
I rischi quindi sono due: uno di togliere anche il grano con la zizzania; due, poiché le radici si intrecciano, di sradicare con la zizzania anche il grano. Tra l'altro dobbiamo dire che il loglio non era veramente inutile: veniva bruciato e in una regione come la Palestina povera di boschi, anch'esso era molto utile.
Il messaggio è chiaro: "Dobbiamo tenere l'uno e l'altro"; "Non sta a te decidere cosa è bene e cosa è male".
Cosa aveva fatto il Signor Mosè? Per estirpare la zizzania Mosè non si era fatto tanti problemi. E' vero che nei Dieci Comandamenti consegnati da Dio proprio a Mosè c'era scritto: "Tu non ucciderai" (lett.). Ma cos'aveva fatto Mosè, per estirpare il male e i nemici?
Non aveva proprio Mosè ucciso un egiziano perché percuoteva un altro ebreo (Es 2,12)? Ma questo è niente.
Quando gli ebrei con Aronne si fecero il vitello d'oro, Mosè disse: "Chi sta con il Signore, venga da me!". E i figli di Levi andarono con lui. E per gli altri Mosè disse poi ai figli di Levi: "Ciascuno di voi tenga la spada al fianco. Passate e ripassate nell'accampamento da una porta all'altra: uccida ognuno il proprio fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio parente!" (Es 32,25-29). E con la benedizione di Dio vengono uccisi 3000 uomini. Chi non è con noi, chi è "zizzania", chi fa il male, sia eliminato.
E quando Core e Datan si ribelleranno ai metodi dispotici di Mosè, che fece il grande profeta? Invocò Dio e morirono 250 uomini (Nm 16,33).
Ma niente in confronto ai 14.700 per un'offesa a Mosè (Nm 17,14) o ai 24.000 che morirono in un solo giorno per la tresca degli Ebrei con le Moabite (Nm25,1-9).
E il signor Mosè fece lapidare un uomo che raccoglieva legna in giorno di sabato (Nm 15,32-36).
Vedete cosa può fare l'ideologia religiosa? E chi crede di agire per conto di Dio si sentirà in dovere di farlo, in dovere di "uccidere", di correggere, di condannare e di giudicare.
Gli scribi e i farisei non si fanno alcun problema ad uccidere l'adultera: lo dice la Bibbia (Gv 8,2-11)! I farisei e gli scribi diranno: "C'è scritto nella Bibbia!". "E allora?". L'ideologia giustifica tutto.
Una donna, durante la seconda guerra mondiale, dopo una notte di preghiera intensa: "Dio è grande! Ho pregato, mi ha ascoltato e ha fatto cadere tutte le bombe dall'altra parte della città".
Gesù, con questa parabola, mette in guardia gli apostoli da quella tentazione, sempre presente in ogni comunità religiosa, di formare un gruppo di soli eletti, di superiori, di migliori o di salvati.
Il Dio di Gesù "fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti" (5,43). Dio non divide i buoni dai cattivi.
Per tutta la sua vita Gesù ha combattuto contro quelli che si ritenevano giusti, bravi, buoni e condannavano come peccatori, come gente persa, sbagliata, da convertire e da condannare gli altri. Farisei, scribi e maestri della Legge erano davvero maestri in questo. Ma la stessa tentazione avveniva anche fra gli apostoli, che per il fatto di seguire il maestro si ritenevano superiori, di più degli altri (e quindi ripetevano lo stesso errore).
E la cosa si è ripetuta nei secoli: quanti fanatici, quanti difensori della fede e di Dio hanno ucciso, condannato, fatto le guerre per estirpare il male e gli eretici del mondo. La fanatica volontà di fare il bene a tutti i costi, di eliminare ogni male, ha creato le guerre sante, le rivoluzioni, le epurazioni, gli stermini razziali, le camere a gas, le inquisizioni, le crociate, la caccia alle streghe e le peggiori crudeltà. Una religione che si ritenga superiore alle altre è una religione aggressiva e pericolosa. Ogni superiorità crea inferiorità, giudizio, buoni e cattivi, gente salvata e gente condannata. Ma Dio non è questo. E Gesù non ci ha mostrato questo Dio; anzi Lui è venuto per tutti, proprio per tutti.
In cosa vuole convertirmi questa parabola? Tu sei quel campo e nel tuo campo, nella tua vita, c'è grano e zizzania. Non si può vivere pensando, provando o sperando di essere solo grano. Si è anche zizzania, ma va bene così.
