Don Paolo Zamengo, Un “ma poi” che salva

XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (01/10/2017)
 Un “ma poi” che salva       Mt 21, 28-32

Un uomo aveva due figli. Ci verrebbe da dire: “La sappiamo già, la conosciamo questa storia,
sappiamo come va a finire”. E così mandiamo questa parabola in soffitta e il suo insegnamento finisce tra le ragnatele.

Questa parabola parla di noi perché noi siamo quei due figli dal cuore altalenante che hanno comportamenti così contrastanti e contradditori che fanno nascere giustamente l’interrogativo e il sospetto: “Ma questi sono figli o cosa sono?”.

Il padre chiede ai suoi due figli, di occuparsi della vigna, la vigna di famiglia. il padre sa bene che per la potatura bastano gli operai e che per la vendemmia bastano altri salariati a giornata, ma sa anche che per la cura della vigna non bastano le mani, ci vuole cuore, perché la vigna è un tesoro e solo chi ama ne conosce il valore. Per questo il padre si rivolge ai suoi figli.

Alla richiesta del padre, il primo figlio risponde garbatamente di sì ma non va nella vigna. Questo figlio vive con il padre ma il suo cuore abita lontano. In lui vince l’apparenza e la finzione. Immaturo e narcisista questo figlio non vede cosa succede oltre la siepe della sua vita. Usa e abusa del nome di casa.

Si riempie la bocca di cose sacre ma la sua correttezza è esteriore e la sua adesione è solo verbale. Non va a lavorare nella vigna perché il suo cuore è spento da tempo. Non si sente figlio e la sua identità è svuotata di ogni significato.

“Non ne ho voglia” è la risposta del secondo figlio, sincero e ostinato. La sua risposta è uno strappo in piena regola. Anche al tempo di Gesù il rapporto padre-figli non era lineare e scontato.

Questo no è un atto di rivolta, di ribellione, uno dei tanti no detti a Dio come nei giorni della creazione. Ma il no di questo figlio che offende il padre diventa lentamente un boomerang e trasforma la sua sfida in amarezza. “Ma poi si pentì” e va a prendersi cura della vigna. Da questo “ma poi” inizia il suo riscatto.

Il figlio sgarbato, ribelle e irriverente compie la volontà del padre. Il figlio educato e rispettoso si allontana sempre più.  Questo primo figlio non ha un “ma poi”. Mentre la pausa di riflessione è servita, al secondo, come cammino di verifica e di conversione.

La conclusione della breve parabola di Gesù ci ricorda che la religiosità di facciata non salva. Essa colpisce quanti si nascondono dietro le belle parole. Sembrano vivi, ma sembrano solo vivi. Allora Gesù pone una domanda: “Chi dei due figli ha compiuto la volontà del padre?”. Tutti diciamo in coro: “L’ultimo!”. E Gesù conclude che i peccatori, uomini e donne, che si convertono, diventano i più disponibili ad entrare nel suo regno.

Fermiamoci anche noi a riflettere e a volere la nostra conversione ricordandoci che chi ritorna al Signore, si restituisce anche a sé stesso.

Gesù denuncia, per il nostro bene, gli atteggiamenti di presunzione, atteggiamenti da sepolcri imbiancati che spengono e inaridiscono la fede. Per Gesù la verità è anche questo: un sì che, di fatto diventa un no, e un no che, per grazia, diventa un sì.

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