DON Tonino Lasconi, "Dio non fa caporalato"
XXV Domenica del Tempo Ordinario - Anno A - 2017
Le persone valgono soprattutto per ciò che sono o per ciò che producono? Nella liturgia di questa
XXV domenica del tempo ordinario, Gesù risponde con la parabola degli operai dell'"ultima ora", che ci interpella a un cambiamento profondo di mentalità.
Fino a qualche anno fa, per spiegare la parabola degli operai della vigna ci si serviva dell'esempio del caporalato, ma prima bisognava spiegare cosa era. Adesso purtroppo non c'è bisogno di spiegazioni, perché se ne sente parlare spesso per fattacci di cronaca che lo riguardano, soprattutto nel tempo della raccolta dei pomodori, delle ulive, della frutta, della vendemmia. Se ne sente parlare per condannarlo come pratica ingiusta e criminale, anche se poi non sembra che si proceda con il rigore necessario per stroncarlo, dal momento che si potrebbe dire: "siamo tutti caporali".
La mentalità del caporalato infatti, consiste nel servirsi delle persone non per il loro bene, ma per l'utile che possono procurare al "padrone", e ricompensate non per l'impegno profuso secondo le loro possibilità, ma per la quantità del prodotto. Esattamente come avviene nella parabola di Gesù, dove troviamo "quelli del caporalato" che: "mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo". In quel tempo, come oggi, i "caporali" al mattino presto si assicuravano gli uomini più robusti che potevano garantire la fatica per l'intera giornata; poi, via via, se servivano altre braccia, racimolavano quelli meno in forze. Questi ultimi, ovviamente, però, si dovevano accontentare di pochi spiccioli.
Il padrone della parabola sconvolge questa modalità, apparentemente e sindacalmente giusta, dando agli ultimi, che avevano lavorato secondo le loro energie, la stessa paga dei primi, che non avevano nessuna ragione per recriminare, perché il patto con loro era stato rispettato. Questo "Padrone" segue una logica "altra", secondo la quale la ricompensa va a ciascuno secondo le sue possibilità, considerando non quello che ha prodotto, ma quello che è. E' la logica che il profeta Isaia, in sintonia con tutti gli autori del Vecchio e Nuovo Testamento, sintetizza così: "i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri".
Così parla Dio, non per darci un'informazione sul suo quoziente intellettuale, ma per invitarci alla conversione, abbandonando i nostri pensieri e le nostre vie per accogliere i suoi, guardando agli altri come persone da rispettare, non come strumenti per guadagnare. Scelta molto ardua. Infatti il caporalato come fenomeno sociale, nonostante le condanne a parola, non soltanto non è scomparso, ma è diventato più ingiusto e crudele. I "caporali" moderni pagano poco (anche niente, se ci riescono) tutti i disperati, costretti ad accettare le loro condizioni, anche a rischio di lasciarci la pelle (come è accaduto), non avendo altre risorse per vivere. Meglio, per sopravvivere.
A noi, però, la parabola di Gesù, oltre a contrastare il triste fenomeno del caporalato comunque e dovunque si manifesti, per quanto è nelle nostre possibilità, almeno a livello di opinione, chiede di non praticarlo. Sì, perché questo comportamento non riguarda, non tenta e non seduce soltanto i produttori di pomodori, di olio e di vino, ma ciascuno di noi, come accade tutte le volte che ci rapportiamo con le persone non considerando quello che sono, ma il profitto che ne possiamo ricavare.
Questa parabola di Gesù dovrebbe risuonare senza interruzione, come musica di sottofondo, nelle fabbriche, negli uffici, nei centri commerciali, dove ci si sciacqua la bocca con la "meritocrazia", che diventa negare il lavoro ai disabili, alle donne incinte, alle persone che non possono avvalersi di amicizie influenti, agli stranieri, a coloro che non hanno un fisico al top. Deve, però, risuonare anche dentro di ciascuno di noi e negli ambienti dove viviamo e operiamo.
Sarebbe bello, ma come si fa? E' facilissimo! Basta che tutti noi che diciamo di volere seguire i pensieri di Dio ci comportiamo come chiede san Paolo: "in modo degno del vangelo di Cristo".
