MONASTERO MARANGO,"Un'apertura degli occhi del cuore"
Trasfigurazione del Signore (anno A)
Letture: Dn 7,9-10.13-14; 2Pt 1,16-19; Mt 17,1-9
Un'apertura degli occhi del cuore
1)Gesù ha annunciato ai discepoli che «doveva andare a Gerusalemme, soffrire molto da parte degli
anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno» (Mt 16,21). Queste parole però rimangono oscure e incomprensibili. Addirittura c’è uno scontro verbale tra Pietro e Gesù: il primo rimprovera aspramente il Maestro, perché quelle non sono cose da dire; e il secondo restituisce con altrettanta violenza, dando del ‘satana’ al suo migliore amico. C’è un evidente imbarazzo generale.
Poi Gesù riprende a parlare apertamente, a tutti, dicendo che nessuno è obbligato a seguirlo, non è da tutti, è solo per chi vuole; ma nello stesso tempo pone le condizioni della sequela: occorre rinnegare se stessi, prendere la propria croce e, solo allora, seguirlo. Afferma anche che occorre perdere la propria vita per salvarla.
Il buio è totale e tutti vengono presi dallo sconcerto.
Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse in disparte, su un alto monte.
Nel vangelo, quando Gesù sceglie questi tre apostoli e li porta con sé, è sempre per farli partecipi di esperienze che anticipano e annunciano il mistero della risurrezione: vedi la guarigione della suocera di Pietro, o il ritorno alla vita della figlia di Giairo, o anche il discorso sugli ultimi tempi, mentre Gesù sta sul monte degli Ulivi, seduto di fronte al tempio e parla di devastazione e di gloria.
I sei giorni indicano nel linguaggio biblico un limite: siamo nel pieno della prova, e il cuore è segnato da una profonda sofferenza. Il cammino che sta davanti è ancora lungo, e non se ne intravvede il termine, se non come un approdo di ulteriore sofferenza che culmina con la prospettiva della morte.
L’essere in disparte è la condizione necessaria per liberarsi dalla pesantezza dei pensieri e dall’angoscia del presente. E’ incominciare a vedere le cose da un’altra angolazione. Spesso non riusciamo da soli a crearci questo spazio: occorre che qualcuno ci conduca per mano.
L’alto monte, non va cercato nella geografia della Palestina, anche se la tradizione parla del monte Tabor, nella Galilea, ma indica una altezza di altro genere, più spirituale. E’ come il monte della tentazione (Mt 4,8) o il monte della missione finale, dopo la risurrezione (Mt 28,16).
E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce.
Anche noi, donne e uomini dalla fede fragile e dubbiosa, siamo chiamati, come Pietro, Giovanni e Giacomo, a salire la montagna e a contemplare la gloria di Dio riflessa sul volto di Gesù. Il linguaggio usato da Matteo si collega alla grande tradizione dei padri di Israele e dei profeti, secondo la quale la maestà di Dio viene immaginata come la maestà di un vegliardo dalla veste «candida come la neve»; e anche i capelli di questo “antico dei giorni” sono «candidi come la lana».
Allora comprendiamo fin da subito il messaggio che il Vangelo vuole comunicarci: ci dice di non aver paura di seguire Gesù, perché la sua umanità, anche se dovrà subire la condanna e la morte, non sarà sconfitta, perché nell’uomo Gesù abita la pienezza della vita di Dio. E Dio non può subire la morte.
Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Il passo parallelo di Luca inscrive l’episodio della trasfigurazione all’interno del cammino di Gesù verso Gerusalemme, verso la sua Pasqua, cammino descritto come un esodo: «E parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme». Sì, anche noi dobbiamo pensare alla nostra vita come ad un esodo, un pellegrinaggio, un’uscita faticosa da un luogo oscuro, come un percorso pieno di insidie, fino a vedere, come all’improvviso, una luce sul monte.
Gli esegeti affermano che questa “apparizione” è da intendersi come una luce particolare su tutta la storia della salvezza, custodita e contemplata nelle Scritture: Legge e Profeti, rappresentati da Mosè ed Elia. Ebbene, tutta questa narrazione, questo faticoso esodo, trova la sua piena luce e il suo compimento in Gesù di Nazareth. E’ in vista di lui che tutto è potuto accadere.
Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia.
La trasfigurazione è solo per un momento; è solo uno squarcio di luce in mezzo alla tempesta, che fa intravvedere il punto di arrivo. E’ assicurazione e anticipo di una gloria futura. Non è l’approdo.
