Jesùs Manuel Garcìa, Lectio"Non un Dio pensato"
XIX DOMENICA TEMPO ORDINARIO
LECTIO - ANNO A
Prima lettura: 1 Re 19,9.11-13
In quei giorni, Elia, [essendo giunto al monte di Dio, l’Oreb], entrò in una caverna per passarvi la
notte, quand’ecco gli fu rivolta la parola del Signore in questi termini: «Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore».
Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna.
Il testo si trova in quella parte dei libri dei Re che descrive il ciclo del profeta Elia. Esso racconta l'episodio dell'incontro del profeta con Dio sul monte Oreb.
Il monte Oreb, meta del viaggio del profeta Elia che fugge è il medesimo della storia della chiamata di Mosè che a questo monte ebbe la visione del roveto ardente e la rivelazione del nome divino (Es 3,1). Mosè aveva condotto al monte dell'alleanza tutto il popolo, il quale nonostante i benefici ricevuti, prevaricò prostrandosi davanti al vitello d'oro. Alla minaccia divina di rigettare il popolo eletto, Mosè, appellandosi all'alleanza con Abramo placò l'ira di Dio; in segno del perdono Dio si manifestò a Mosè in una spelonca, al riparo dal turbine che precedette l'apparizione (Es 33,18-34). Volendo salvaguardare l'alleanza e ristabilire la purezza della fede, Elia va allo stesso luogo dove si era rivelato il vero Dio a Mosè e dove era stata conclusa l'alleanza (Es 19,24; 34,10-28).
In tale modo l'opera di Elia si connette direttamente con quella di Mosè: ambedue questi personaggi sono accostati nella teofania sul monte Oreb. Essi saranno ancora uniti nella teofania della trasfigurazione di Gesù. Elia entra nella caverna, nella cavità della rupe dove si era messo Mosè durante l'apparizione divina (Es 33,22). L'uragano, il terremoto, i lampi che erano i segni dell'apparizione divina, nel racconto riguardante Elia sono soltanto i segni precursori del passaggio di Dio; il segno della sua presenza è invece il mormorio di un vento tranquillo, simbolo di intimità della conversazione divina con il profeta, conforto e consolazione che prepara l'animo di lui alle parole terribili che gli saranno rivolte.
Seconda lettura: Romani 9,1-5
Fratelli, dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua.
Vorrei infatti essere io stesso anatema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.
Il testo inizia, nella parte dottrinale della lettera, nella sezione che descrive la situazione del popolo di Israele. Esso indica i privilegi del popolo eletto; il primo punto esprime l'amore di San Paolo per il popolo che gli ha dato le origini, il secondo punto enumera i privilegi di tale popolo.
La prima affermazione di grande amore di Paolo per il suo popolo si appoggia a Cristo e alla testimonianza dello Spirito; volendo che nessuno ponga in dubbio le asserzioni importanti che sta per esprimere e che gli sono care, l'apostolo non si fonda soltanto sulla sua lealtà personale, ma si richiama a Cristo e allo Spirito come a testimoni irrecusabili delle sue parole. Egli esprime il suo dolore per la infedeltà del popolo di Israele a cui appartiene. La frase sull'anatema è molto forte; l'anatema non è soltanto una scomunica ecclesiastica; nell'antico Testamento essa significava la distruzione totale dei nemici di Dio e dei loro beni; nel nuovo Testamento esso implica l'idea di maledizione; chi viene colpito da anatema non è soltanto escluso dalla comunità dei beni, è anche maledetto; una tale dichiarazione, di voler essere anatema egli stesso a favore del suo popolo mostra quale amore egli ha per la nazione eletta.
Vengono poi i privilegi del popolo. Il primo è di essere israeliti, cioè discendenti da Giacobbe Israele. Da questo derivano gli altri privilegi: l'adozione a figli di Dio, oggetto del suo amore, la gloria che era la presenza di Dio in mezzo alla comunità della tenda e nel tempio; le alleanze con Abramo, Giacobbe, con Mosè, la legislazione che concretava la legge del patto nella vita quotidiana, specialmente riguardo al culto autentico del vero Dio; le promesse, a cui venivano compendiati tutti gli ideali messianici ed escatologici, i patriarchi, primi depositari di tali promesse; al termine di questa catena di benefici viene il Cristo, che ne è lo scopo e il culmine. Egli sta al vertice della lunga trama storica e religiosa recata all'uomo dalla rivelazione divina. Questa esaltazione di Cristo culmina con la dossologia che è a lui diretta e che lo proclama Dio benedetto nei secoli. È un caso molto raro che a Gesù venga dato il titolo «Dio» e gli sia indirizzata una dossologia. Questo procedimento rappresenta il culmine della rivelazione di Gesù: Figlio di Dio, egli è associato con il Padre e lo Spirito Santo alla stessa divinità. Il movimento del pensiero dell'apostolo ha condotto a questa altissima dichiarazione espressa sotto la forma liturgica dossologica conclusa dall'Amen.
Vangelo: Matteo 14,22-33
[Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.
La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».
Esegesi
Il brano si trova nella sezione narrativa dell'atto che presenta gli inizi del regno di Dio nel gruppo di discepoli primizia della Chiesa. Il primo momento del racconto presenta Gesù in preghiera. Il momento centrale presenta il camminare di Gesù sulle acque e la sua manifestazione. Il termine contiene la professione di fede.
1) Gesù in preghiera
Nei vangeli viene frequentemente notato il fatto che Gesù prega. Ciò accade nella solitudine della notte, prima di prendere i pasti, in occasione di avvenimenti importanti quali il battesimo, la scelta dei dodici, l'insegnamento della formula di Preghiera «Padre nostro», la confessione di fede di Cesarea, la trasfigurazione, l'agonia, il momento che precede la morte in croce. Il pregare di Gesù manifesta il suo rapporto con Dio Padre.
Egli ha inculcato la necessità della preghiera non soltanto con le sue parole e il suo insegnamento, ma anche dando l'esempio. Nel nostro testo egli appare nella preghiera in solitudine sulla montagna al termine del giorno e al sopravvenire della notte. Il pregare di Gesù è parte della manifestazione del mistero della sua unione con il Padre.
2) La manifestazione sulle acque
L'apparizione di Gesù sulle acque nella notte ha carattere di teofania, manifestazione divina. Il racconto contiene reminiscenze veterotestamentarie, quali il passaggio del Mare Rosso da parte degli Ebrei e il susseguente canto di Mosè (Es 14,15.15,18); il vento è contrario, la barca dei discepoli è agitata. In questa situazione appare Gesù che cammina sulle acque; egli si presenta con la maestà della formula «Io sono» e li incoraggia a non temere. La presentazione di Gesù nello scatenamento degli elementi della natura e nella calma della sua apparizione è mirabile.
A tale punto entra in scena Pietro; il temperamento psicologico che lo caratterizza appare chiaro: impulsività, fede, amore a Gesù, paura, dubbio. Ma la rivelazione della scena è eminentemente teologica; due volte Pietro si rivolge a Gesù dandogli il titolo di Signore; dapprima gli dimostra obbedienza di fede andando verso di lui, poi al subentrare dell'esperienza della fragilità umana timorosa, prorompe il grido che domanda salvezza.
Gesù è colui che salva dall'abisso Pietro, e gli rimprovera la sua poca fede.
Questo incontro tra il Signore che cammina sulle acque e Pietro è un preludio, una anticipazione delle apparizioni e degli incontri postpasquali di Gesù risorto.
3) La professione di fede
L'episodio si conclude con la professione di fede sulla identità di Gesù come Figlio di Dio. Egli libera dal male coloro che stanno sulla barca, i quali rappresentano la Chiesa che, salvata da Gesù, proclama la sua fede in lui. Il brano è un vertice di rivelazione cristologica ed ecclesiale; in esso la centralità del Signore che si manifesta e il rapporto di lui con i suoi discepoli costituiscono il paradigma della relazione tra Gesù e la Chiesa in ogni tempo.
