Don Paolo Zamengo SDB, "Domanda inquietante "
Domanda inquietante Mt 16, 13-20
27 agosto 2017 | 21a Domenica T. Ordinario - A | Omelia
Gesù pone ai suoi discepoli la domanda fondamentale, la sola che conta: “Voi chi dite che io sia?”. Gesù vuole andare in fondo. E pone la domanda due volte e in due modi diversi.
La prima volta chiede: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”, la seconda volta li interpella personalmente: “Ma voi, chi dite che io sia?”.
Perché a Gesù non interessa cosa dice la stampa teologica a suo riguardo, non gli interessano minimamente i sondaggi d’opinione. Ciò che gli sta a cuore è sapere quale è l’esperienza personale che ogni discepolo ha fatto di lui: “Per te, chi sono io?”.
A nome di tutti Pietro prende la parola: “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente!”. Parole cariche di reminiscenze straordinarie nella parlata aramaica di cui Pietro si serve e queste parole bastano a Gesù per esultare di gioia. “Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli”.
Tutte le generazioni si porranno delle domande su Gesù, domande che resteranno senza risposte o riceveranno solo risposte parziali, a volte anche false, se non saranno date dal Padre in persona.
È inevitabile che ogni epoca, ogni cultura, ogni civiltà, si attacchi a Gesù e, in un certo senso, attacchi Gesù con le domande che bruciano nel cuore. Domande legittime ma che rischiano di inquadrare il volto di Gesù in modo parziale, di deformarlo o di ridurlo. Perché la carne e il sangue, la scienza umana non potranno mai dire l’ultima parola nei riguardi di Gesù.
Ricordiamo le eresie agnostiche dei primi secoli della chiesa, le interpretazioni razionaliste dei secoli dei lumi, quelle sociopolitiche e rivoluzionarie, quelle psicanalitiche, e non è finita.
Per il credente, ancora oggi, deve venire il momento in cui Gesù pone la seconda domanda: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Ma per te, chi sono io?
Per la nostra risposta è necessario creare il silenzio e lasciare tacere le voci inevitabilmente discordanti perché si faccia strada la voce del Padre, nel profondo del cuore, nel profondo della Chiesa, nel cuore di ogni celebrazione liturgica, nell’intimità della nostra vita. È la cosa che veramente importa. Chi è Gesù per me? Come l’ho riconosciuto, come l’ho incontrato? Cosa mi ha fatto?
Sarò mai capace di esprimerlo? Sarò capace di dirlo? Che importa!? Ma è su questo riconoscimento personale, sul mio riconoscimento personale e non per sentito dire, che oggi ancora Gesù fonda la sua chiesa. Non sul sapere dei dotti ma sulla fede degli umili.
E beato te, chiunque tu sia, beato te perché né la carne né il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre che sta nei cieli, il quale nasconde le cose ai saggi e le rivela ai piccoli e ai più umili. Beato te che mi parli di Gesù con la tua vita.
27 agosto 2017 | 21a Domenica T. Ordinario - A | Omelia
Gesù pone ai suoi discepoli la domanda fondamentale, la sola che conta: “Voi chi dite che io sia?”. Gesù vuole andare in fondo. E pone la domanda due volte e in due modi diversi.
La prima volta chiede: “La gente chi dice che sia il Figlio dell’uomo?”, la seconda volta li interpella personalmente: “Ma voi, chi dite che io sia?”.
Perché a Gesù non interessa cosa dice la stampa teologica a suo riguardo, non gli interessano minimamente i sondaggi d’opinione. Ciò che gli sta a cuore è sapere quale è l’esperienza personale che ogni discepolo ha fatto di lui: “Per te, chi sono io?”.
A nome di tutti Pietro prende la parola: “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente!”. Parole cariche di reminiscenze straordinarie nella parlata aramaica di cui Pietro si serve e queste parole bastano a Gesù per esultare di gioia. “Beato sei tu, Simone, figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli”.
Tutte le generazioni si porranno delle domande su Gesù, domande che resteranno senza risposte o riceveranno solo risposte parziali, a volte anche false, se non saranno date dal Padre in persona.
È inevitabile che ogni epoca, ogni cultura, ogni civiltà, si attacchi a Gesù e, in un certo senso, attacchi Gesù con le domande che bruciano nel cuore. Domande legittime ma che rischiano di inquadrare il volto di Gesù in modo parziale, di deformarlo o di ridurlo. Perché la carne e il sangue, la scienza umana non potranno mai dire l’ultima parola nei riguardi di Gesù.
Ricordiamo le eresie agnostiche dei primi secoli della chiesa, le interpretazioni razionaliste dei secoli dei lumi, quelle sociopolitiche e rivoluzionarie, quelle psicanalitiche, e non è finita.
Per il credente, ancora oggi, deve venire il momento in cui Gesù pone la seconda domanda: “Ma voi, chi dite che io sia?”. Ma per te, chi sono io?
Per la nostra risposta è necessario creare il silenzio e lasciare tacere le voci inevitabilmente discordanti perché si faccia strada la voce del Padre, nel profondo del cuore, nel profondo della Chiesa, nel cuore di ogni celebrazione liturgica, nell’intimità della nostra vita. È la cosa che veramente importa. Chi è Gesù per me? Come l’ho riconosciuto, come l’ho incontrato? Cosa mi ha fatto?
Sarò mai capace di esprimerlo? Sarò capace di dirlo? Che importa!? Ma è su questo riconoscimento personale, sul mio riconoscimento personale e non per sentito dire, che oggi ancora Gesù fonda la sua chiesa. Non sul sapere dei dotti ma sulla fede degli umili.
E beato te, chiunque tu sia, beato te perché né la carne né il sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre che sta nei cieli, il quale nasconde le cose ai saggi e le rivela ai piccoli e ai più umili. Beato te che mi parli di Gesù con la tua vita.
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