Clarisse Sant'Agata, Lectio"L’IMPOSSIBILE PERDONO"

XXIV Domenica del Tempo Ordinario – A -
Antifona d'Ingresso
Da', o Signore, la pace a coloro che sperano in te; i tuoi profeti siano trovati degni di fede; ascolta la

preghiera dei tuoi fedeli e del tuo popolo, Israele.
Colletta
O Dio, che hai creato e governi l'universo, fa' che sperimentiamo la potenza della tua misericordia,
per dedicarci con tutte le forze al tuo servizio. Per Cristo, nostro Signore.
Prima Lettura
Sir 27, 33 - 28, 9 (NV) [gr. 27, 30 - 28, 7]
Dal libro del Siracide.
Rancore e ira sono cose orribili, e il peccatore le porta dentro. Chi si vendica subirà la vendetta del Signore, il
quale tiene sempre presenti i suoi peccati. Perdona l'offesa al tuo prossimo e per la tua preghiera ti saranno
rimessi i peccati. Un uomo che resta in collera verso un altro uomo, come può chiedere la guarigione al Signore?
Lui che non ha misericordia per l'uomo suo simile, come può supplicare per i propri peccati? Se lui, che è soltanto
carne, conserva rancore, come può ottenere il perdono di Dio? Chi espierà per i suoi peccati? Ricòrdati della fine e
smetti di odiare, della dissoluzione e della morte e resta fedele ai comandamenti. Ricorda i precetti e non odiare il
prossimo, l'alleanza dell'Altissimo e dimentica gli errori altrui.
Salmo 102 (103)
Il Signore è buono e grande nell'amore.
Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tutti i suoi benefici.
Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue infermità,
salva dalla fossa la tua vita,
ti circonda di bontà e misericordia.
Non è in lite per sempre,
non rimane adirato in eterno.
Non ci tratta secondo i nostri peccati
e non ci ripaga secondo le nostre colpe.
Perché quanto il cielo è alto sulla terra,
così la sua misericordia è potente su quelli che lo temono;
quanto dista l'oriente dall'occidente,
così egli allontana da noi le nostre colpe.
Seconda Lettura
Rm 14, 7-9
Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Romani.
Fratelli, nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso, perché se noi viviamo, viviamo per il
Signore, se noi moriamo, moriamo per il Signore. Sia che viviamo, sia che moriamo, siamo del Signore. Per questo
infatti Cristo è morto ed è ritornato alla vita: per essere il Signore dei morti e dei vivi.
Canto al Vangelo
Alleluia, alleluia.
Vi do un comandamento nuovo, dice il Signore: come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni
gli altri.
Alleluia.
Vangelo
Mt 18, 21-35
Dal vangelo secondo Matteo.
In quel tempo, Pietro si avvicinò a Gesù e gli disse: "Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me,
quante volte dovrò perdonargli? Fino a sette volte?". E Gesù gli rispose: "Non ti dico fino a sette volte, ma fino a
settanta volte sette. Per questo, il regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. Aveva
cominciato a regolare i conti, quando gli fu presentato un tale che gli doveva diecimila talenti. Poiché costui non
era in grado di restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, i figli e quanto possedeva, e così
saldasse il debito. Allora il servo, prostrato a terra, lo supplicava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti restituirò
ogni cosa". Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito. Appena uscito, quel
servo trovò uno dei suoi compagni, che gli doveva cento denari. Lo prese per il collo e lo soffocava, dicendo:
"Restituisci quello che devi!". Il suo compagno, prostrato a terra, lo pregava dicendo: "Abbi pazienza con me e ti
restituirò". Ma egli non volle, andò e lo fece gettare in prigione, fino a che non avesse pagato il debito. Visto
quello che accadeva, i suoi compagni furono molto dispiaciuti e andarono a riferire al loro padrone tutto
l'accaduto. Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: "Servo malvagio, io ti ho condonato tutto quel
debito perché tu mi hai pregato. Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di
te?". Sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non avesse restituito tutto il dovuto. Così anche il
Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello".
Sulle Offerte
Accogli con bontà, Signore, i doni e le preghiere del tuo popolo, e ciò che ognuno offre in tuo onore
giovi alla salvezza di tutti. Per Cristo nostro Signore.
Comunione
Quanto è preziosa la tua misericordia, o Dio! Gli uomini si rifugiano all'ombra delle tue ali.
Dopo la Comunione
La potenza di questo sacramento, o Padre, ci pervada corpo e anima, perché non prevalga in noi il
nostro sentimento, ma l'azione del tuo Santo Spirito. Per Cristo nostro Signore.
L’IMPOSSIBILE PERDONO