Meditazione
Se la prima lettura presenta una teofania, una manifestazione di Dio a Elia sul monte Horeb, il vangelo presenta una cristofania, una manifestazione della potenza divina che abita in Cristo ai suoi discepoli, in particolare a Pietro, sul lago di Galilea. Tuttavia il manifestarsi della presenza divina, sovente espresso da manifestazioni naturali grandiose (terremoto, vento, fuoco: Es 19; azione di dominio sulle acque: Es 14; Sal 77,17-21), è anche
evento discreto che chiede a Elia di farsi sensibile alla «voce di un silenzio sottile» (1Re 19,12: letteralmente) in una esperienza interiore, e chiede a Pietro un incontro personalissimo nella fede.
Il testo evangelico è metafora del cammino della chiesa nella storia, nel tempo fra la Pasqua e la parusia. Gesù è in alto, sul monte, a pregare (Mt 14,23): è il Risorto che sta alla destra di Dio nei cieli ed intercede per i suoi che sono nel mondo. Essi, sulla barca, compiono il loro itinerario adempiendo il mandato che il Signore ha affidato loro: vita comune, apostolato, missione. Anzi, il Risorto si fa presente presso di loro, è con loro tutti i giorni fino alla fine del mondo (cfr. Mt 28,20). Anche quando le onde del mare si gonfiano e si agitano per la forza della tempesta, egli resta l'Emmanuele, il Dio con noi (cfr. Sal 46,4.8.12; Mt 1,23). Ma la presenza del Signore è colta solo nella fede e non è scontata,
ma sempre da decifrare, da scoprire: «Sono io», dice Gesù (Mt 14,27); «Sei veramente tu?» dice Pietro («Se sei tu...»: Mt 14,28). In quella traversata notturna e contrastata, in cui la fede si mescola con il dubbio, ci siamo dunque anche noi, c'è la vicenda della chiesa nella storia, c'è il cammino dei cristiani nel mondo.
Questo cammino implica in modo costitutivo, non accessorio o accidentale, contrarietà (vento infatti era contrario: cfr. Mt 14,24) e sofferenze comunitarie (la barca era squassata dalle onde: cfr. Mt 14,24). Questo carattere costitutivo è connesso ad una necessità umana (la vita dei cristiani e della chiesa è una vita reale, non esentata in nulla dal rischio esistenziale e dalle fatiche del vivere di ogni uomo e di ogni gruppo umano) e ad una necessità divina (ostilità e contrarietà rientrano, insieme al centuple, nella promessa di Cristo a chi lo segue: cfr. Mc 10,30). Chi pensa che la vita cristiana debba esentare da fatica, sofferenza e contrarietà, fa di Cristo un fantasma (cfr. Mt 14,26), un parto della propria fantasia, una proiezione idealizzata, e del proprio cammino non un'obbedienza al vangelo, ma un abbaglio.
Il dramma vissuto dai discepoli di Gesù sulla barca, dramma che spesso è anche il nostro, si situa fra l'obbedienza all'ordine impartito loro da Gesù (Mt 14,22: «costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva») e l'impotenza a realizzarlo (Mt 14,24). Nell'interstizio fra obbligo e impedimento, dunque al cuore di un'obbedienza frustrata, che si rivela sterile, possono nascere non solo il dubbio (Mt 14,28) e la paura (Mt 14,26), ma anche la contestazione, la protesta, la rivolta e la bestemmia nei confronti del Signore. Il cammino che si sta facendo è per la vita o per la morte? La traversata intrapresa in obbedienza alla parola del Signore e che ora incontra così tante difficoltà, è forse un inganno? È fidabile il Signore o è divenuto come «un torrente infido, dalle acque incostanti» (Ger 15,18)? Il vangelo mostra che l'impossibile impresa di camminare sulle acque diventa possibile - per fede - quando lo sguardo del credente è fisso su Gesù, quando il fine del suo cammino è «andare verso Gesù» (Mt 14,28), e si rivela fallace quando lo sguardo della carne si sostituisce a quello della fede («vedendo che il vento era forte, s’impaurì »: Mt 14,30): allora la paura prende il sopravvento e Pietro sprofonda nelle acque. E noi con lui.
Gesù salva Pietro con un gesto e una parola: stende la mano e lo afferra mentre lo rimprovera per la sua poca fede. Gesù salva rimproverando e rimprovera salvando. Nello spazio ecclesiale la correzione fraterna, il rimprovero secondo il vangelo, è sempre un atto che combina misericordia e verità, compassione e parresia, amore per il fratello e obbedienza al vangelo.
Non un Dio pensato
L'uomo non si deve accontentare
di un Dio pensato,
perché così
quando il pensiero ci abbandona
ci abbandona anche Dio.
(Meister Eckhart).
Preghiere e racconti
Tu sei
Tu non sei la nube
ma la luce che essa nasconde
Tu non sei la parola
ma il silenzio in cui essa nasce
Tu non sei il silenzio
ma oltre ogni silenzio
Tu non sei la montagna
ma la sua eco rida la Tua voce
Tu non sei da nessuna parte al mondo
ma il cuore del mondo è TE.
(J. Vuaillat, Cammino)
La bambola di sale
Un giorno una bambola di sale decise di raggiungere il mare tempestoso da cui era nata. Attraversò terre aride e finalmente giunse in presenza del mare mugghiante. «Come faccio a conoscerti?», gli chiese. «Toccami» rispose il mare con un rombo. Ed ecco, più si inoltrava, più la bambola di sale sentiva che parte delle sue membra si perdevano in quell'immensità. Superato lo sgomento, fu felice quando l’onda la sommerse e la fece sparire. In quel momento arrivò a conoscere pienamente il mare e il suo mistero; anzi, essa stessa era ormai divenuta mare.
(Parabola indiana).
Il dubbio, la verità e Cristo
Sono un figlio del secolo, un figlio della mancanza di fede e del dubbio quotidiani e lo sono fino al midollo. Quanti crudeli tormenti mi è costato e mi costa tuttora quel desiderio della fede che nell'anima mi è tanto più forte quanto sono presenti in me motivazioni contrarie! Tuttavia Dio talvolta mi manda momenti nei quali mi sento assolutamente in pace. In tali momenti, io ho dato forma in me ad un simbolo di fede nel quale tutto è per me chiaro e santo. Questo simbolo è molto semplice, eccolo: credere che non c'è nulla di più bello, di più profondo, di più ragionevole, di più coraggioso e di più perfetto di Cristo e con fervido amore ripetermi che non solo non c'è, ma non può esserci. Di più: se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori della verità, mi dimostrasse che veramente la verità non è in Cristo, beh, io preferirei lo stesso restare con Cristo piuttosto che con la verità.
(F. Dostoevskij)
Furbi nelle cose che contano
Qualche settimana fa un famoso sociologo ha pubblicato sul giornale un articolo dal titolo eloquente: “Gli eterni dubbiosi non scelgono perché vogliono tutto”.
Ve ne leggo alcune righe, perché mi sembrano in linea con ciò che stiamo dicendo.
“Tutti noi, nel corso della vita, ci troviamo qualche volta lacerati dal dilemma. Avviene quando siamo innamorati e dobbiamo decidere se lasciare la persona cui siamo legati o rinunciare al nostro amore. Oppure quando riceviamo una offerta molto vantaggiosa economicamente ma che ci impedirà di seguire la nostra vocazione. O quando dobbiamo scegliere fra un’attività disonesta e la miseria.
La personalità profondamente morale è lacerata dal dilemma, si tormenta. Però, proprio perché ha un forte senso del dovere, a un certo punto sceglie. Non scarica i suoi dubbi sugli altri in un eterno saliscendi di «voglio, non voglio».
Sceglie, e paga il prezzo che deve pagare.
Il comportamento della personalità dubbiosa invece è molto diverso. Non sceglie, scarica il suo problema sugli altri, fa nuove richieste e, se le accolgono, trova nuovi dubbi, nuovi motivi d’incertezza. La verità è che non sceglie perché non le conviene scegliere. Perché, facendo pendere la bilancia ora da una parte, ora dall’altra, tutti cercano di tenersela buona, la trattano bene, le fanno concessioni, alla fine le danno sempre quello che vuole.