Fonte:http://www.paoline.it
Le persone valgono soprattutto per ciò che sono o per ciò che producono? Nella liturgia di questa
XXV domenica del tempo ordinario, Gesù risponde con la parabola degli operai dell'"ultima ora", che ci interpella a un cambiamento profondo di mentalità.
Fino a qualche anno fa, per spiegare la parabola degli operai della vigna ci si serviva dell'esempio del caporalato, ma prima bisognava spiegare cosa era. Adesso purtroppo non c'è bisogno di spiegazioni, perché se ne sente parlare spesso per fattacci di cronaca che lo riguardano, soprattutto nel tempo della raccolta dei pomodori, delle ulive, della frutta, della vendemmia. Se ne sente parlare per condannarlo come pratica ingiusta e criminale, anche se poi non sembra che si proceda con il rigore necessario per stroncarlo, dal momento che si potrebbe dire: "siamo tutti caporali".
La mentalità del caporalato infatti, consiste nel servirsi delle persone non per il loro bene, ma per l'utile che possono procurare al "padrone", e ricompensate non per l'impegno profuso secondo le loro possibilità, ma per la quantità del prodotto. Esattamente come avviene nella parabola di Gesù, dove troviamo "quelli del caporalato" che: "mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un'ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo". In quel tempo, come oggi, i "caporali" al mattino presto si assicuravano gli uomini più robusti che potevano garantire la fatica per l'intera giornata; poi, via via, se servivano altre braccia, racimolavano quelli meno in forze. Questi ultimi, ovviamente, però, si dovevano accontentare di pochi spiccioli.
Il padrone della parabola sconvolge questa modalità, apparentemente e sindacalmente giusta, dando agli ultimi, che avevano lavorato secondo le loro energie, la stessa paga dei primi, che non avevano nessuna ragione per recriminare, perché il patto con loro era stato rispettato. Questo "Padrone" segue una logica "altra", secondo la quale la ricompensa va a ciascuno secondo le sue possibilità, considerando non quello che ha prodotto, ma quello che è. E' la logica che il profeta Isaia, in sintonia con tutti gli autori del Vecchio e Nuovo Testamento, sintetizza così: "i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie. Quanto il cielo sovrasta la terra, tanto le mie vie sovrastano le vostre vie, i miei pensieri sovrastano i vostri pensieri".
Così parla Dio, non per darci un'informazione sul suo quoziente intellettuale, ma per invitarci alla conversione, abbandonando i nostri pensieri e le nostre vie per accogliere i suoi, guardando agli altri come persone da rispettare, non come strumenti per guadagnare. Scelta molto ardua. Infatti il caporalato come fenomeno sociale, nonostante le condanne a parola, non soltanto non è scomparso, ma è diventato più ingiusto e crudele. I "caporali" moderni pagano poco (anche niente, se ci riescono) tutti i disperati, costretti ad accettare le loro condizioni, anche a rischio di lasciarci la pelle (come è accaduto), non avendo altre risorse per vivere. Meglio, per sopravvivere.
A noi, però, la parabola di Gesù, oltre a contrastare il triste fenomeno del caporalato comunque e dovunque si manifesti, per quanto è nelle nostre possibilità, almeno a livello di opinione, chiede di non praticarlo. Sì, perché questo comportamento non riguarda, non tenta e non seduce soltanto i produttori di pomodori, di olio e di vino, ma ciascuno di noi, come accade tutte le volte che ci rapportiamo con le persone non considerando quello che sono, ma il profitto che ne possiamo ricavare.
Questa parabola di Gesù dovrebbe risuonare senza interruzione, come musica di sottofondo, nelle fabbriche, negli uffici, nei centri commerciali, dove ci si sciacqua la bocca con la "meritocrazia", che diventa negare il lavoro ai disabili, alle donne incinte, alle persone che non possono avvalersi di amicizie influenti, agli stranieri, a coloro che non hanno un fisico al top. Deve, però, risuonare anche dentro di ciascuno di noi e negli ambienti dove viviamo e operiamo.
Sarebbe bello, ma come si fa? E' facilissimo! Basta che tutti noi che diciamo di volere seguire i pensieri di Dio ci comportiamo come chiede san Paolo: "in modo degno del vangelo di Cristo".
Fonte:http://www.paoline.it
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