Padre Paolo Berti, “Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”


XXIV Domenica del T. O.        
Mt 18,21-35
“Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette”
Omelia
“Rancore e ira sono cose orribili … perdona l’offesa al tuo prossimo…non odiare il prossimo”; sono
parole che sembrano uscire dal Vangelo, ma in realtà ne sono ancora distanti; certo però sono nella direzione del Vangelo.
Esse riprendono quanto dice il Levitico (19,18) nel quadro dell'amore tra gli Israeliti, ma non intendono abolire la legge del taglione, che il Levitico non omette di presentare (24,20). Ci sono anche parole che invitano all'attenzione verso il nemico nel Vecchio Testamento, là dove si dice (Es 23,4) di riportare il bue smarrito al suo proprietario anche se è un nemico, di aiutare l'asino del nemico a rialzarsi (Es 23,5), di dare un pane al nemico affamato (Pr 25,21), di non gioire della caduta del nemico (Gb 31,29; Pr 24,17), ma si tratta del fratello diventato nemico, di un figlio del proprio popolo, diventato ostile per un qualche dissapore; verso di lui non va praticata la vendetta: “Chi si vendica subirà la vendetta del Signore”. Tuttavia al peccatore, all'empio, non va dato aiuto (Sir 12,5): “Fa del bene al povero e non donare all'empio, rifiutagli il pane e non dargliene (...). Perché anche l'Altissimo detesta i peccatori e agli empi darà quello che meritano”.
Nel Vecchio Testamento la chiusura verso il nemico che ha fatto un grave torto, si manifesta spesso nelle maledizioni contro i nemici (Cf. 2Re 2,24; Ps 109/108; Ps 59/58,12; 135/134,18; Sir 28,13). La maledizione è segno dell'amarezza del cuore (Sir 4,6), ma pur con ciò va detto che nel Vecchio Testamento non c'è affatto il comandamento di odiare.
Il Vangelo vuole l'amore anche verso il nemico che ha offeso più gravemente (Mt 5,44s) e abolisce la maledizione (Rm 12,14; 1Pt 2,23). Così, tra quanto dice il testo del Siracide che abbiamo letto e il Vangelo esiste un passo immenso, ed è quello che porta all'esigenza di vincere non solo il rancore, ma anche il risentimento, infatti Gesù ci dice non solo di perdonare settanta volte sette, ma anche di perdonare di cuore (Mt 18,35).
Voi mi direte: “Che differenza c'è tra il rancore e il risentimento?”. Ecco, il rancore cerca la rivalsa, l'attacco; è l'ira compressa dentro, è il rifiuto del perdono, la ricerca della vendetta. Il risentimento è il rimuginare, il risentire il sapore triste dell'offesa ricevuta e pur perdonata; è specularvi sopra per giudicare, per far rimanere il cuore distante dal fratello. Il risentimento conta i perdoni dati; e nel Vecchio Testamento si numeravano: i rabbini teorizzavano fino a tre perdoni. Il risentimento è quanto resta a chi non si vendica, a chi supera il rancore, ma non perfettamente. La vittoria sul risentimento è la perfezione della vittoria sul rancore. Il risentimento è quanto resta nel cuore a chi non vuole perdonare settanta volte sette, e di cuore.
E' bene sapere tutto questo per intendere molte espressioni attuali dei “nostri fratelli maggiori”, che ci sorprendono sembrando evangeliche, ma in realtà sono lontane dal Vangelo, perché tale distanza è valicabile solo con Cristo, in Cristo, per Cristo. Solo in Cristo si può perdonare settanta volte sette, e di cuore. Comunque, il Vecchio Testamento insegna tanto. Infatti, fratelli e sorelle, il mondo conosce l'ira, il rancore, la vendetta. Il mondo usa il perdono addirittura come arma di disprezzo. Il mondo non conosce il perdono e quando lo dà è un perdono che è disprezzo; un perdono che dice: “Sei tanto meschino che non vali l'odio; non vali nessuna considerazione, perciò ti perdono”. E' questo un perdono che uccide, che aliena. L'odio quando perdona uccide. L'amore quando perdona fa vivere e dà pace.
