dom Luigi Gioia, "Liberi dalle paure"
Liberi dalle paure
dom Luigi Gioia
XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (13/08/2017)
Visualizza Mt 14,22-33
Quanto bisogno non abbiamo anche noi di sentirci ripetere dal Signore Coraggio, sono io, non abbiate
paura!. È un invito a riconoscere il vero volto di Dio, a distinguerlo dalle false immagini che ci facciamo di lui, da quelli che l'Antico Testamento chiama ‘idoli'.
La più grande tentazione del popolo di Dio, fin dal momento nel quale usci dall'Egitto, fu quella di fabbricarsi delle immagini di Dio, degli idoli, e di sostituirli al Dio vivente ma invisibile. Potremmo credere di essere al riparo da questa tentazione perché non adoriamo più delle statue, non siamo politeisti, ma in realtà la nostra idolatria sopravvive assumendo altre forme.
La prima di queste forme consiste nel trasformare delle realtà buone in se stesse, ma relative, in qualcosa di assoluto. Anche nel linguaggio corrente parliamo oggi di idoli ai quali sacrifichiamo tutta la nostra vita, per i quali ci consumiamo, come il denaro, il potere, il narcisismo. Una seconda forma di idolatria consiste poi nel sostituire al Dio di Gesù l'immagine che ci facciamo di lui. Quando preghiamo, crediamo di rivolgerci al Signore, ma in realtà ci stiamo misurando con una nostra proiezione, con un Dio fatto a nostra immagine o, peggio, ad immagine delle nostre ansie e delle nostre paure. Quando per esempio chiamiamo Dio ‘padre', dobbiamo essere attenti a lasciare che la nostra percezione della paternità sia convertita grazie al vangelo. Altrimenti siamo condizionati dalla nostra esperienza umana di paternità e possiamo rappresentarci Dio come un padre autoritario, severo, distante o assente.
Un criterio infallibile per capire se nella nostra relazione con il Signore abbiamo a che fare con il Dio vivente oppure con una delle nostre proiezioni è da cercare nei sentimenti che tale rappresentazione risveglia in noi. L'idolo incute timore, alimenta la colpevolezza, ci turba, ci lascia insoddisfatti di noi stessi, scoraggiati. Oppure, al contrario troppo soddisfatti. Possiamo infatti scendere a patti con l'idolo, offrirgli qualcosa che lo plachi e garantirci così una tregua nella quale ci illudiamo di essere in regola.
Il Dio vero invece, il Padre che ci ha svelato Gesù, si riconoscerà alla luce dei frutti dello Spirito, cioè della sua presenza in noi, elencati da Paolo nella lettera ai Galati: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. Poiché è il Dio di ogni consolazione, ogni incontro autentico con lui ci ricolma di pace, ci rinfranca sul nostro cammino, ci rende certo lucidi riguardo al nostro peccato, ma solo nell'instante stesso nel quale questo è perdonato.
Ogni volta che ci rivolgiamo a Dio e che preghiamo, siamo dunque incoraggiati a verificare se siamo in presenza del Padre oppure se ci stiamo semplicemente esponendo ad una delle nostre proiezioni, ad uno dei nostri idoli. Preghiamo per prendere un minimo di distanza rispetto agli affanni della nostra vita quotidiana. Come lo vediamo fare a Gesù nel Vangelo, preghiamo per ritemprarci esponendoci all'amore e alla consolazione del Signore, per attingervi la pace e la forza di cui abbiamo bisogno nel nostro cammino.
In questo incontro, riconosceremo il Signore perché mai si impone: entra nelle nostre vite in punta di piedi, si propone a noi, con noi desidera non una relazione da maestro o da padrone a schiavo, ma da padre a figlio, da amico ad amico: Io vi ho chiamati amici, ci dice Gesù.
Certo, Gesù cammina sulle acque. Certo, è il Dio potente che può manifestarsi nel vento impetuoso, nel terremoto e nel fuoco, operare prodigi incredibili. Tutta la creazione è uscita dalle sue mani e lui ne è il Signore. Quando ci viene incontro però, lo fa con il volto che ha assunto in Gesù, quello che ci ripete: Sono io, non abbiate paura. Nell'immaginario dell'Antico Testamento, le acque rappresentano le forze oscure, ribelli, orgogliose che si oppongono al Signore. Gesù cammina su di esse non per meravigliarci, non per spaventarci, ma per rassicurarci e consolarci, per darci un segno che davvero è vincitore del male e che chi si lascia prendere per mano da lui partecipa di questa sua vittoria.
Molte sono le forme di paura, di timore, di angoscia che periodicamente ci invadono: paura di Dio o del futuro; paura perché ci sentiamo sommersi, schiacciati dall'esperienza del male, del peccato, dell'ostilità; paura perché il senso della vita ci sfugge. Tutti questi sono i casi nei quali siamo invitati a riprendere nella preghiera queste parole del Signore: Coraggio, sono io, non abbiate paura. Come con Pietro, il Signore ci farà camminare sulle acque insieme con lui, ci terrà uniti a lui e, finché restiamo con lui, nulla potrà scalfirci. Certo, anche presi per mano, anche uniti al Signore, resteremo fino alla fine della nostra vita uomini di poca fede. Questa esperienza però non ci abbatterà. Alla nostra poca fede, infatti, il Signore risponderà sempre come fece con Pietro: continuando a tenderci la mano, ad afferrarci, a tenerci saldi, attaccati a lui. Ci basta, nella preghiera, continuare a lasciare echeggiare questa assicurazione: Coraggio, sono io, non abbiate paura.