Gli eterni dubbiosi appartengono solo a due categorie.
La prima è formata da coloro usano il dubbio, la riserva, come strumento di ricatto. Sanno che gli altri hanno bisogno di loro e, invece di dare loro lealmente il proprio appoggio, minacciano sempre di ritirarlo per ottenere qualcosa di più.
Il secondo tipo di dubbioso invece tiene i piedi in due scarpe. Come una donna che ha due amanti: uno ricco e brutto, l’altro bello ma povero. Lei è incerta perché non vuol perdere né l’uno, né l’altro, li vuole tutti e due, e trova scuse di ogni tipo per non fare una scelta definitiva. I suoi dubbi, le sue reticenze non sono morali, le servono soltanto per tirare in lungo il più possibile, con il massimo vantaggio.
Io penso che ci sia una regola generale: la persona sempre incerta, quella che si fa sempre pregare, che vi dà l’impressione di non sapere mai che cosa vuole, in realtà vuole tutto”.
Ecco: decidere è difficile, in fondo, perché vogliamo tutto.
Siamo tutti un po’ bambini: vogliamo “tutto e subito”.
Vogliamo la salvezza dell’anima e vogliamo il massimo in questa vita.
Decidere per una vita cristiana coerente è difficile, perché sappiamo che seguire il Vangelo ci costerebbe in termini di rinunce, quindi.
Ecco allora quello che un giornalista ha recentemente chiamato, in una sua indagine sul mondo giovanile cattolico, il “cattolicesimo costo zero”.
Si va a Messa, si fa anche qualche attività “buona”, ci si professa buoni cristiani.
Ma poi, nell’ambito del privato, delle amicizie, della famiglia, nelle scelte professionali o economiche, nella vita affettiva, nel modo di pensare e decidere, di cristiano spesso non c’è nemmeno l’ombra.
“Gli studenti peggiori sono quelli che imparano le cose a memoria senza afferrare il concetto centrale e importante. Nella vita non comportiamoci come questi studenti: guardiamo a ciò che è più importante: non l’immediato, ma il futuro eterno”.
(T. Spidlik).
Il dubbio che porta al tramonto
Si narra che un alpinista, fortemente motivato a conquistare un’altissima vetta, iniziò la sua impresa dopo anni di preparazione. Deciso a non spartire la gloria con alcuno, iniziò l’impresa senza compagni.
Iniziò l’ascesa ma si fece tardi, sempre più tardi, senza che egli si decidesse ad accamparsi, insistendo nell’ascesa. Ben presto fu buio.
La notte giunse bruscamente sulle alture della montagna, sicchè non si poteva vedere assolutamente nulla. Tutto era tenebra, il buio regnava sovrano, la luna e le stelle erano coperte dalle nubi.
Salendo per un costone roccioso, a pochi metri dalla cima, scivolò e precipitò nel vuoto, cadendo a velocità vertiginosa. Nella caduta, l’alpinista poteva appena vedere delle macchie scure e sperimentare la sensazione di essere risucchiato dalla forza di gravità. Continuava a cadere…e in quegli attimi angosciosi, gli passarono per la mente gli episodi più importanti della sua vita.
Rifletteva, ormai vicino alla morte. D’improvviso avvertì il violento strappo della lunga fune che aveva assicurato alla cintura.
In quel momento di terrore, sospeso nel vuoto, non gli rimase che gridare:
”Dio mio, aiutami!”
Improvvisamente una voce grave e profonda dal cielo gli domandò:
”Cosa vuoi che io faccia?”
“Mio Dio, salvami!”
“Credi realmente che io possa salvarti?”
“Sì, mio Signore. Lo credo”
Allora, recidi la corda che ti sostiene!”
Ci fu un momento di silenzio;
poi l’uomo si avvinse ancora più fortemente alla corda.
Il resoconto della squadra di soccorso, afferma che l’alpinista fu trovato, ormai morto per congelamento, fortemente avvinghiato alla corda… A soli due metri dal suolo…
Sulla barca
Qual è la barca nella quale Gesù «costrinse i suoi discepoli a salire» (Mt 14,22)? Non è forse la lotta contro le tentazioni e i pericoli nella quale si entra su ordine del Verbo, in certo senso contro la propria volontà, poiché il Salvatore vuole mettere alla prova i discepoli in questa barca scossa dalle onde e dal vento contrario? [...] Il Salvatore costringe i discepoli a salire sulla barca delle tentazioni e a precederlo sull'altra sponda, a superare i pericoli trionfando su di essi. Ma i discepoli, giunti in mezzo al mare, trovandosi in mezzo alle tentazioni rappresentate dalle onde e ai venti contrari che impedivano loro di andare sull'altra riva, pur lottando, non poterono senza Gesù avere la meglio sulle onde e il vento contrario e giungere all'altra riva. Perciò il Verbo ebbe pietà perché avevano fatto tutto il possibile per raggiungere l'altra riva e li raggiunse camminando sul mare che non aveva onde e vento in grado di opporsi a lui, anche se avessero voluto. E infatti non sta scritto che camminò sulle onde per venire da loro, ma sulle acque. Allora Pietro disse: «Comanda che io venga da te» non sulle onde, ma «sulle acque» (Mt 14,28). All'inizio, quando Gesù gli disse: «Vieni!», Pietro, disceso dalla barca camminava, non sulle onde, ma sulle acque per andare incontro a Gesù; quando cominciò a dubitare, vide la forza del vento, sebbene essa non esista per chi si è liberato dalla sua mancanza di fede e dal dubbio. Poi Gesù salì con Pietro sulla barca e il vento si calmò perché non poteva più agire contro di essa ora che vi era Gesù.
(ORIGENE, Commento al vangelo di Matteo 11,5 in SC 162, pp. 290-292).
Anche tu puoi fidarti di lui
Frequento un insolito corso di sociologia a Brandeis, che Morrie chiama “Analisi di gruppo”. Ogni settimana studiamo il modo in cui i componenti del gruppo interagiscono fra loro, in presenza di rabbia, gelosia, attenzioni. Noi umani al posto dei topini da laboratorio. […] Oggi ci annuncia che ha un particolare esercizio da farci provare. Dobbiamo star ritti in piedi, dando le spalle ai nostri compagni, e lasciarci cadere all'indietro, fidando che un altro allievo ci afferri, impedendoci di cadere. La maggior parte di noi non si sente a proprio agio, ci lasciamo andare per un attimo poi ci blocchiamo. Ridacchiamo imbarazzati.
Infine una studentessa, una brunetta sottile e riservata che, ho notato, porta spesso grossi maglioni da pescatore, chiude gli occhi e si lascia andare senza fare una piega […].
Per un momento sono sicuro che finirà con un gran tonfo sul pavimento, ma all'ultimo il suo partner designato le afferra la testa e le spalle e la tira su brusco.
“Wow!” esclamano diversi studenti. Alcuni applaudono.
Morrie alla fine sorride.
“Vedi”, dice alla ragazza, “tu hai chiuso gli occhi. Ecco la differenza. A volte non riesci a credere a quel che vedi, devi credere a quel che provi. E se vuoi ottenere la fiducia di qualcuno devi sentire che anche tu puoi fidarti di lui... anche al buio. Anche quando stai cadendo.”
(Mitch ALBOM, I miei martedì col professore, Milano, Rizzoli, 2006, 67-68).
«Signore, abbi pietà di me peccatore»
Un'altra condizione essenziale per la preghiera autentica è l'abbandono. La sola parola in genere ci terrorizza, ma è qualcosa di indispensabile.