Il mondo fa anche questo, fratelli e sorelle: perdona sotto forma di rinuncia al “diritto” di vendicarsi; ma il perdono non è rinuncia al “diritto” di vendicarsi, poiché non è dato dal Vangelo tale diritto. Il fondamento del perdono è infatti la misericordia di Dio. Dio chiede che il peccatore da lui perdonato, a sua volta sia misericordioso con il suo prossimo. La disponibilità a perdonare è la condizione per essere perdonato da Dio, e questo lo conosceva anche il Vecchio Testamento, come abbiamo ascoltato dal testo del Siracide. Anche il Padre Nostro presenta l'uguale: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”; ma i nostri debitori non sono solo quelli coi quali abbiamo accumulato dei dissapori, ma sono anche quelli che ci perseguitano ingiustamente, che calpestano i nostri diritti, che ci rifiutano con odio violento.
Il perdono cristiano ha come fondamento Gesù. “Senza di me non potete far nulla”, ci dice Gesù (Gv 15,5).
Il cristiano di fronte al nemico violento, prepotente, continua ad amare, e gli manda messaggi di possibilità di pace, di desiderio di pace e di riconciliazione e prega per lui. Non è debolezza questa; non è viltà di fronte all'avversario, ma forza di amare. E se questi inviti vengono disprezzati il cristiano continua ad amare e a pregare per l'avversario; per l'avversario che ha voluto rendersi tale. Il cristiano ha nemici eppure lui non li vuole considerare nemici. E se è obbligato a difendersi per vie legali dal sopruso, non odia, ma fa un giusto appello a quelle leggi che con tanta fatica l'uomo ha prodotto per la convivenza civile. E se è obbligato a difendersi, armi in mano, contro un aggressore armato che colpisce la sua terra, i suoi cari, la sua patria, non lo odia.
Il cristiano perdona. Voi mi direte. “Ma in attesa che l'offensore ci venga a chiedere perdono, cosa si deve fare?”. Amare, aspettare, pregare, non fare clamore, non recriminare, tacere, soffrire. Chi aspetta ha già perdonato in cuor suo; quando l'offensore verrà ad ammettere o, di più, a chiedere perdono, sarà la festa dell'accoglienza, della riconciliazione.
La riconciliazione ha sempre un cammino di consolidamento, poiché quando due si sono rappacificati nel Signore devono rimanere vittoriosi sul risentimento. E' necessario così un rinnovato impegno di vita e il risultato della riconciliazione sarà bellissimo; esso porterà alla lode di Dio, al ringraziamento.
“Senza di me non potete far nulla” (Gv 15,5), dice Gesù. Infatti, non è possibile ad un uomo perdonare senza risentimento settanta volte sette, se non è in Cristo. Paolo ci dice alcune parole vitali su che cosa voglia dire essere in Cristo. Se noi possiamo perdonare settanta volte sette è perché siamo uniti a Cristo; se noi sappiamo pregare perché Dio perdoni i peccati dei nostri persecutori è perché siamo in Cristo.
A volte, fratelli e sorelle, per nostra debolezza, pensiamo ingiustamente di distanziarci da qualcuno, eppure nello stesso tempo non riusciamo a compiere l'atto poiché il cuore vi si oppone con forza; ebbene questo accade perché siamo in Cristo.
Con ciò voglio anche dire che prima di compiere un qualsivoglia peccato noi facciamo un misconoscimento dell'amore di Dio, un atto di separazione da Dio. Prima di commettere un peccato, veniale o mortale, noi ci creiamo una fulminea cornice di giustificazione del peccato. Il peccato è preceduto sempre da un misconoscimento di Dio. Si dirà che la prova è troppo grande, che la solitudine è troppa, che Dio è distante, e con ciò si vorrà attribuire a Dio il peccato. Ma chi ama Cristo non fa pensieri di giustificazione del peccato, perché il peccato non ha nessuna ragione di essere posto.
Noi siamo uomini di comunione e perciò pronti al perdono.
Chi è in Cristo è un uomo nuovo, un uomo di comunione e perciò di riconciliazione.
La Chiesa è comunione ed è dotata della forza della riconciliazione affinché la comunione rimanga, e, anzi, cresca. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.
Fonte:http://www.perfettaletizia.it

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