Puoi accettarti e amarti anche nei tuoi lati di "zizzania", di non-luce, di non-bontà, di non-positivo.
C'è un triangolo maledetto: perfezione, senso di colpa, svalutazione.
Avete presente a scuola? Ci si impone un limite impossibile (prendere tutti 9); se non si prende 9: "Ecco dovevo prendere 9 e non l'ho preso" (colpa; sensazione di essere sbagliati) e quindi ci si svaluta: "Non valgo niente, non sono capace". Ma meno si crede di valere e meno si riuscirà.
Dovrei essere di più (perfetto), non lo sono e mi sento in colpa, quindi non valgo (svalutazione). E più non valgo e più sento che sono lontano dall'ideale che mi sono messo, che è sempre più lontano e sempre meno perfetto, sentendomi ancor di più in colpa e svalutandomi ancor di più.
Ma la domanda è: "Perché si vuol essere perfetti? Come nasce la perfezione? Perché non si può accettare di essere semplicemente umani?".
Un bambino ha bisogno di ricevere ciò che da sé non può darsi: valore, stima, riconoscimento. Un bambino vuole essere amato per quello che è.
Se lava i piatti, anche se li lava male - ma ha fatto secondo le sue massime capacità - ha bisogno di sentirsi dire: "Uau! Che bravo! Che fiero di te che sono!". Allora lui sente di aver valore. Se invece si sente dire: "Ma sono ancora sporchi", lui concluderà dentro di sé: "Sono un incapace".
Se rompe un bicchiere perché l'ha messo sul bordo del tavolo, avrà bisogno di sentirsi dire: "Non ti preoccupare, è solo un bicchiere, non è successo niente. Adesso ti insegno: se lo metti sul bordo, poi rischia di cadere. Se lo metti al centro, lì non cade". Così impara a metterlo e non si accusa. Ma se l'adulto gli urla, s'infuria come una iena, perde la pazienza gli dice: "Ma sei scemo! Sta' attento!", allora lui concluderà che è proprio un incapace.
Se quando piange gli viene detto: "Piagnone; femminuccia!" o quando ride: "Stai zitto! Non fare chiasso! Mi disturbi, ecc.", imparerà a non farlo più, a reprimere tutto questo e si sentirà sbagliato nella sua umanità.
Cosa accade allora? Allora penserà che se sarà perfetto, che in questo caso vuol dire fare come gli altri vogliono, allora sì che sarà accettato.
Il bambino cresce. Attraverso le prestazioni, la condotta integerrima, il perfezionismo, la carriera, cercherà di ottenere l'amore e la stima degli altri. Ma l'astina viene posta sempre più in alto, perché in realtà nessun risultato lo convince mai. Dentro di lui c'è sempre l'antica domanda: "Basterà?".
Grun, un grande maestro di spiritualità del nostro secolo, lo chiama "il dilettantismo ascetico": si vuole raggiungere qualcosa senza tener presente della struttura dell'essere umano.
Un bambino perfetto, "ometto", adulto, è un bambino triste che ha già rinunciato a sé. Magari io adulto sono anche orgoglioso che sia così bravo, responsabile e adulto. Ma cos'ho fatto? Avete presente il diserbante? Ho fatto la stessa cosa! Su quel terreno non crescerà nessuna erba selvatica, ma proprio nessuna: nessun fiore, nessuna rosa, nessun fiore giallo, viola o rosso. Niente di niente. Ho creato un esecutore, una statua perfetta ma senza vita, senza niente di personale o di originale. Tutto quello che fa', lo fa non a partire da sé e dal proprio cuore, ma per ottenere il premio: una volta era l'amore della mamma, poi del professore, poi della società, adesso di Dio o della gente.
E' proprio la perfezione: per-ficere, infatti, vuol dire proprio fare per uno scopo. E lo scopo nascosto dei perfetti è di essere riconosciuti dagli altri, di essere stimati.
Ecco perché la domanda del perfezionista è sempre: "Sono in regola? Va bene così? Sono a posto? Ho fatto bene? E' bene o male? Che cosa devo fare?".
1. Il perfezionista divide il mondo in buoni e cattivi. Lui non si accorge, ma è la sua vita. E' stato lui considerato cattivo (e non lo era) e adesso sta tentando di diventare buono.
2. Il perfezionista giudica gli altri: "Questo va bene, questo no, questo è buono, questo è cattivo, questo in paradiso, quello all'inferno". E' ciò che lui ha subito, ma che gli fa male riconoscere.