Ricordo di aver letto una storia, scritta da una donna che non ho mai incontrato. Nel suo articolo descriveva le sue umili origini: un appartamento senza l'acqua calda, il risparmio di poche lire per potersi comprare qualche piccola cosa. Poi incontrò l'uomo che sarebbe diventato suo marito: era la personificazione del principe azzurro. Non poteva quasi crederci quando le chiese di sposarlo. Tra l'altro, egli aveva qualche risparmio, così si trasferirono in una zona migliore, dove c'erano acqua calda, grandi finestre e prati verdi. C'erano persino fiori d'estate! Presto ci fu la gioia dei figli. Era tutto quello che lei aveva sempre sognato. Poi cominciò a sentirsi poco bene, andò da un dottore, il quale la mandò in ospedale per analisi. Non era affatto preparata quando il suo dottore la fissò con sguardo triste e le disse: «il suo fegato ha smesso di funzionare». Rispose quasi urlando: «Mi sta dicendo che sto per morire?». Con gli occhi abbassati, egli le disse solennemente: «Abbiamo fatto il possibile». Poi si girò e, in silenzio, uscì dalla sua stanza d'ospedale.
Sentì un fuoco di rabbia accendersi dentro. Nella sua disperazione voleva prendersela con Dio, così, in camicia da notte e vestaglia, si trascinò per i corridoi fino alla cappella. Voleva un confronto diretto. Si sentiva così debole che doveva appoggiarsi al muro mentre procedeva. Quando entrò nella cappella era buio. Non c'era nessuno. Continuò a camminare nel corridoio centrale fino all'altare. Durante tutto quello che sembrava un viaggio senza fine, dalla sua stanza alla cappella, aveva preparato le parole da dire: «Oh Dio, sei una fregatura, un vero impostore. Ti sei fatto passare per l'amore in persona per duemila anni. Ma ogni volta che qualcuno trova un po' di felicità, gli togli il terreno da sotto i piedi. Beh, voglio solo farti sapere che l'ho capito, ti ho scoperto».
Nel corridoio, in mezzo alla cappella, cadde. Era così debole che a mala pena riusciva a distinguere le parole tessute nel tappeto ai piedi dell'altare. Lesse e poi ripetè le parole: «Signore, abbi pietà di me peccatore». All'improvviso tutte le parole piene di rabbia, tutto il desiderio di prendersela con Dio erano svaniti. Tutto quel che era rimasto era «Signore, abbi pietà di me peccatore». Poi abbassò la sua testa stanca sulle braccia incrociate ed ascoltò. Dal profondo del suo cuore udì queste parole: «È solo un invito per chiederti di abbandonare la tua vita nelle mie mani. Non l'hai mai fatto. I medici qui fanno del loro meglio per trattare la tua malattia, ma io solo posso curarti».
Nel silenzio e nel buio della notte, consegnò la sua vita a Dio: firmò il suo assegno in bianco e glielo restituì, perché Lui potesse scriverci quanto desiderava. Era l'ora di Dio, il momento del suo abbandono.
Ritornata nella sua stanza, si addormentò di un sonno profondo. Il giorno seguente, dopo le analisi di routine, il dottore le diede una notizia confortante: «il suo fegato sembra funzionare di nuovo». Come a Giobbe nell'Antico Testamento, Dio l'aveva portata sull'orlo del precipizio, ma soltanto per invitarla ad abbandonarsi a Lui. È la condizione iniziale indispensabile per la preghiera autentica. «Sia fatta la tua volontà» è una concessione grandissima, che può spaventare. Ci lascia nudi e senza difese. Niente più maschere, nessuna barriera protettiva, soltanto «Taci e sappi che io sono Dio».
(dal libro: JOHN POWELL, Esercizi di felicità, Cantalupa, Effatà, 51997, 144-145).
Abbandonarsi a Dio
Qualche anno fa, un uomo di Dio che allora mi guidava mi mandò un messaggio che mi spaventava un po': «Sia sempre fedele a Dio nell'osservare le promesse fatte e non si curi dei motteggi degli insipidi. Sappia che i santi si sono sempre fatti scherno del mondo e dei mondani e si sono messi sotto i piedi il mondo e le sue massime. Il campo della lotta tra Dio e satana è l'anima umana, dove questa lotta si svolge in ogni momento della vita. Per vincere nemici così potenti, è necessario che l'anima dia libero accesso al Signore e sia da lui fortificata con ogni sorta di armi, che la sua luce la irradi per combattere le tenebre dell'errore, che sia rivestita di Gesù Cristo, della sua verità e giustizia, dello scudo della fede, della parola di Dio. Per essere rivestiti di Gesù Cristo, bisogna morire a se stessi. Sono certo che la Mamma celeste l'accompagnerà passo per passo».
Ero confuso, la mia mente girava, mulinava questi pensieri senza arrivare a una conclusione. Poi un altro tratto di vita è trascorso e ho capito che morire a se stessi è far vivere se stessi. Mi accorgo che i momenti di vita piena sono quelli in cui davvero sto tentando di far vivere in me Dio e la sua volontà. Ho finalmente capito che abbandonarsi a Dio non vuol dire aver superato tutti i miei problemi, ma volere veramente, con tutto me stesso, che lui possa operare in me e in me possa trovare una piena collaborazione. Rileggendo adesso quella lettera, ogni parola assume un valore diverso e, contrariamente a qualche anno fa, mi incoraggia a continuare su questa strada.
(E. OLIVERO, Amare con il cuore di Dio, Torino 1993, 72s.).
«Aiutami a dire “sì”.
Ho paura a di “sì”, Signore.
Dove mi porterai?
Ho paura del “sì” che comporta altri “sì”.
Ho paura a mettere la mia mano nella tua;
perché tu possa stringerla […]
O, Signore, ho paura delle tue richieste,
ma chi può opporti resistenza?
Che venga il tuo regno, non il mio,
che sia fatta la tua volontà e non la mia,
Aiutami a dire “sì”».
(Michel QUOIST)
Padre, mi abbandono a Te
Padre, mi abbandono a Te,
fa' di me ciò che ti piace.
Qualsiasi cosa tu faccia di me, ti ringrazio.
Sono pronto a tutto, accetto tutto,
purché la tua volontà si compia in me,
e in tutte le tue creature:
non desidero nient'altro, mio Dio.
Rimetto l'anima mia nelle tua mani, te la dono, mio Dio,
con tutto l'amore del mio cuore, perché ti amo.
E per me un'esigenza di amore, il donarmi a Te,
l'affidarmi alle tue mani, senza misura, con infinita fiducia:
perché Tu sei mio Padre
(Charles de Foucauld).
* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:
- Temi di predicazione. Omelie. Ciclo A, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2004;2007-.
- Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.
- La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
- J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.
- J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011.
- J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.
- E. BIANCHI et al., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche. Tempo ordinario anno A [prima parte], in «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano» 89 (2008) 4, 84 pp.
- Liturgia. Anno A. CD, Leumann (To), Elle Di Ci, 2004.
- A. PRONZATO, Il vangelo in casa, Gribaudi, 1994.
- F. ARMELLI, Ascoltarti è una festa. Le letture domenicali spiegate alla comunità, Anno A, Padova, Messaggero, 2001.
- D. GHIDOTTI, Icone per pregare. 40 immagini di un’iconografia contemporanea, Milano, Ancora, 2003.
---
LECTIO - ANNO A
Prima lettura: 1 Re 19,9.11-13
In quei giorni, Elia, [essendo giunto al monte di Dio, l’Oreb], entrò in una caverna per passarvi la
notte, quand’ecco gli fu rivolta la parola del Signore in questi termini: «Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore».
Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento, un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto, un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all’ingresso della caverna.
Il testo si trova in quella parte dei libri dei Re che descrive il ciclo del profeta Elia. Esso racconta l'episodio dell'incontro del profeta con Dio sul monte Oreb.
Il monte Oreb, meta del viaggio del profeta Elia che fugge è il medesimo della storia della chiamata di Mosè che a questo monte ebbe la visione del roveto ardente e la rivelazione del nome divino (Es 3,1). Mosè aveva condotto al monte dell'alleanza tutto il popolo, il quale nonostante i benefici ricevuti, prevaricò prostrandosi davanti al vitello d'oro. Alla minaccia divina di rigettare il popolo eletto, Mosè, appellandosi all'alleanza con Abramo placò l'ira di Dio; in segno del perdono Dio si manifestò a Mosè in una spelonca, al riparo dal turbine che precedette l'apparizione (Es 33,18-34). Volendo salvaguardare l'alleanza e ristabilire la purezza della fede, Elia va allo stesso luogo dove si era rivelato il vero Dio a Mosè e dove era stata conclusa l'alleanza (Es 19,24; 34,10-28).
