padre Gian Franco Scarpitta, "La solitudine è una risorsa"
padre Gian Franco Scarpitta
XIX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (13/08/2017)
Visualizza Mt 14,22-33
Quand'ero piccolino mi succedeva (come credo capiti a tutti i bambini) di provare paura tutte le volte
che mi trovavo a restare solo. Restare senza compagnia dei grandi a casa, percorrere una strada o camminare per un sentiero privo di compagnia, suscitava in me timore di brutti incontri e di cattive sorprese. Oggi invece, sia per esperienza diretta sia dopo ponderata meditazione di queste pagine della Scrittura, posso affermare che la solitudine aiuta a vincere la paura. Nella misura in cui si è capaci di restare da soli, tanto più si riuscirà a vincere l'imbarazzo e il timore nel comunicare con gli altri. A dire il vero, dopo aver trascorso lunghi periodi di isolamento si avverte sempre un certo timore prima di immettersi nella socializzazione, timore che mantiene nell'umiltà e ci aiuta a trovare fede e forza nel Signore. Tuttavia una volta immessi nelle relazioni, la paura è vinta semplicemente perché si avverte che la nostra interazione con la gente è carica di ottimismo e di qualità. Dopo un periodo di solitudine e di raccoglimento, si riparte rinfrancati, motivati e si trova lo sprone e la stima in se stessi. Di conseguenza la nostra relazione con gli altri è qualitativamente più proficua ed frugifera di buoni apporti, per noi stessi e per coloro con i quali ci relazioniamo. Tutto ciò aiuta a vincere l'insicurezza e il timore perché allo sgomento subentra la fiducia e l'ottimismo. Io trovo più slancio nel ministero con la gente dopo aver trascorso un periodo considerevole di Esercizi Spirituali, o comunque di isolamento e di solitudine ritemprante, nella quale non manchi la preghiera e la meditazione. E' infatti la familiarità con Dio ad estinguere in noi la paura, l'intimità con Colui che riconosciamo essere il nostro principale riferimento e che non manchiamo di considerare nostro Alleato.
L'intera esperienza profetica di Elia è contrassegnata dalla comunione con Dio, che in determinati passi lo rifocilla sotto un albero, lo rincuora e lo invita a riprendere la lotta, anche quando viene perseguitato dalla regina Gezabele per aver sterminato 400 profeti di Baal. Adesso il Signore lo ha invitato a pernottare in una caverna e ora gli si manifesta nella brezza leggera di un vento. Un alitare leggero che risolleva e rinfranca chiunque, sia durante l'inverno, sia quando l'afa è intensa (come in questi giorni in cui si scrive).
Non erano serviti il vento, il fuoco e il terremoto a rivelare la presenza di Dio, anche se in certi contesti dati fenomeni contraddistinguono di fatto il divino. Elia riscontra il Signore nel silenzio e nella pace della natura che lo circonda, aspra e incontaminata, quindi in ciò che la natura mostra come piacevole e conciliante: il mormorio leggero del vento. Quanto alla paura, essa si estingue in questo profeta eroico e risolutivo che riprenderà il cammino sostenuto dalla costante presenza del Signore.
Vediamo che Gesù, appena distribuito il pane miracoloso alla folla, invita i suoi discepoli a precederlo al di là della sponda, sull'altra riva. Potremmo dire che li lascia soli, in realtà vuole che prendano coscienza della presenza certa del Signore nonostante questi fisicamente sia assente. E soprattutto vuole vivere la privilegiata, indispensabile, intimità con il Padre. C'è qui un ipotetico raffronto fra la solitudine di Gesù, che deliberatamente resta solo sul monte fino a sera inoltrata e la “solitudine” dei discepoli che intanto avevano preso il largo con la barca. L'esperienza della preghiera ritirata sul monte ha reso Gesù ulteriormente determinato e propositivo e quando cammina sulle acque manifesta il suo dominio sulla natura e sui contrappunti di ogni genere. I discepoli, soprattutto Pietro, dimostrano di non aver colto l'opportunità del raccoglimento a distanza, lontano dalla folla, per accrescere in loro la certezza che il loro Signore non li aveva abbandonati. Cosicché, vedendo quel presunto “fantasma” muoversi con disinvoltura fra i flutti marini temono e rabbrividiscono e Pietro non si contenta della frase consolante di Gesù: “Coraggio, sono io”. Vuole una prova, una certezza materiale per estinguere totalmente il timore. In lui la paura si coniuga con una lacuna di fede assai riprovevole.
Tante volte non ci si rende conto invece che proprio la solitudine incentiva il coraggio e soprattutto alimenta la fede e la speranza perché non vi è occasione più privilegiata del sano isolamento per prendere coscienza che non siamo mai soli, ma che Qualcuno per amore ci vuole con sé e ci sprona verso gli altri.
Quand'ero alle prime battute della mia esperienza in seminario Diocesano (sfociato poi nella vita religiosa), ricordo che i Superiori insistevano tanto sulla necessaria capacità di relazione di un aspirante sacerdote e sulla sua capacità di creare comunione, tuttavia mi colpì tantissimo una frase proferita dal vicerettore: "Forse un prete dovrebbe essere capace di saper stare da solo, non con gli altri". Io asserisco in effetti che l'interazione vuota e disincarnata, priva di contenuti non conduce mai a nessun lito, e che nessuno sarà mai in grado di comunicare adeguatamente con gli altri finché non sarà capace di solitudine nel Signore.
Fonte:http://www.qumran2.net
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