Occorre scendere, fino al monte del Calvario, e poi ancora più giù, fino alla oscurità degli Inferi, perché tutti quelli che vi precipitano siano afferrati e salvati dalle mani forti del crocifisso - che sta più in basso di tutti - e trascinati in alto. Non è il Tabor il punto di arrivo, è solo una sosta nel cammino, per riprendere fiato. Pietro, ancora una volta, si inganna, ed è vinto dalla tentazione. Vuole una sequela senza croce, una salvezza a basso prezzo, senza il dono totale di sè. Non ha ancora compreso che deve «rinnegare sé stesso e prendere la propria croce per aver salva la vita».
Una nube luminosa li coprì con la sua ombra.
Come fu importante per Israele nel suo esodo l’esperienza del monte Sinai, della nube della presenza di Dio scesa sul monte e di Mosè che entrava nella nube, così diventa importante per i discepoli, per la nostra umanità di oggi, l’esperienza della nube della presenza che scende nella storia, di Gesù di Nazareth, nostro fratello e compagno di strada nel cammino spesso oscuro e travagliato della vita.
Ed ecco, una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato, in lui ho posto il mio compiacimento».
Facciamo attenzione: Dio non ha bocca, e dunque non parla come parliamo noi. I rabbini dicevano che “Dio non parla ebraico”. Dio ha però consegnato la sua Parola alla voce dei profeti e alle pagine della Scrittura. Noi, dopo aver letto un brano della Bibbia nella liturgia, proclamiamo: «Parola di Dio!» «Parola del Signore!». Anche Gesù e i discepoli hanno inteso la voce di Dio attraverso l’ascolto orante delle Scritture.
Il cammino, per tutti, è difficile e spesso oscuro. Vivere è faticoso, mantenere la fede è arduo. Ma Gesù, sul monte, ci ha mostrato la sua luce, se pur per un attimo: sono i nostri occhi che si sono aperti e hanno visto quello che normalmente non vedono. La “trasfigurazione” è una grazia fatta all’uomo, un’apertura degli occhi del cuore, per credere e sperare ancora.
Il Signore Gesù Cristo trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso (Fil 3,21).
Giorgio Scatto
Fonte:www.monasteromarango.it/
Letture: Dn 7,9-10.13-14; 2Pt 1,16-19; Mt 17,1-9
Un'apertura degli occhi del cuore
1)Gesù ha annunciato ai discepoli che «doveva andare a Gerusalemme, soffrire molto da parte degli
anziani, dei capi dei sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risorgere il terzo giorno» (Mt 16,21). Queste parole però rimangono oscure e incomprensibili. Addirittura c’è uno scontro verbale tra Pietro e Gesù: il primo rimprovera aspramente il Maestro, perché quelle non sono cose da dire; e il secondo restituisce con altrettanta violenza, dando del ‘satana’ al suo migliore amico. C’è un evidente imbarazzo generale.
Poi Gesù riprende a parlare apertamente, a tutti, dicendo che nessuno è obbligato a seguirlo, non è da tutti, è solo per chi vuole; ma nello stesso tempo pone le condizioni della sequela: occorre rinnegare se stessi, prendere la propria croce e, solo allora, seguirlo. Afferma anche che occorre perdere la propria vita per salvarla.
Il buio è totale e tutti vengono presi dallo sconcerto.
Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse in disparte, su un alto monte.
Nel vangelo, quando Gesù sceglie questi tre apostoli e li porta con sé, è sempre per farli partecipi di esperienze che anticipano e annunciano il mistero della risurrezione: vedi la guarigione della suocera di Pietro, o il ritorno alla vita della figlia di Giairo, o anche il discorso sugli ultimi tempi, mentre Gesù sta sul monte degli Ulivi, seduto di fronte al tempio e parla di devastazione e di gloria.
I sei giorni indicano nel linguaggio biblico un limite: siamo nel pieno della prova, e il cuore è segnato da una profonda sofferenza. Il cammino che sta davanti è ancora lungo, e non se ne intravvede il termine, se non come un approdo di ulteriore sofferenza che culmina con la prospettiva della morte.
L’essere in disparte è la condizione necessaria per liberarsi dalla pesantezza dei pensieri e dall’angoscia del presente. E’ incominciare a vedere le cose da un’altra angolazione. Spesso non riusciamo da soli a crearci questo spazio: occorre che qualcuno ci conduca per mano.