La Chiesa che domenica scorsa era chiamata a cercare ogni via per “tenere legato il fratello che
commette una colpa”, oggi è posta di fronte a una nuova esigente chiamata: quella del perdono senza
misura.
E’ Pietro, il primo dei membri della chiesa, a interrogare Gesù sulla misura del perdono.
Fino ad ora Gesù non aveva parlato di perdono, ma solo dell’importanza del fratello (il
piccolo, il peccatore… cfr. Mt 18,1-14); ma Pietro intuisce bene che, quando ci troviamo di fronte a un
“fratello che commette un colpa contro di noi”, la via da percorrere è solo quella del perdono.
Anzi, la domanda di Pietro dice che egli è già entrato nella logica nuova del Vangelo perché ha
trovato il coraggio di superare la pratica dell’“occhio per occhio e dente per dente” che la Legge offriva per
porre un limite alla vendetta (cfr. Es 21,23-24). Di fronte alla violenza infinita di Lamec, che
rispondeva settantasette volte ad un torto verso di lui (Gen 4,23), la Legge di Mosé era intervenuta per
rendere la pena proporzionata all’offesa (cfr. Es 21,23-24; Lv 24,19-21; Abd 15). E Gesù, nel suo
discorso della montagna, aveva portato alle sue estreme conseguenze la Legge proponendo una nuova
logica per la quale la catena del male si può interrompere solo con il bene, solo con quella risposta
attiva che è l’amore (cfr. Mt 5,38-48). Ora l’amore di cui aveva parlato Gesù ha nell’amore di Dio la
sua misura: “siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste” (Mt 5,48) che Luca traduce: “Siate
misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso” (Lc 6,36).
Qui affonda la sua radice il vangelo di oggi.
Gesù ci può chiedere il perdono illimitato solo come risposta all’illimitato dono che ci fa il
Padre della Sua misericordia, del Suo perdono!
Se partiamo da noi e dalle nostre capacità, ciò che Gesù chiede a Pietro (“Non ti dico di
perdonare fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”) è veramente impossibile! Come perdonare
“sempre” il “fratello che commette una colpa contro di noi”?
Pietro aveva già oltrepassato il limite “umano” massimo del perdono, proponendo di
perdonare “sette volte” il fratello. Ma Gesù dilata questa chiamata secondo una misura che Lui sa
corrispondere al cuore dell’uomo, ma di cui l’uomo non può essere capace da solo!
Gesù può chiedere l’impossibile perdono perché lo dona come “misura buona, pigiata, colma e
traboccante versata nel nostro grembo” (cfr. Lc 6,38). Gesù non ci chiede di fare ciò che non possiamo
fare, ci chiede di riconoscere e accogliere il perdono che Lui ci dona e che può rendere possibile il
nostro perdono!
Quindi non è questione di mettere tutto il nostro impegno in qualcosa di cui non abbiamo la
capacità (e sappiamo bene quanto sia frustrante e umiliante intraprendere tali imprese con le nostre
forze!), ma di aprirci al dono che viene dall’alto, da Dio e allora scopriremo che Dio non chiede mai
ciò prima non ci dona.
“Dio non chiede l’impossibile: ce lo dona!” (Christian De Chergé).
E noi sapremo ricevere e accogliere questo “impossibile”?
Entriamo ora nella parabola con la quale Gesù mostra a Pietro (e a tutti noi discepoli) la via
del perdono.
Chi è il protagonista della parabola?
Scoprirlo è fondamentale per entrare nelle parole di Gesù. Il racconto si suddivide in tre
scene: nella prima si presenta un dialogo fra un “signore” e un “servo” in cui parla solo il “servo”; nella
seconda c’è un dialogo fra due servi; nella terza si ritorna al dialogo fra “signore” e “servo” in cui parla
solo il “signore”.
La conclusione (“Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al
proprio fratello” v. 35) è la chiave per scoprire il protagonista di questa parabola.
Apparentemente potremmo pensare che il personaggio principale sia il primo servo, in quanto
compare in tutte e tre le scene. Ed effettivamente questo servo è importante (in lui ci siamo tutti
noi!)! Guardiamolo più da vicino, per scoprire quanto ci somigli.
Questo “servo” vive lo stridente contrasto fra ciò di cui è “mancante” (ha un debito sconfinato,
non ha possibilità di saldarlo anche “vendendo” tutto ciò che è e che ha: “lui, moglie, figli e quanto
possedeva”) e ciò che “pretende”, prima di tutto da se stesso (“ti restituirò” dice al signore) poi dall’altro
servo come lui (“restituisci”). Dalle sue parole comprendiamo che la logica che lo muove è quella
“retributiva”: pensa che tutto si possa e si debba ricompensare secondo una misura di “dare e avere”.
Quante volte anche noi viviamo così, soprattutto in rapporto a Dio: pensiamo che tutto vada
ripagato o meritato con qualche buona azione con la quale presumiamo di “pagare” con uguale