In tale modo l'opera di Elia si connette direttamente con quella di Mosè: ambedue questi personaggi sono accostati nella teofania sul monte Oreb. Essi saranno ancora uniti nella teofania della trasfigurazione di Gesù. Elia entra nella caverna, nella cavità della rupe dove si era messo Mosè durante l'apparizione divina (Es 33,22). L'uragano, il terremoto, i lampi che erano i segni dell'apparizione divina, nel racconto riguardante Elia sono soltanto i segni precursori del passaggio di Dio; il segno della sua presenza è invece il mormorio di un vento tranquillo, simbolo di intimità della conversazione divina con il profeta, conforto e consolazione che prepara l'animo di lui alle parole terribili che gli saranno rivolte.
Seconda lettura: Romani 9,1-5
Fratelli, dico la verità in Cristo, non mento, e la mia coscienza me ne dà testimonianza nello Spirito Santo: ho nel cuore un grande dolore e una sofferenza continua.
Vorrei infatti essere io stesso anatema, separato da Cristo a vantaggio dei miei fratelli, miei consanguinei secondo la carne. Essi sono Israeliti e hanno l’adozione a figli, la gloria, le alleanze, la legislazione, il culto, le promesse; a loro appartengono i patriarchi e da loro proviene Cristo secondo la carne, egli che è sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli. Amen.
Il testo inizia, nella parte dottrinale della lettera, nella sezione che descrive la situazione del popolo di Israele. Esso indica i privilegi del popolo eletto; il primo punto esprime l'amore di San Paolo per il popolo che gli ha dato le origini, il secondo punto enumera i privilegi di tale popolo.
La prima affermazione di grande amore di Paolo per il suo popolo si appoggia a Cristo e alla testimonianza dello Spirito; volendo che nessuno ponga in dubbio le asserzioni importanti che sta per esprimere e che gli sono care, l'apostolo non si fonda soltanto sulla sua lealtà personale, ma si richiama a Cristo e allo Spirito come a testimoni irrecusabili delle sue parole. Egli esprime il suo dolore per la infedeltà del popolo di Israele a cui appartiene. La frase sull'anatema è molto forte; l'anatema non è soltanto una scomunica ecclesiastica; nell'antico Testamento essa significava la distruzione totale dei nemici di Dio e dei loro beni; nel nuovo Testamento esso implica l'idea di maledizione; chi viene colpito da anatema non è soltanto escluso dalla comunità dei beni, è anche maledetto; una tale dichiarazione, di voler essere anatema egli stesso a favore del suo popolo mostra quale amore egli ha per la nazione eletta.
Vengono poi i privilegi del popolo. Il primo è di essere israeliti, cioè discendenti da Giacobbe Israele. Da questo derivano gli altri privilegi: l'adozione a figli di Dio, oggetto del suo amore, la gloria che era la presenza di Dio in mezzo alla comunità della tenda e nel tempio; le alleanze con Abramo, Giacobbe, con Mosè, la legislazione che concretava la legge del patto nella vita quotidiana, specialmente riguardo al culto autentico del vero Dio; le promesse, a cui venivano compendiati tutti gli ideali messianici ed escatologici, i patriarchi, primi depositari di tali promesse; al termine di questa catena di benefici viene il Cristo, che ne è lo scopo e il culmine. Egli sta al vertice della lunga trama storica e religiosa recata all'uomo dalla rivelazione divina. Questa esaltazione di Cristo culmina con la dossologia che è a lui diretta e che lo proclama Dio benedetto nei secoli. È un caso molto raro che a Gesù venga dato il titolo «Dio» e gli sia indirizzata una dossologia. Questo procedimento rappresenta il culmine della rivelazione di Gesù: Figlio di Dio, egli è associato con il Padre e lo Spirito Santo alla stessa divinità. Il movimento del pensiero dell'apostolo ha condotto a questa altissima dichiarazione espressa sotto la forma liturgica dossologica conclusa dall'Amen.
Vangelo: Matteo 14,22-33
[Dopo che la folla ebbe mangiato], subito Gesù costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull’altra riva, finché non avesse congedato la folla. Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo.
La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare. Vedendolo camminare sul mare, i discepoli furono sconvolti e dissero: «È un fantasma!» e gridarono dalla paura. Ma subito Gesù parlò loro dicendo: «Coraggio, sono io, non abbiate paura!». Pietro allora gli rispose: «Signore, se sei tu, comandami di venire verso di te sulle acque». Ed egli disse: «Vieni!». Pietro scese dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù. Ma, vedendo che il vento era forte, s’impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: «Signore, salvami!». E subito Gesù tese la mano, lo afferrò e gli disse: «Uomo di poca fede, perché hai dubitato?». Appena saliti sulla barca, il vento cessò. Quelli che erano sulla barca si prostrarono davanti a lui, dicendo: «Davvero tu sei Figlio di Dio!».
Esegesi
Il brano si trova nella sezione narrativa dell'atto che presenta gli inizi del regno di Dio nel gruppo di discepoli primizia della Chiesa. Il primo momento del racconto presenta Gesù in preghiera. Il momento centrale presenta il camminare di Gesù sulle acque e la sua manifestazione. Il termine contiene la professione di fede.
1) Gesù in preghiera
Nei vangeli viene frequentemente notato il fatto che Gesù prega. Ciò accade nella solitudine della notte, prima di prendere i pasti, in occasione di avvenimenti importanti quali il battesimo, la scelta dei dodici, l'insegnamento della formula di Preghiera «Padre nostro», la confessione di fede di Cesarea, la trasfigurazione, l'agonia, il momento che precede la morte in croce. Il pregare di Gesù manifesta il suo rapporto con Dio Padre.
Egli ha inculcato la necessità della preghiera non soltanto con le sue parole e il suo insegnamento, ma anche dando l'esempio. Nel nostro testo egli appare nella preghiera in solitudine sulla montagna al termine del giorno e al sopravvenire della notte. Il pregare di Gesù è parte della manifestazione del mistero della sua unione con il Padre.
2) La manifestazione sulle acque
L'apparizione di Gesù sulle acque nella notte ha carattere di teofania, manifestazione divina. Il racconto contiene reminiscenze veterotestamentarie, quali il passaggio del Mare Rosso da parte degli Ebrei e il susseguente canto di Mosè (Es 14,15.15,18); il vento è contrario, la barca dei discepoli è agitata. In questa situazione appare Gesù che cammina sulle acque; egli si presenta con la maestà della formula «Io sono» e li incoraggia a non temere. La presentazione di Gesù nello scatenamento degli elementi della natura e nella calma della sua apparizione è mirabile.
A tale punto entra in scena Pietro; il temperamento psicologico che lo caratterizza appare chiaro: impulsività, fede, amore a Gesù, paura, dubbio. Ma la rivelazione della scena è eminentemente teologica; due volte Pietro si rivolge a Gesù dandogli il titolo di Signore; dapprima gli dimostra obbedienza di fede andando verso di lui, poi al subentrare dell'esperienza della fragilità umana timorosa, prorompe il grido che domanda salvezza.
Gesù è colui che salva dall'abisso Pietro, e gli rimprovera la sua poca fede.
Questo incontro tra il Signore che cammina sulle acque e Pietro è un preludio, una anticipazione delle apparizioni e degli incontri postpasquali di Gesù risorto.
3) La professione di fede
L'episodio si conclude con la professione di fede sulla identità di Gesù come Figlio di Dio. Egli libera dal male coloro che stanno sulla barca, i quali rappresentano la Chiesa che, salvata da Gesù, proclama la sua fede in lui. Il brano è un vertice di rivelazione cristologica ed ecclesiale; in esso la centralità del Signore che si manifesta e il rapporto di lui con i suoi discepoli costituiscono il paradigma della relazione tra Gesù e la Chiesa in ogni tempo.