Avete presente il letto di Procuste? Procuste era un bandito che prendeva i passanti e poi li stendeva nel suo letto. Se il prigioniero era troppo piccolo, gli stirava gli arti finché non raggiungessero la lunghezza del letto, se era troppo grande, lungo, glieli mozzava via.
3. Il perfezionista non ha vita dentro di sé: si sente bene quando rispetta le regole non quando la Vita scorre e fluisce dentro di sé. E' l'approvazione, l'accettazione che ricerca non l'amore o la vita spirituale.
4. Il perfezionista vive fuori di sé: non si chiede mai cosa vuole lui, cosa il suo cuore gli comanda, cosa il Dio in sé gli ordina (e bisogna obbedire al Dio-in-sè), ma cosa s'ha da fare.
Ecco che Gesù con questa parabola risponde a tutti i perfezionisti, a tutti coloro che vogliono il puro bene, il puro amore, la pura fede, la pura preghiera: "Non esiste il solo puro, il solo bene, il bene staccato dal male".
Gesù le cose migliori le fece con persone nient'affatto perfette: peccatori, pubblicani, prostitute, ecc.
Un giorno raccontò una parabola meravigliosa, parlando di un fariseo, orgoglioso di sé e della sua perfezione, che si confrontava con un pezzente di un pubblicano, che, pieno di colpe, si era permesso di andare anche lui al tempio: "Ti ringrazio - prega il fariseo perfetto - che non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adulteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte la settimana e pago le decime di quanto possiedo". Il pubblicano, invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: "O Dio abbi pietà di me peccatore". E Gesù concludeva: "Questi, il pubblicano tornò a casa giustificato, a differenza dell'altro" (Lc 18,9-14).
Gesù non teme i nostri errori ma quando noi ci facciamo superiori agli altri.
La Bibbia quando dice la parola "bene/buono" usa la parola "tov" e indica la luce del primo giorno della Genesi. Quando dice "male" usa la parola "verà" che vuol dire non-ancora-luce.
Allora per la Bibbia c'è la luce e la non-ancora-luce che può essere tenebrosa solo perché la Luce non risplende ancora. Ma quando ci sarà la luce, tutto sarà chiaro!
Cosa dice Gesù? Gesù dice: "Sei grano e zizzania. Se vuoi essere solo grano ed estirpare tutto il non-bene che c'è in te, non rimarrà niente di niente". "Accettati con le tue potenzialità, i tuoi doni, le tue risorse, e anche i tuoi limiti, i tuoi errori, e le tue vulnerabilità".
E la tua opera è quella di trasformare il non-ancora-luce in luce.
Un giorno anche il demonio volle provare a creare un uomo. Disse: "Voglio creare un essere perfetto, bello, puro, incontaminato dal male e dal negativo". Ma dopo averlo creato lo guardò e iniziò a dubitare. Aveva gli occhi e poteva vedere le nudità delle donne: "Oddio, che pericolo", disse tra sé. Così glieli tolse. Ma aveva anche le mani e avrebbe potuto usarle per derubare i suoi simili e uccidere e ferire: "Oddio che rischio", e gliele tolse. Ma poi si accorse che aveva la mente. E la mente può essere crudele, può ordire crudeltà, può ingannare, può essere menzognera. E così per sicurezza gliela tolse, e per essere sicuro e non sbagliare gli tolse tutta la testa, "perché non si sa mai!". E infine si accorse che l'uomo aveva un cuore: "Oddio!", questo era veramente il pericolo più grande. "Un cuore!? Con il cuore si può lasciarsi andare alle passioni, ci si può lasciar trasportare dall'ira, ci si può innamorare di persone sbagliate, si può amare in modo perverso. E' troppo pericoloso il cuore. Per il suo bene glielo devo togliere". E così glielo tolse, e non gli rimase nulla, ma proprio niente di niente. Per salvare l'uomo lo aveva ucciso.
Questo vangelo poi dice: non giudicare. Mai! Il giudizio tenta di stabilire in maniera chiara, precisa e fiscale cosa è buono e cosa no. A volte le persone dicono: "La prima impressione è quella che vale!". E, invece, la prima impressione è soltanto la prima di una lunga serie, se vorrai farle. Ma spesso ci fermiamo lì, alla prima impressione.
Lo schema del giudizio è così: "Non è come vorrei io, come me l'aspettavo io (prima impressione), quindi non mi piace, lo rifiuto".
