padre Gian Franco Scarpitta "Trasfigurazione e desiderio di novità"

Trasfigurazione e desiderio di novità
padre Gian Franco Scarpitta  
Trasfigurazione del Signore (Anno A) (06/08/2017)
  Visualizza Mt 17,1-9
Sono tre i personaggi che assistono al fenomeno spettacolare della trasformazione gloriosa di Gesù.
Gli stessi che poi presenzieranno al Getzemani all'agonia del loro Maestro e che erano stati scelti assieme ad Andrea dal gruppo dei pescatori (Mc 1, 6 - 20). Essi godono ciascuno di un primato: Pietro è infatti capo del collegio degli apostoli, Giacomo sarà il primo testimone che morirà ucciso per la causa del Cristo (Erode lo farà uccidere per primo) e Giovanni è il discepolo prediletto e sommamente amato da Gesù. Non si tratta quindi di persone casuali da di soggetti prescelti per visionare un evento che per adesso sono tenuti a tacere, ma del quale successivamente saranno chiamati ad essere testimoni, dopo averne fatto esperienza diretta.
Pietro in effetti riporta nella sua lettera (II Lettura odierna) la testimonianza veritiera e non speciosa di qualcosa di cui egli stesso è stato spettatore e che non viene raccontato con misticanza di leggende e di fantasie. La precisazione è importante perché l'avvenimento a cui si riferisce Pietro riguarda in definitiva lo svelamento della gloria di Dio nell'ordinarietà della vita umana e la presenza nel Cristo Signore della stessa gloria divina che ha anche delle radici storico salvifiche. I tre apostoli infatti assistono alla scena del loro maestro quale non l'avevano mai visto: avvolto da una nube e in vesti straordinariamente splendenti. Elementi tipici della gloria divina, quale viene espressa nell'Antico Testamento, anche a proposito del libro di Daniele, che descrive l'arrivo del Messia in candide vesti dopo aver parlato dell'avvento dell'Anticristo (la bestia) immediatamente precedente. L'immagine secondo gli esegeti si riferisce al Figlio dell'Uomo Gesù Cristo, la cui venuta sarà gloriosa e definitiva. E così Gesù si manifesta agli occhi inebetiti di Pietro, Giacomo e Giovanni: come il Signore della gloria prefigurato da Mosè ed Elia, Colui che domina il mondo e che viene esaltato (anche dalla nostra Liturgia con il medesimo episodio evangelico) come il Re dell'Universo.
Quello che avviene alla vista dei tre discepoli spettatori e sorprendente, eppure essi non dovrebbero sbigottire più del dovuto considerando che il loro Signore è il Dio della gloria, il Verbo incarnato per la salvezza loro e di tutto il genere umano: infatti essi notano, oltre al candore abbagliante senza precedenti delle vesti di Gesù anche la figura di Mosè e di Elia, il primo rappresentativo della Legge, l'altro espressivo dei Profeti, insomma della vecchia economia salvifica che è sorta anzitempo con l'alleanza di Abramo e si è sviluppata con il patto di Mosè e con la presenza degli apportatori del divino messaggio di salvezza. Tale alleanza ha il suo compimento definitivo in Cristo, essendo Questi l'immagine della gloria del Padre e la realizzazione delle antiche promesse messianiche di salvezza.
Tuttavia tale compimento non avverrà per vie di straordinaria grandezza, ma si consumerà nella morte di croce che segnerà l'avvento definitivo della salvezza con il riscatto dei peccati dell'umanità.
Ecco che allora si dispiega specialmente agli occhi di Pietro l'arcano dell'andata di Gesù a Gerusalemme. Precedentemente a questo episodio infatti, quando Gesù aveva confidato ai suoi che sarebbero andati tutti nella città del tempio dove egli sarebbe stato ucciso, Simone aveva obiettato "Dio te ne scampi!" perché mosso da un sentire di generosità e di riverenza amichevole nei riguardi del suo maestro, e tuttavia allusivo di un'errata amicizia filantropica per la quale Gesù gli aveva perentoriamente risposto: "Allontanati da me, Satana!". Infatti, mentre Pietro tentava in buona fede di salvare Gesù dal patibolo di morte, senza rendersene conto stava ostacolando i disegni di salvezza di Dio Padre, per i quali il Figlio doveva necessariamente morire di croce per risorgere e risollevare così l'umanità.
Adesso Pietro sta tangibilmente comprendendo quale era stato il suo errore in quella specifica circostanza e manifesta stupore e meraviglia considerando la magnificenza gloriosa di quel Signore fino ad allora considerato solamente alla stregua di un maestro terreno fautore di ordini e di disposizioni. Pietro comprende che la realizzazione delle medesima gloria è l'amore divino per l'umanità e la volontà di riscattare tutti dal peccato attraverso un procedimento insolito dal punto di vista umano ma ben comprensibile per chi accetta l'assurdo della "follia " dell'amore, ossia la morte crudele del patibolo e la sottomissione alle ingiustizie e alle prevaricazioni degli altri. Il Cristo che vede rifulgente di luce è insomma il Figlio di Dio che si è abbassato fino alla disfatta dell'entrata in Gerusalemme e ha accettato di buon grado di seguire quell'itinerario per conseguire la gloria attraverso un sentiero orrendo quanto necessario.
La trasfigurazione, cioè il momentaneo cambiamento della persona di Gesù, è un avvenimento insolito e straordinario che irrompe certamente nella vita dei tre astanti spettatori e ci invita a considerare come anche in noi alberga sempre un desiderio di novità, di mutamento che possa apportare un diversivo nella nostra vita. Quando avviene un grave incidente automobilistico, corriamo sul posto o quantomeno rivolgiamo lo sguardo verso le auto danneggiate e la scena attira tantissimi curiosi da ogni parte. L'irrompere di un episodio che infrange la monotonia del nostro quotidiano suscita in noi sempre adesione, risveglio. Come pure l'arrivo del circo o della fiera annuale nel paese o il divulgarsi di determinate dottrine settarie. Se ne è avviti più che altro a motivo del fascino dirompente che esse apportano, della novità assoluta che esse propongono rispetto alle consuetudini a cui siamo avvezzi.
La presenza costante di Dio nella nostra vita probabilmente non comporta per noi l'esperienza diretta che ha interessato i tre discepoli del Cristo e non necessariamente esige il sovrannaturale. Essa è una presenza certa, ma silente e proficua, da scorgersi nell'ottica della fede e dell'abbandono. Ciò non toglie che è sempre una presenza “innovativa” e straordinaria, perché ogni giorno Gesù ci raggiunge con la novità che lui stesso è per noi. La Parola di Dio che si legge nella meditazione silenziosa e nella pubblica assemblea liturgica non è mai reiterata e consueta, poiché apporta sempre novità nell'attenzione di chi ascolta. La stessa novità del Dio glorioso e trasfigurato.
Fonte:http://www.qumran2.net

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