L’alto monte, non va cercato nella geografia della Palestina, anche se la tradizione parla del monte Tabor, nella Galilea, ma indica una altezza di altro genere, più spirituale. E’ come il monte della tentazione (Mt 4,8) o il monte della missione finale, dopo la risurrezione (Mt 28,16).
E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce.
Anche noi, donne e uomini dalla fede fragile e dubbiosa, siamo chiamati, come Pietro, Giovanni e Giacomo, a salire la montagna e a contemplare la gloria di Dio riflessa sul volto di Gesù. Il linguaggio usato da Matteo si collega alla grande tradizione dei padri di Israele e dei profeti, secondo la quale la maestà di Dio viene immaginata come la maestà di un vegliardo dalla veste «candida come la neve»; e anche i capelli di questo “antico dei giorni” sono «candidi come la lana».
Allora comprendiamo fin da subito il messaggio che il Vangelo vuole comunicarci: ci dice di non aver paura di seguire Gesù, perché la sua umanità, anche se dovrà subire la condanna e la morte, non sarà sconfitta, perché nell’uomo Gesù abita la pienezza della vita di Dio. E Dio non può subire la morte.
Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.
Il passo parallelo di Luca inscrive l’episodio della trasfigurazione all’interno del cammino di Gesù verso Gerusalemme, verso la sua Pasqua, cammino descritto come un esodo: «E parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme». Sì, anche noi dobbiamo pensare alla nostra vita come ad un esodo, un pellegrinaggio, un’uscita faticosa da un luogo oscuro, come un percorso pieno di insidie, fino a vedere, come all’improvviso, una luce sul monte.
Gli esegeti affermano che questa “apparizione” è da intendersi come una luce particolare su tutta la storia della salvezza, custodita e contemplata nelle Scritture: Legge e Profeti, rappresentati da Mosè ed Elia. Ebbene, tutta questa narrazione, questo faticoso esodo, trova la sua piena luce e il suo compimento in Gesù di Nazareth. E’ in vista di lui che tutto è potuto accadere.
Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia.
La trasfigurazione è solo per un momento; è solo uno squarcio di luce in mezzo alla tempesta, che fa intravvedere il punto di arrivo. E’ assicurazione e anticipo di una gloria futura. Non è l’approdo.
Occorre scendere, fino al monte del Calvario, e poi ancora più giù, fino alla oscurità degli Inferi, perché tutti quelli che vi precipitano siano afferrati e salvati dalle mani forti del crocifisso - che sta più in basso di tutti - e trascinati in alto. Non è il Tabor il punto di arrivo, è solo una sosta nel cammino, per riprendere fiato. Pietro, ancora una volta, si inganna, ed è vinto dalla tentazione. Vuole una sequela senza croce, una salvezza a basso prezzo, senza il dono totale di sè. Non ha ancora compreso che deve «rinnegare sé stesso e prendere la propria croce per aver salva la vita».
Una nube luminosa li coprì con la sua ombra.
Come fu importante per Israele nel suo esodo l’esperienza del monte Sinai, della nube della presenza di Dio scesa sul monte e di Mosè che entrava nella nube, così diventa importante per i discepoli, per la nostra umanità di oggi, l’esperienza della nube della presenza che scende nella storia, di Gesù di Nazareth, nostro fratello e compagno di strada nel cammino spesso oscuro e travagliato della vita.
Ed ecco, una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato, in lui ho posto il mio compiacimento».
Facciamo attenzione: Dio non ha bocca, e dunque non parla come parliamo noi. I rabbini dicevano che “Dio non parla ebraico”. Dio ha però consegnato la sua Parola alla voce dei profeti e alle pagine della Scrittura. Noi, dopo aver letto un brano della Bibbia nella liturgia, proclamiamo: «Parola di Dio!» «Parola del Signore!». Anche Gesù e i discepoli hanno inteso la voce di Dio attraverso l’ascolto orante delle Scritture.
Il cammino, per tutti, è difficile e spesso oscuro. Vivere è faticoso, mantenere la fede è arduo. Ma Gesù, sul monte, ci ha mostrato la sua luce, se pur per un attimo: sono i nostri occhi che si sono aperti e hanno visto quello che normalmente non vedono. La “trasfigurazione” è una grazia fatta all’uomo, un’apertura degli occhi del cuore, per credere e sperare ancora.
Il Signore Gesù Cristo trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso (Fil 3,21).
Giorgio Scatto
Commenti
Posta un commento