mons. Roberto Brunelli"Ecco i contorni del regno di Dio"
Ecco i contorni del regno di Dio
mons. Roberto Brunelli
XVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (30/07/2017)
Visualizza Mt 13,44-52
Col brano odierno si conclude il capitolo 13 del vangelo secondo Matteo, tutto dedicato alle parabole
sul regno di Dio. Due domeniche fa abbiamo letto la parabola del seminatore: parte della sua semente va persa sul sentiero, sulle rocce o tra i cespugli; solo una porzione cade su buon terreno, dove dà frutti abbondanti. Domenica scorsa, la parabola della zizzania: anche il buon terreno dove il grano può crescere è infestato da erbacce; solo alla mietitura le si separerà dal grano e le si brucerà. Oggi, lo stesso concetto è ribadito dalla breve parabola della pesca: soltanto quando tira a riva la rete, il pescatore raccoglie in canestri i pesci buoni e getta via quelli cattivi (cioè i molluschi e i crostacei, che gli ebrei consideravano non commestibili). Si ribadisce dunque qui il concetto che gli uomini buoni e cattivi temporaneamente, cioè in questo mondo, vivono insieme, e soltanto alla fine il giudizio rivelerà a quale gruppo ciascuno ha voluto appartenere.
Ma questo capitolo del vangelo non è il solo che parli di questo argomento: con questi e altri brevi racconti, le parabole appunto, Gesù continua un discorso che permea tutto il suo insegnamento. Si può dire che quello del regno di Dio (talora designato come regno dei cieli) è un tema ricorrente, dagli inizi alla fine: il vangelo riassume gli esordi della sua vita pubblica, riferendo che "Gesù cominciò a predicare e a dire: Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino" (Matteo 4,17). E al termine della sua vita pubblica, quando è già in croce, egli esaudisce la preghiera del cosiddetto "buon ladrone" che gli ha chiesto "Ricordati di me quando entrerai nel tuo regno" (Luca 23,39-43). Di mezzo, innumerevoli sono i riferimenti a questo tema, e tra essi si pongono appunto le parabole, intese a far intuire che cosa sia il regno dei cieli, o regno di Dio.
Intuire, perché spiegarlo non è facile, trattandosi di una realtà che va oltre la comune esperienza. Il regno di Dio infatti non è in alcun modo assimilabile ai regni o alle repubbliche di questo mondo: non ha un territorio, non ha un parlamento, non riscuote tasse, non ha un esercito né tribunali. La parabola del seminatore dice che la possibilità di appartenervi è data a tutti, pur se non tutti la accolgono; la zizzania e i pesci da buttare ricordano che al momento buoni e cattivi vi convivono. Due brevi parabole di domenica scorsa accennano al suo mistero, dato da una realtà agli esordi piccolissima ma dotata di insospettate potenzialità: un pizzico di lievito basta a far fermentare una massa di farina; dal più piccolo dei semi, il quasi invisibile granello di senapa, si sviluppa una pianta tanto grande da poter accogliere nidi di uccelli. Altre due di oggi dicono la preziosità del Regno, paragonandolo a un tesoro nascosto o a una perla di incomparabile valore, che chi è accorto fa di tutto per accaparrarsi.
Tante parabole, tanti accenni: ma che cos'è dunque il regno di Dio, e chi ne fa parte? Raccogliendo queste e altre indicazioni dei vangeli, si può rispondere così: il regno è la signoria di Dio sul creato, e vi appartiene chi la riconosce (nei fatti, cioè adottando uno stile di vita adeguato). In questo mondo, il regno di Dio è una realtà in crescita, non ancora compiuta (Gesù insegna a chiedere al Padre "Venga il tuo regno"), ma riconoscerla è come aver trovato un tesoro, una perla preziosissima; è la disponibilità a farsi buon terreno, che dà frutti copiosi.
Questi esempi portano in sé un preciso orientamento per la vita di ogni singolo uomo: invitano a non essere orgogliosi o testardi al punto da ritenersi autosufficienti, né distratti o superficiali tanto da non distinguere i veri dai falsi tesori. Nulla vale di più che riconoscere la signoria di Dio, cioè stare dalla sua parte, fare la sua volontà, accogliere e ricambiare la sua amicizia. E se nulla vale di più, nulla dobbiamo cercare, nulla ci può bastare che valga di meno.
Fonte:http://www.qumran2.net
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