Siamo in treno. C'è un prete che sta dicendo il suo breviario. Entra un ragazzo con i capelli lunghi, i jeans strappati, con un "certo odore" e con un giornaletto non molto edificante. Ad un certo punto finché il giovane legge un articolo di giornale chiede al prete, sempre immerso nelle sue preghiere: "Scusi, cos'è la dispepsia (malattia cronica dovuta ad una difficile digestione)?". Il prete pensò: "Questa è l'occasione buona per fargli una bella predica e per dargli una tirata d'orecchie!". E gli disse: "La dispepsia è una malattia grave che viene a tutti coloro che vivono in maniera sregolata, fumando, bevendo e lasciandosi andare ad una vita pervertita". Il giovane lo guardò parecchio perplesso. Riprese il prete: "Non pensavi una cosa del genere, vero!", gli disse tutto soddisfatto il prete. "No, davvero", rispose il giovane, "perché qui c'è scritto che il Papa ha la dispepsia!".
Il giudizio è il tentativo di risolvere facilmente una questione. E' il tentativo di etichettare, di definire una cosa, una persona in maniera facile e definitiva. Il giudizio, l'etichettatura, evita la fatica di conoscere, di approfondire. Sono le persone superficiali che giudicano: vedono una cosa e tirano subito una conclusione. Ma la realtà è molto più grande!
Il giudizio riferisce tutto a sé (è indice di una personalità fortemente egocentrata): "Non sei come me? Non sei come voglio io? Allora non mi vai bene!". Fa di sé l'unico metro di misura, riferisce tutto a sé. Per questo non può conoscere nessuno se non che sé.
C'è una coppia che ha avuto un bebè da due settimane e tranquillamente sono andati al mare. La madre di lei giudica e disprezza la figlia come "senza sale in testa". Ma perché?
C'è un uomo che non si è mai sposato. Lui, così dice, sta bene così. I vicini lo giudicano come "strano" e fanno allusioni (non fondate) a possibili tendenze sessuali. Ma perché? Tutti devono sposarsi? Gesù non lo era.
Il giudizio funziona così. Vedi una cosa. Ciò che vedi non è come i tuoi valori. E poiché non è come i tuoi valori la cosa ti disturba perché mette in crisi le tue credenze (perché vedi che le cose possono essere anche diverse da come pensavi tu). E, invece, di mettere in gioco i tuoi valori, quindi di approfondirli, di allargarli, di cambiarli, ecc., per allontanare il disagio diventi aggressivo e condanni. In realtà quello che vedi non ti ha fatto niente: è che tu ti senti aggredito nei tuoi valori (che vuol dire sono assai deboli se basta la diversità per metterli in crisi).
Emesso il giudizio, condannato il comportamento, per te inaccettabile, stabilito che lui ha sbagliato (e quindi che il tuo modo di vedere le cose è giusto: dietro al giudizio c'è un'onnipotenza tremenda), il disagio interno (che poteva permetterti di cambiare, approfondire il tuo valore) cessa. Se lui è sbagliato, tu puoi rimanere nelle tue convinzioni.
Invece di condannare e di giudicare, afferma i tuoi valori e rispetta quelli degli altri. Invece di dire: "Sbaglia! Non si fa così! Non vale niente! ecc.", perché non dire: "Le cose si possono fare in tanti modi, io la faccio/vivo diversamente; io non farei così; si può fare anche così; non è il mio modo, è, infatti, il suo".
Un uomo a settant'anni si è risposato. I figli dicono: "Che sbaglio! Alla sua età!". Perché dici "sbagliato"? Perché non dici casomai invece: "io non lo avrei fatto ma è la sua vita".
Dopo la morte, un uomo si presentò davanti al Signore. Con molta fierezza gli mostrò le mani: "Guarda Signore come sono pulite e pure le mie mani". Il Signore gli sorrise, ma con un velo di tristezza gli disse: "E' vero, ma sono anche vuote".
Questa parabola mi invita allora a non preoccuparmi troppo di essere perfetto, puro, senz'ombra. Mi invita, invece, ad accettare la mia "zizzania" e a concentrarmi sul mio grano. Posso fare un sacco di bene anche se nel mio campo c'è zizzania, anche se non sono perfetto.
Pensiero della Settimana
Non chiedere a Dio di darti ma di metterti dove c'è.
Non chiedere a Dio di darti le risposte ma di metterti dove ci sono.
Non chiedere a Dio di dirti la verità ma di metterti dove puoi trovarla.
Non chiedere a Dio di darti l'amore ma di metterti dove c'è.
Dio non ti porta in cima alle montagne: ti dà le montagne e le gambe.

Fonte:http://www.qumran2.net/

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