Meditazione
Se la prima lettura presenta una teofania, una manifestazione di Dio a Elia sul monte Horeb, il vangelo presenta una cristofania, una manifestazione della potenza divina che abita in Cristo ai suoi discepoli, in particolare a Pietro, sul lago di Galilea. Tuttavia il manifestarsi della presenza divina, sovente espresso da manifestazioni naturali grandiose (terremoto, vento, fuoco: Es 19; azione di dominio sulle acque: Es 14; Sal 77,17-21), è anche
evento discreto che chiede a Elia di farsi sensibile alla «voce di un silenzio sottile» (1Re 19,12: letteralmente) in una esperienza interiore, e chiede a Pietro un incontro personalissimo nella fede.
Il testo evangelico è metafora del cammino della chiesa nella storia, nel tempo fra la Pasqua e la parusia. Gesù è in alto, sul monte, a pregare (Mt 14,23): è il Risorto che sta alla destra di Dio nei cieli ed intercede per i suoi che sono nel mondo. Essi, sulla barca, compiono il loro itinerario adempiendo il mandato che il Signore ha affidato loro: vita comune, apostolato, missione. Anzi, il Risorto si fa presente presso di loro, è con loro tutti i giorni fino alla fine del mondo (cfr. Mt 28,20). Anche quando le onde del mare si gonfiano e si agitano per la forza della tempesta, egli resta l'Emmanuele, il Dio con noi (cfr. Sal 46,4.8.12; Mt 1,23). Ma la presenza del Signore è colta solo nella fede e non è scontata,
ma sempre da decifrare, da scoprire: «Sono io», dice Gesù (Mt 14,27); «Sei veramente tu?» dice Pietro («Se sei tu...»: Mt 14,28). In quella traversata notturna e contrastata, in cui la fede si mescola con il dubbio, ci siamo dunque anche noi, c'è la vicenda della chiesa nella storia, c'è il cammino dei cristiani nel mondo.
Questo cammino implica in modo costitutivo, non accessorio o accidentale, contrarietà (vento infatti era contrario: cfr. Mt 14,24) e sofferenze comunitarie (la barca era squassata dalle onde: cfr. Mt 14,24). Questo carattere costitutivo è connesso ad una necessità umana (la vita dei cristiani e della chiesa è una vita reale, non esentata in nulla dal rischio esistenziale e dalle fatiche del vivere di ogni uomo e di ogni gruppo umano) e ad una necessità divina (ostilità e contrarietà rientrano, insieme al centuple, nella promessa di Cristo a chi lo segue: cfr. Mc 10,30). Chi pensa che la vita cristiana debba esentare da fatica, sofferenza e contrarietà, fa di Cristo un fantasma (cfr. Mt 14,26), un parto della propria fantasia, una proiezione idealizzata, e del proprio cammino non un'obbedienza al vangelo, ma un abbaglio.
Il dramma vissuto dai discepoli di Gesù sulla barca, dramma che spesso è anche il nostro, si situa fra l'obbedienza all'ordine impartito loro da Gesù (Mt 14,22: «costrinse i discepoli a salire sulla barca e a precederlo sull'altra riva») e l'impotenza a realizzarlo (Mt 14,24). Nell'interstizio fra obbligo e impedimento, dunque al cuore di un'obbedienza frustrata, che si rivela sterile, possono nascere non solo il dubbio (Mt 14,28) e la paura (Mt 14,26), ma anche la contestazione, la protesta, la rivolta e la bestemmia nei confronti del Signore. Il cammino che si sta facendo è per la vita o per la morte? La traversata intrapresa in obbedienza alla parola del Signore e che ora incontra così tante difficoltà, è forse un inganno? È fidabile il Signore o è divenuto come «un torrente infido, dalle acque incostanti» (Ger 15,18)? Il vangelo mostra che l'impossibile impresa di camminare sulle acque diventa possibile - per fede - quando lo sguardo del credente è fisso su Gesù, quando il fine del suo cammino è «andare verso Gesù» (Mt 14,28), e si rivela fallace quando lo sguardo della carne si sostituisce a quello della fede («vedendo che il vento era forte, s’impaurì »: Mt 14,30): allora la paura prende il sopravvento e Pietro sprofonda nelle acque. E noi con lui.
Gesù salva Pietro con un gesto e una parola: stende la mano e lo afferra mentre lo rimprovera per la sua poca fede. Gesù salva rimproverando e rimprovera salvando. Nello spazio ecclesiale la correzione fraterna, il rimprovero secondo il vangelo, è sempre un atto che combina misericordia e verità, compassione e parresia, amore per il fratello e obbedienza al vangelo.
Non un Dio pensato
L'uomo non si deve accontentare
di un Dio pensato,
perché così
quando il pensiero ci abbandona
ci abbandona anche Dio.
(Meister Eckhart).
Preghiere e racconti
Tu sei
Tu non sei la nube
ma la luce che essa nasconde
Tu non sei la parola
ma il silenzio in cui essa nasce
Tu non sei il silenzio
ma oltre ogni silenzio
Tu non sei la montagna
ma la sua eco rida la Tua voce
Tu non sei da nessuna parte al mondo
ma il cuore del mondo è TE.
(J. Vuaillat, Cammino)
La bambola di sale
Un giorno una bambola di sale decise di raggiungere il mare tempestoso da cui era nata. Attraversò terre aride e finalmente giunse in presenza del mare mugghiante. «Come faccio a conoscerti?», gli chiese. «Toccami» rispose il mare con un rombo. Ed ecco, più si inoltrava, più la bambola di sale sentiva che parte delle sue membra si perdevano in quell'immensità. Superato lo sgomento, fu felice quando l’onda la sommerse e la fece sparire. In quel momento arrivò a conoscere pienamente il mare e il suo mistero; anzi, essa stessa era ormai divenuta mare.
(Parabola indiana).
Il dubbio, la verità e Cristo
Sono un figlio del secolo, un figlio della mancanza di fede e del dubbio quotidiani e lo sono fino al midollo. Quanti crudeli tormenti mi è costato e mi costa tuttora quel desiderio della fede che nell'anima mi è tanto più forte quanto sono presenti in me motivazioni contrarie! Tuttavia Dio talvolta mi manda momenti nei quali mi sento assolutamente in pace. In tali momenti, io ho dato forma in me ad un simbolo di fede nel quale tutto è per me chiaro e santo. Questo simbolo è molto semplice, eccolo: credere che non c'è nulla di più bello, di più profondo, di più ragionevole, di più coraggioso e di più perfetto di Cristo e con fervido amore ripetermi che non solo non c'è, ma non può esserci. Di più: se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori della verità, mi dimostrasse che veramente la verità non è in Cristo, beh, io preferirei lo stesso restare con Cristo piuttosto che con la verità.
(F. Dostoevskij)
Furbi nelle cose che contano
Qualche settimana fa un famoso sociologo ha pubblicato sul giornale un articolo dal titolo eloquente: “Gli eterni dubbiosi non scelgono perché vogliono tutto”.
Ve ne leggo alcune righe, perché mi sembrano in linea con ciò che stiamo dicendo.
“Tutti noi, nel corso della vita, ci troviamo qualche volta lacerati dal dilemma. Avviene quando siamo innamorati e dobbiamo decidere se lasciare la persona cui siamo legati o rinunciare al nostro amore. Oppure quando riceviamo una offerta molto vantaggiosa economicamente ma che ci impedirà di seguire la nostra vocazione. O quando dobbiamo scegliere fra un’attività disonesta e la miseria.
La personalità profondamente morale è lacerata dal dilemma, si tormenta. Però, proprio perché ha un forte senso del dovere, a un certo punto sceglie. Non scarica i suoi dubbi sugli altri in un eterno saliscendi di «voglio, non voglio».
Sceglie, e paga il prezzo che deve pagare.