misura l’Altro/altro dal quale riceviamo e non ci accorgiamo che siamo tutti semplicemente “servi”
che hanno un “debito” che non possono ripagare, mai e in nessun modo. Grande o piccolo che sia, il
debito che abbiamo verso l’Altro/altro è impossibile da restituire: non ha da restituire il primo servo
e neppure il secondo, con tutta la sproporzione dei due debiti (la parabola accosta appositamente
l’unità di misura più grande -“diecimila talenti”- e più piccola –“denaro”- che conoscesse il mondo
orientale)!
Il debito che abbiamo verso Dio, il Signore (è interessante che il Vangelo lo chiama sempre
“signore”, kyrios, e non “padrone”) è “insolubile”.
Ma anche il debito che l’altro, il fratello, ha verso di me è “insolubile”.
Se rimaniamo nella logica del “restituire/ripagare”, la vita rimane un vicolo cieco, una vita di
schiavitù dove siamo relegati noi stessi (“…lo diede in mano agli aguzzini”) o releghiamo l’altro (“…lo fece
gettare in prigione”).
Come uscire da tutto questo?
Guardiamo al “signore”, il vero protagonista della parabola, e ci soffermiamo su due verbi che
lo caratterizzano e si corrispondono (in greco sono nella medesima forma verbale) nella prima e
nell’ultima scena: “mosso a compassione” (“il padrone ebbe compassione di quel servo”) e “mosso
all’ira” (“sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini”).
Il primo atteggiamento è quello che Dio assume verso l’uomo, ogni uomo, perché tutti siamo
“servi che non sono in grado di restituire”. Di fronte a Lui, tutti siamo debitori a cui può solo essere
condonato il debito.
Basta un semplice grido che faccia appello alla sua “pazienza” (il verbo indica la sua
“magnanimità, grandezza di cuore”: cfr. “la carità è paziente” 1Cor 13,4) perché questo signore,
apparentemente così esigente (“ordinò che fosse venduto… e saldasse il debito”), sia toccato nel suo amore
viscerale fino a condonare al servo tutto quell’enorme debito e lasciarlo andare.
Dio è un esperto di “viscere di misericordia”: “Dio, ricco di misericordia, per il grande amore con il
quale ci ha amato, da morti che eravamo per le colpe, ci ha fatto rivivere con Cristo: per grazia siete salvati” (cfr.
Ef 2,4-5).
E di “condono” senza riserve: “Dio ha dato vita anche a voi, che eravate morti a causa delle colpe e
della non circoncisione della vostra carne, perdonandoci tutte le colpe e annullando il documento scritto contro di
noi che ci era contrario: lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce” (cfr. Col 2,13-14).
Non dimentichiamo che le ultime parole di Gesù sulla croce sono state di “condono” ai suoi
crocifissori: “Padre perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34). Sono la rivelazione estrema
del condono/perdono senza misura di Dio per l’uomo debitore/peccatore.
Ora, l’amore di Dio ci lascia andare liberi dal peso di ogni colpa/debito perché diveniamo
segno per i nostri fratelli di quella misericordia che abbiamo ricevuto. Se questo non avviene (come
per il primo servo della parabola), l’altro atteggiamento che caratterizza questo “signore” è l’essere
“mosso all’ira”.
Non è un movimento contrario al primo (“mosso a misericordia”), ma corrispondente alle sue
viscere di misericordia per tutti gli uomini (ad esempio rivela la misericordia per il secondo servo
verso il quale il primo non ha condonato). Si tratta dell’“ira di Dio e dell’Agnello” di Ap 6,17 e 11,18
che comparirà nel giorno definitivo dell’incontro con il vero volto di Dio. E’ “ira” (ma possiamo
anche chiederci che ira può avere un Agnello…) come l’altra faccia della Sua misericordia e si rivela a
chi, pur avendo ricevuto il condono immeritato di ogni debito, non ha vissuto ogni altra relazione
secondo la misura del dono ricevuto. L’ira dell’Agnello insomma la conoscerà solo chi si oppone alla
logica dell’amore inerme dell’Agnello immolato, Colui che sulla croce ha perdonato i suoi uccisori e
ha versato il suo sangue per la remissione dei peccati.
Potrà esserci qualcuno che sceglierà di rifiutare agli altri ciò che Dio gli accorda gratuitamente?
Ci auguriamo di no e chiediamo al Signore un cuore dilatato dalla “misura abbondante e scossa”
(cfr. Lc 6,38) della Sua misericordia riversata nei nostri cuori (cfr. Rm 5,5). Allora “da” quel cuore (“…se
non perdonerete dal cuore, ciascuno al proprio fratello”) dilatato a Sua immagine scaturirà l’impossibile
perdono per i nostri fratelli come “olio” che non viene meno (cfr. 2Re 4,1-7), come “acqua viva” di cui
scopriremo avere in noi una sorgente inesauribile (cfr. Gv 7,38).
L’impossibile perdono che Dio rende possibile!

Fonte:http://www.clarissesantagata.it/

Commenti

Post più popolari