Fonte-:http://www.qumran2.net
dom Luigi Gioia
XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (13/08/2017)
Visualizza Mt 14,22-33
Quanto bisogno non abbiamo anche noi di sentirci ripetere dal Signore Coraggio, sono io, non abbiate
paura!. È un invito a riconoscere il vero volto di Dio, a distinguerlo dalle false immagini che ci facciamo di lui, da quelli che l'Antico Testamento chiama ‘idoli'.
La più grande tentazione del popolo di Dio, fin dal momento nel quale usci dall'Egitto, fu quella di fabbricarsi delle immagini di Dio, degli idoli, e di sostituirli al Dio vivente ma invisibile. Potremmo credere di essere al riparo da questa tentazione perché non adoriamo più delle statue, non siamo politeisti, ma in realtà la nostra idolatria sopravvive assumendo altre forme.
La prima di queste forme consiste nel trasformare delle realtà buone in se stesse, ma relative, in qualcosa di assoluto. Anche nel linguaggio corrente parliamo oggi di idoli ai quali sacrifichiamo tutta la nostra vita, per i quali ci consumiamo, come il denaro, il potere, il narcisismo. Una seconda forma di idolatria consiste poi nel sostituire al Dio di Gesù l'immagine che ci facciamo di lui. Quando preghiamo, crediamo di rivolgerci al Signore, ma in realtà ci stiamo misurando con una nostra proiezione, con un Dio fatto a nostra immagine o, peggio, ad immagine delle nostre ansie e delle nostre paure. Quando per esempio chiamiamo Dio ‘padre', dobbiamo essere attenti a lasciare che la nostra percezione della paternità sia convertita grazie al vangelo. Altrimenti siamo condizionati dalla nostra esperienza umana di paternità e possiamo rappresentarci Dio come un padre autoritario, severo, distante o assente.
Un criterio infallibile per capire se nella nostra relazione con il Signore abbiamo a che fare con il Dio vivente oppure con una delle nostre proiezioni è da cercare nei sentimenti che tale rappresentazione risveglia in noi. L'idolo incute timore, alimenta la colpevolezza, ci turba, ci lascia insoddisfatti di noi stessi, scoraggiati. Oppure, al contrario troppo soddisfatti. Possiamo infatti scendere a patti con l'idolo, offrirgli qualcosa che lo plachi e garantirci così una tregua nella quale ci illudiamo di essere in regola.
Il Dio vero invece, il Padre che ci ha svelato Gesù, si riconoscerà alla luce dei frutti dello Spirito, cioè della sua presenza in noi, elencati da Paolo nella lettera ai Galati: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. Poiché è il Dio di ogni consolazione, ogni incontro autentico con lui ci ricolma di pace, ci rinfranca sul nostro cammino, ci rende certo lucidi riguardo al nostro peccato, ma solo nell'instante stesso nel quale questo è perdonato.
Ogni volta che ci rivolgiamo a Dio e che preghiamo, siamo dunque incoraggiati a verificare se siamo in presenza del Padre oppure se ci stiamo semplicemente esponendo ad una delle nostre proiezioni, ad uno dei nostri idoli. Preghiamo per prendere un minimo di distanza rispetto agli affanni della nostra vita quotidiana. Come lo vediamo fare a Gesù nel Vangelo, preghiamo per ritemprarci esponendoci all'amore e alla consolazione del Signore, per attingervi la pace e la forza di cui abbiamo bisogno nel nostro cammino.
In questo incontro, riconosceremo il Signore perché mai si impone: entra nelle nostre vite in punta di piedi, si propone a noi, con noi desidera non una relazione da maestro o da padrone a schiavo, ma da padre a figlio, da amico ad amico: Io vi ho chiamati amici, ci dice Gesù.
Certo, Gesù cammina sulle acque. Certo, è il Dio potente che può manifestarsi nel vento impetuoso, nel terremoto e nel fuoco, operare prodigi incredibili. Tutta la creazione è uscita dalle sue mani e lui ne è il Signore. Quando ci viene incontro però, lo fa con il volto che ha assunto in Gesù, quello che ci ripete: Sono io, non abbiate paura. Nell'immaginario dell'Antico Testamento, le acque rappresentano le forze oscure, ribelli, orgogliose che si oppongono al Signore. Gesù cammina su di esse non per meravigliarci, non per spaventarci, ma per rassicurarci e consolarci, per darci un segno che davvero è vincitore del male e che chi si lascia prendere per mano da lui partecipa di questa sua vittoria.
Molte sono le forme di paura, di timore, di angoscia che periodicamente ci invadono: paura di Dio o del futuro; paura perché ci sentiamo sommersi, schiacciati dall'esperienza del male, del peccato, dell'ostilità; paura perché il senso della vita ci sfugge. Tutti questi sono i casi nei quali siamo invitati a riprendere nella preghiera queste parole del Signore: Coraggio, sono io, non abbiate paura. Come con Pietro, il Signore ci farà camminare sulle acque insieme con lui, ci terrà uniti a lui e, finché restiamo con lui, nulla potrà scalfirci. Certo, anche presi per mano, anche uniti al Signore, resteremo fino alla fine della nostra vita uomini di poca fede. Questa esperienza però non ci abbatterà. Alla nostra poca fede, infatti, il Signore risponderà sempre come fece con Pietro: continuando a tenderci la mano, ad afferrarci, a tenerci saldi, attaccati a lui. Ci basta, nella preghiera, continuare a lasciare echeggiare questa assicurazione: Coraggio, sono io, non abbiate paura.
Fonte-:http://www.qumran2.net
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