Il comportamento della personalità dubbiosa invece è molto diverso. Non sceglie, scarica il suo problema sugli altri, fa nuove richieste e, se le accolgono, trova nuovi dubbi, nuovi motivi d’incertezza. La verità è che non sceglie perché non le conviene scegliere. Perché, facendo pendere la bilancia ora da una parte, ora dall’altra, tutti cercano di tenersela buona, la trattano bene, le fanno concessioni, alla fine le danno sempre quello che vuole.
Gli eterni dubbiosi appartengono solo a due categorie.
La prima è formata da coloro usano il dubbio, la riserva, come strumento di ricatto. Sanno che gli altri hanno bisogno di loro e, invece di dare loro lealmente il proprio appoggio, minacciano sempre di ritirarlo per ottenere qualcosa di più.
Il secondo tipo di dubbioso invece tiene i piedi in due scarpe. Come una donna che ha due amanti: uno ricco e brutto, l’altro bello ma povero. Lei è incerta perché non vuol perdere né l’uno, né l’altro, li vuole tutti e due, e trova scuse di ogni tipo per non fare una scelta definitiva. I suoi dubbi, le sue reticenze non sono morali, le servono soltanto per tirare in lungo il più possibile, con il massimo vantaggio.
Io penso che ci sia una regola generale: la persona sempre incerta, quella che si fa sempre pregare, che vi dà l’impressione di non sapere mai che cosa vuole, in realtà vuole tutto”.
Ecco: decidere è difficile, in fondo, perché vogliamo tutto.
Siamo tutti un po’ bambini: vogliamo “tutto e subito”.
Vogliamo la salvezza dell’anima e vogliamo il massimo in questa vita.
Decidere per una vita cristiana coerente è difficile, perché sappiamo che seguire il Vangelo ci costerebbe in termini di rinunce, quindi.
Ecco allora quello che un giornalista ha recentemente chiamato, in una sua indagine sul mondo giovanile cattolico, il “cattolicesimo costo zero”.
Si va a Messa, si fa anche qualche attività “buona”, ci si professa buoni cristiani.
Ma poi, nell’ambito del privato, delle amicizie, della famiglia, nelle scelte professionali o economiche, nella vita affettiva, nel modo di pensare e decidere, di cristiano spesso non c’è nemmeno l’ombra.
“Gli studenti peggiori sono quelli che imparano le cose a memoria senza afferrare il concetto centrale e importante. Nella vita non comportiamoci come questi studenti: guardiamo a ciò che è più importante: non l’immediato, ma il futuro eterno”.
(T. Spidlik).
Il dubbio che porta al tramonto
Si narra che un alpinista, fortemente motivato a conquistare un’altissima vetta, iniziò la sua impresa dopo anni di preparazione. Deciso a non spartire la gloria con alcuno, iniziò l’impresa senza compagni.
Iniziò l’ascesa ma si fece tardi, sempre più tardi, senza che egli si decidesse ad accamparsi, insistendo nell’ascesa. Ben presto fu buio.
La notte giunse bruscamente sulle alture della montagna, sicchè non si poteva vedere assolutamente nulla. Tutto era tenebra, il buio regnava sovrano, la luna e le stelle erano coperte dalle nubi.
Salendo per un costone roccioso, a pochi metri dalla cima, scivolò e precipitò nel vuoto, cadendo a velocità vertiginosa. Nella caduta, l’alpinista poteva appena vedere delle macchie scure e sperimentare la sensazione di essere risucchiato dalla forza di gravità. Continuava a cadere…e in quegli attimi angosciosi, gli passarono per la mente gli episodi più importanti della sua vita.
Rifletteva, ormai vicino alla morte. D’improvviso avvertì il violento strappo della lunga fune che aveva assicurato alla cintura.
In quel momento di terrore, sospeso nel vuoto, non gli rimase che gridare:
”Dio mio, aiutami!”
Improvvisamente una voce grave e profonda dal cielo gli domandò:
”Cosa vuoi che io faccia?”
“Mio Dio, salvami!”
“Credi realmente che io possa salvarti?”
“Sì, mio Signore. Lo credo”
Allora, recidi la corda che ti sostiene!”
Ci fu un momento di silenzio;
poi l’uomo si avvinse ancora più fortemente alla corda.
Il resoconto della squadra di soccorso, afferma che l’alpinista fu trovato, ormai morto per congelamento, fortemente avvinghiato alla corda… A soli due metri dal suolo…
Sulla barca
Qual è la barca nella quale Gesù «costrinse i suoi discepoli a salire» (Mt 14,22)? Non è forse la lotta contro le tentazioni e i pericoli nella quale si entra su ordine del Verbo, in certo senso contro la propria volontà, poiché il Salvatore vuole mettere alla prova i discepoli in questa barca scossa dalle onde e dal vento contrario? [...] Il Salvatore costringe i discepoli a salire sulla barca delle tentazioni e a precederlo sull'altra sponda, a superare i pericoli trionfando su di essi. Ma i discepoli, giunti in mezzo al mare, trovandosi in mezzo alle tentazioni rappresentate dalle onde e ai venti contrari che impedivano loro di andare sull'altra riva, pur lottando, non poterono senza Gesù avere la meglio sulle onde e il vento contrario e giungere all'altra riva. Perciò il Verbo ebbe pietà perché avevano fatto tutto il possibile per raggiungere l'altra riva e li raggiunse camminando sul mare che non aveva onde e vento in grado di opporsi a lui, anche se avessero voluto. E infatti non sta scritto che camminò sulle onde per venire da loro, ma sulle acque. Allora Pietro disse: «Comanda che io venga da te» non sulle onde, ma «sulle acque» (Mt 14,28). All'inizio, quando Gesù gli disse: «Vieni!», Pietro, disceso dalla barca camminava, non sulle onde, ma sulle acque per andare incontro a Gesù; quando cominciò a dubitare, vide la forza del vento, sebbene essa non esista per chi si è liberato dalla sua mancanza di fede e dal dubbio. Poi Gesù salì con Pietro sulla barca e il vento si calmò perché non poteva più agire contro di essa ora che vi era Gesù.
(ORIGENE, Commento al vangelo di Matteo 11,5 in SC 162, pp. 290-292).
Anche tu puoi fidarti di lui
Frequento un insolito corso di sociologia a Brandeis, che Morrie chiama “Analisi di gruppo”. Ogni settimana studiamo il modo in cui i componenti del gruppo interagiscono fra loro, in presenza di rabbia, gelosia, attenzioni. Noi umani al posto dei topini da laboratorio. […] Oggi ci annuncia che ha un particolare esercizio da farci provare. Dobbiamo star ritti in piedi, dando le spalle ai nostri compagni, e lasciarci cadere all'indietro, fidando che un altro allievo ci afferri, impedendoci di cadere. La maggior parte di noi non si sente a proprio agio, ci lasciamo andare per un attimo poi ci blocchiamo. Ridacchiamo imbarazzati.
Infine una studentessa, una brunetta sottile e riservata che, ho notato, porta spesso grossi maglioni da pescatore, chiude gli occhi e si lascia andare senza fare una piega […].
Per un momento sono sicuro che finirà con un gran tonfo sul pavimento, ma all'ultimo il suo partner designato le afferra la testa e le spalle e la tira su brusco.
“Wow!” esclamano diversi studenti. Alcuni applaudono.
Morrie alla fine sorride.
“Vedi”, dice alla ragazza, “tu hai chiuso gli occhi. Ecco la differenza. A volte non riesci a credere a quel che vedi, devi credere a quel che provi. E se vuoi ottenere la fiducia di qualcuno devi sentire che anche tu puoi fidarti di lui... anche al buio. Anche quando stai cadendo.”
(Mitch ALBOM, I miei martedì col professore, Milano, Rizzoli, 2006, 67-68).
«Signore, abbi pietà di me peccatore»
Un'altra condizione essenziale per la preghiera autentica è l'abbandono. La sola parola in genere ci terrorizza, ma è qualcosa di indispensabile.
