Padre Paolo Berti, “...tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa...”

XXI Domenica del T.O.     
Mt 16,13-20 
“...tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa...”
Omelia   

Gesù rivolse una domanda a tutti gli apostoli su quello che la gente pensava di lui; una domanda per
sottrarli alla pressione delle tante opinioni che circolavano su di lui. La gente non credeva che Gesù era il Messia, il Cristo. Riteneva che fosse Giovanni Battista redivivo, così come prospettava Erode (Mt 14,2); pensava al ritorno di Elia sulla base delle parole del profeta Malachia (4,5); pensava a Geremia, che avendo, secondo una narrazione, (2Mac 2,5) nascosto la tenda, l'arca e l'altare degli incensi, in una grotta del monte Nebo di fronte a Gerico, sarebbe risorto a indicarne il luogo. Ma le congetture della gente spaziavano anche su altri profeti."Ma voi, chi dite che io sia?". La risposta viene data da Pietro, coscientemente, liberamente, ma risale all'azione di Dio: "Beato sei tu, Simone figlio di Giona, perché né carne né sangue te lo hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli". Il gruppo apostolico stordito da tante opinioni, trova la sua chiarezza di fede nella professione di Pietro. Segue immediatamente il conferimento del primato apostolico di Pietro: "Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa". Pietro diventa la pietra sulla quale viene fondata la Chiesa; dunque, non parole rivolte a Pietro e destinate solo a lui, ma parole riguardanti tutta la Chiesa, per tutti i secoli a venire. Essa, fondata su Pietro e quindi sui suoi successori, sarà salda di fronte agli attacchi delle "potenze degli inferi", il che vuol dire che l'errore non travolgerà mai la Chiesa fondata su quella "pietra". Gesù prosegue con la metafora delle chiavi. Tali chiavi indicano il ministero universale di Pietro e dei suoi successori; ministero di insegnare, di santificare. di governare. Chi rimane unito a Pietro riceve guida sicura, insegnamento sicuro, che diventa infallibile quando egli lo esprime come tale. Da una parte la "pietra" rende salda la Chiesa contro gli attacchi delle porte degli inferi, dall'altra le chiavi delle fulgide porte del regno dei cieli. Il potere "di legare e sciogliere" sarà dato anche agli altri apostoli, ma è dato in primis a colui che è "pietra" e che ha "le chiavi". Anche gli apostoli potranno "legare e sciogliere" (Mt 18,18), ma subordinatamente a Pietro, capo del Collegio apostolico. "Legare e sciogliere" era una metafora molto usata dai rabbini nel campo disciplinare: "legare" equivaleva a condannare; "sciogliere" equivaleva a liberare da gravami. Così "legare" è condannare una dottrina falsa e chi la promuove; "sciogliere" è liberare dai peccati, veri lacci del Maligno. "Sciogliere" è dipanare a livello di governo le controversie, è liberare da scomuniche, da vincoli religiosi (le richieste di riduzione allo stato secolare da parte di religiosi o sacerdoti), ed è anche stabilire indulgenze che sciolgono dal debito che rimane dopo l'assoluzione delle colpe, come anche liberare da una censura.
La promessa fatta a Pietro, come sappiamo, si è concretizzata dopo la risurrezione con il mandato di pascere il gregge (Gv 21,15s).
La prima lettura è opportunamente intonata al Vangelo di oggi e ci presenta il conferimento del potere di aprire e chiudere le porte della reggia di Gerusalemme a Eliakim. Egli può aprire e chiudere, cioè accogliere o escludere secondo quanto lui stesso decide; ma sarà sempre per decisione giusta e non per favoritismo come faceva Sebna. Per quanto Eliakim potrà essere combattuto nessuno potrà prevalere su di lui perché Dio lo rende stabile come un piolo conficcato in una roccia. Così Pietro, egli è stabile e possiede le chiavi del regno dei cieli. Le norme ecclesiali che Pietro detterà saranno ratificate nel cielo, proprio perché saranno emanate nella luce della parola di Cristo e nell'azione dello Spirito Santo.
Le chiavi di Pietro sono subordinate totalmente a Cristo, poiché è Cristo che ha aperto i cieli.
Vedete, fratelli e sorelle, chi rifiuta Pietro si pone lontano dalla salvezza. Non voglio parlare di quelli che sono nati in famiglie professanti la religione protestante o ortodossa; essi sono condizionati dal peso di tradizioni che negano il carisma di Pietro e dei suoi successori, ma, mi riferisco a coloro che hanno rotto coscientemente, volutamente, con Pietro. Essi, di conseguenza, hanno anche rotto con la salvezza e hanno aderito alle "potenze degli inferi". Mi riferisco anche a quelli che pur nati in famiglie cristiane non cattoliche sono arrivati a vedere bene il carisma di Pietro, ma lo rifiutano per ragioni di convenienza terrena.
Noi aderiamo a Pietro con la mente e con il cuore. Non solo con la mente, che potrebbe essere il rischio dei teologi troppo amanti del raziocinare, ma anche con il cuore, cioè con vero spirito di comunione in Cristo e nel dono dello Spirito Santo. Noi non dobbiamo "maneggiare" l'insegnamento di Pietro, dobbiamo nutrircene, farlo diventare unione con Cristo e con i fratelli. Certo, non continuamente il magistero di un Pontefice è sotto il segno dell'infallibilità, ma tutto certamente è sotto il segno dell'autenticità.
Spesso, si incontrano persone che vedono nel Pontefice l'istituzione e magari concludono: "Morto un papa fatto un altro". Ma noi, fratelli e sorelle, vediamo il Pontefice, il Vescovo di Roma, non solo come istituzione, ma come una persona che Cristo ha chiamato ad un compito formidabile, del tutto sproporzionato alle sue forze umane. Noi vediamo il carisma petrino compenetrare un uomo, che come noi soffre, come noi prega, spera, offre, piange. I teologi troppo spesso vedono solo "il papa", l'istituzione; noi, che vogliamo essere e rimanere tra i "piccoli", vi vediamo pure l'uomo; un uomo chiamato da Cristo ad un compito altissimo, a nostro favore.
Le passate domeniche abbiamo ascoltato come Paolo desiderasse l'entrata di Israele nella Chiesa. Questo desiderio è anche il nostro e ci porta alla domanda: "Quando gli Ebrei diverranno cristiani, la sede apostolica potrebbe spostarsi a Gerusalemme?". La risposta è un deciso no. La sede apostolica resterà a Roma perché Pietro è morto a Roma, perché Pietro è stato il Vescovo di Roma, e il suo successore nella sede romana è colui che riceve le prerogative di Pietro. Ma poi Gerusalemme, il monte Sion, quale titolo potrebbe presentare? Nessuno, se non quello terribile di avere rifiutato Gesù e di averlo consegnato ai Romani perché fosse crocifisso fuori delle sue mura.
La sede apostolica resterà per sempre a Roma. I papi potranno sostare altrove, come nell'infelice caso di Avignone, ma il papa sarà sempre il successore di Pietro sulla cattedra romana. Mai questo verrà meno. Anche se Roma venisse distrutta da un bombardamento atomico, rimarrà il luogo di Roma, ci sarà un popolo a Roma, e ci sarà un successore di Pietro a Roma. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.
Fonte:http://www.perfettaletizia.it

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