Ricordo di aver letto una storia, scritta da una donna che non ho mai incontrato. Nel suo articolo descriveva le sue umili origini: un appartamento senza l'acqua calda, il risparmio di poche lire per potersi comprare qualche piccola cosa. Poi incontrò l'uomo che sarebbe diventato suo marito: era la personificazione del principe azzurro. Non poteva quasi crederci quando le chiese di sposarlo. Tra l'altro, egli aveva qualche risparmio, così si trasferirono in una zona migliore, dove c'erano acqua calda, grandi finestre e prati verdi. C'erano persino fiori d'estate! Presto ci fu la gioia dei figli. Era tutto quello che lei aveva sempre sognato. Poi cominciò a sentirsi poco bene, andò da un dottore, il quale la mandò in ospedale per analisi. Non era affatto preparata quando il suo dottore la fissò con sguardo triste e le disse: «il suo fegato ha smesso di funzionare». Rispose quasi urlando: «Mi sta dicendo che sto per morire?». Con gli occhi abbassati, egli le disse solennemente: «Abbiamo fatto il possibile». Poi si girò e, in silenzio, uscì dalla sua stanza d'ospedale.
Sentì un fuoco di rabbia accendersi dentro. Nella sua disperazione voleva prendersela con Dio, così, in camicia da notte e vestaglia, si trascinò per i corridoi fino alla cappella. Voleva un confronto diretto. Si sentiva così debole che doveva appoggiarsi al muro mentre procedeva. Quando entrò nella cappella era buio. Non c'era nessuno. Continuò a camminare nel corridoio centrale fino all'altare. Durante tutto quello che sembrava un viaggio senza fine, dalla sua stanza alla cappella, aveva preparato le parole da dire: «Oh Dio, sei una fregatura, un vero impostore. Ti sei fatto passare per l'amore in persona per duemila anni. Ma ogni volta che qualcuno trova un po' di felicità, gli togli il terreno da sotto i piedi. Beh, voglio solo farti sapere che l'ho capito, ti ho scoperto».
Nel corridoio, in mezzo alla cappella, cadde. Era così debole che a mala pena riusciva a distinguere le parole tessute nel tappeto ai piedi dell'altare. Lesse e poi ripetè le parole: «Signore, abbi pietà di me peccatore». All'improvviso tutte le parole piene di rabbia, tutto il desiderio di prendersela con Dio erano svaniti. Tutto quel che era rimasto era «Signore, abbi pietà di me peccatore». Poi abbassò la sua testa stanca sulle braccia incrociate ed ascoltò. Dal profondo del suo cuore udì queste parole: «È solo un invito per chiederti di abbandonare la tua vita nelle mie mani. Non l'hai mai fatto. I medici qui fanno del loro meglio per trattare la tua malattia, ma io solo posso curarti».
Nel silenzio e nel buio della notte, consegnò la sua vita a Dio: firmò il suo assegno in bianco e glielo restituì, perché Lui potesse scriverci quanto desiderava. Era l'ora di Dio, il momento del suo abbandono.
Ritornata nella sua stanza, si addormentò di un sonno profondo. Il giorno seguente, dopo le analisi di routine, il dottore le diede una notizia confortante: «il suo fegato sembra funzionare di nuovo». Come a Giobbe nell'Antico Testamento, Dio l'aveva portata sull'orlo del precipizio, ma soltanto per invitarla ad abbandonarsi a Lui. È la condizione iniziale indispensabile per la preghiera autentica. «Sia fatta la tua volontà» è una concessione grandissima, che può spaventare. Ci lascia nudi e senza difese. Niente più maschere, nessuna barriera protettiva, soltanto «Taci e sappi che io sono Dio».
(dal libro: JOHN POWELL, Esercizi di felicità, Cantalupa, Effatà, 51997, 144-145).
Abbandonarsi a Dio
Qualche anno fa, un uomo di Dio che allora mi guidava mi mandò un messaggio che mi spaventava un po': «Sia sempre fedele a Dio nell'osservare le promesse fatte e non si curi dei motteggi degli insipidi. Sappia che i santi si sono sempre fatti scherno del mondo e dei mondani e si sono messi sotto i piedi il mondo e le sue massime. Il campo della lotta tra Dio e satana è l'anima umana, dove questa lotta si svolge in ogni momento della vita. Per vincere nemici così potenti, è necessario che l'anima dia libero accesso al Signore e sia da lui fortificata con ogni sorta di armi, che la sua luce la irradi per combattere le tenebre dell'errore, che sia rivestita di Gesù Cristo, della sua verità e giustizia, dello scudo della fede, della parola di Dio. Per essere rivestiti di Gesù Cristo, bisogna morire a se stessi. Sono certo che la Mamma celeste l'accompagnerà passo per passo».
Ero confuso, la mia mente girava, mulinava questi pensieri senza arrivare a una conclusione. Poi un altro tratto di vita è trascorso e ho capito che morire a se stessi è far vivere se stessi. Mi accorgo che i momenti di vita piena sono quelli in cui davvero sto tentando di far vivere in me Dio e la sua volontà. Ho finalmente capito che abbandonarsi a Dio non vuol dire aver superato tutti i miei problemi, ma volere veramente, con tutto me stesso, che lui possa operare in me e in me possa trovare una piena collaborazione. Rileggendo adesso quella lettera, ogni parola assume un valore diverso e, contrariamente a qualche anno fa, mi incoraggia a continuare su questa strada.
(E. OLIVERO, Amare con il cuore di Dio, Torino 1993, 72s.).
«Aiutami a dire “sì”.
Ho paura a di “sì”, Signore.
Dove mi porterai?
Ho paura del “sì” che comporta altri “sì”.
Ho paura a mettere la mia mano nella tua;
perché tu possa stringerla […]
O, Signore, ho paura delle tue richieste,
ma chi può opporti resistenza?
Che venga il tuo regno, non il mio,
che sia fatta la tua volontà e non la mia,
Aiutami a dire “sì”».
(Michel QUOIST)
Padre, mi abbandono a Te
Padre, mi abbandono a Te,
fa' di me ciò che ti piace.
Qualsiasi cosa tu faccia di me, ti ringrazio.
Sono pronto a tutto, accetto tutto,
purché la tua volontà si compia in me,
e in tutte le tue creature:
non desidero nient'altro, mio Dio.
Rimetto l'anima mia nelle tua mani, te la dono, mio Dio,
con tutto l'amore del mio cuore, perché ti amo.
E per me un'esigenza di amore, il donarmi a Te,
l'affidarmi alle tue mani, senza misura, con infinita fiducia:
perché Tu sei mio Padre
(Charles de Foucauld).
* Per l’elaborazione della «lectio» di questa domenica, oltre al nostro materiale di archivio, ci siamo serviti di:
- Temi di predicazione. Omelie. Ciclo A, Napoli, Editrice Domenicana Italiana, 2004;2007-.
- Messalino festivo dell’Assemblea, Bologna, EDB, 2007.
- La Bibbia per la famiglia, a cura di G. Ravasi, Milano, San Paolo, 1998.
- J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, Milano, Rizzoli, 2007.
- J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret. Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2011.
- J. RATZINGER/BENEDETTO XVI, L’infanzia di Gesù, Milano/Città del Vaticano, Rizzoli/Libreria Editrice Vaticana, 2012.
- E. BIANCHI et al., Eucaristia e Parola. Testi per le celebrazioni eucaristiche. Tempo ordinario anno A [prima parte], in «Allegato redazionale alla Rivista del Clero Italiano» 89 (2008) 4, 84 pp.
- Liturgia. Anno A. CD, Leumann (To), Elle Di Ci, 2004.
- A. PRONZATO, Il vangelo in casa, Gribaudi, 1994.
- F. ARMELLI, Ascoltarti è una festa. Le letture domenicali spiegate alla comunità, Anno A, Padova, Messaggero, 2001.
- D. GHIDOTTI, Icone per pregare. 40 immagini di un’iconografia contemporanea, Milano, Ancora, 2003.
---
Fonte:http://www.catechistaduepuntozero.it/
Commenti
Posta un commento