Paolo Curtaz, "Fabbricare peccatori"
Commento al Vangelo del 17 settembre 2017
Fabbricare peccatori
Nel mio ministero voglio fabbricare peccatori.
Così pare si sia presentato il giovane padre David Maria Turoldo ad un immagino perplesso e timido
Cardinal Montini neo-eletto vescovo di Milano alla fine degli anni Cinquanta.
Eppure in quella intuizione, che allora pareva inopportuna e stramba, c’era già il futuro.
Fabbricare peccatori.
Aiutare le persone, cioè, ad avere un corretto approccio al peccato e al perdono. Convertire i cattolici alla vera logica del Vangelo e gli atei alla novità straordinaria del messaggio di Gesù. Per far superare, agli uni e agli altri, visioni superficiali, piccine, moralistiche, inutilmente cariche di sensi di colpa.
Chissà cosa direbbe l’energico padre servita della situazione attuale?
Di questo crescendo senso di disagio che attraversa l’Occidente che confonde la bontà col buonismo, che abbandona la fede cristiana per abbracciare la laicissima fede del politicamente corretto, che fa del perdono un’emozione da donare a prescindere, che giustifica la violenza vera e il populismo aggressivo e becero ma pretende il perdono nei propri confronti.
Perché il tema del perdono non è più argomento per chierichetti e baciapile. Ma ci tocca in prima persona quando assistiamo alla strage fanatica di inermi turisti, quando leggiamo di branchi, di uomini come lupi, che stuprano donne, quando assistiamo, attoniti, alle bravate di giovani stravolti dall’alcol e dalle droghe.
Cosa significa, in questi casi, perdonare?
Non è un cedimento? E se l’altro approfitta del perdono? E se insiste?
Fino a quante volte dobbiamo perdonare? Fino a settanta volte?
Sempre
Storicamente, nella Bibbia, il grido orribile di Lamech, figlio di Caino, che minaccia di uccidere settanta volte sette per uno screzio (Gn 4), è attenuato dalla legge del taglione che pone almeno un freno alla rabbia, introducendo un criterio di proporzionalità nella vendetta: occhio per occhio, dente per dente. Nel Pentateuco già troviamo qualche accenno alla misericordia, sempre però limitata ai fratelli di fede.
Al tempo di Gesù i rabbini suggerivano di perdonare fino a tre volte un torto subito, per manifestare clemenza. Pietro, nel vangelo di oggi, vuole esagerare, proponendo di perdonare fino a sette volte.
Tenero.
Sette volte. Come se il vostro amico che avete appena perdonato per avere sparlato male di voi, tornasse dopo dieci minuti e vi dicesse di avere nuovamente sparlato di voi. Lo perdonate?
E Gesù rilancia: settanta volte sette, cioè sempre.
Perché?
Da giudice ad imputato
Perché noi per primi siamo perdonati e con una tale larghezza e generosità che non possiamo che perdonare.
Il piccolo credito che abbiamo verso i fratelli non è nulla rispetto al debito mostruoso che abbiamo contratto verso Dio.
E che egli ha cancellato.
Il debito del servo è volutamente assurdo: un talento equivale a trentasei chili d’oro. Diecimila talenti è una cifra inimmaginabile. Il Prodotto Interno Lordo di una nazione come l’Italia. Mai e poi mai sarebbe stato saldato. Eppure quel debito viene condonato, non il debito dell’altro servo che, pur dovendo una cifra consistente al collega, circa duecento giornate lavorative, non ha di che pagare.
La reazione del padrone è feroce: sei chiamato a perdonare perché ti è stato condonato molto di più.
Ecco la ragione del perdono cristiano: perdono chi mi ha offeso perché io per primo sono un perdonato.
Non perdono perché l’altro migliori, o si converta, o si intenerisca.
A volte l’altro non sa nemmeno di essere stato perdonato e può disprezzare il mio gesto.
Non perdono perché l’altro cambi, ma perché io ho urgente bisogno di cambiare!
Il perdono mi situa in una posizione nuova, diversa, mi rende simile a quel Dio che fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti.
Consigli
Non perdoniamo perché siamo migliori e il perdono non è un’amnesia.
Dire perdono ma non dimentico fa sorridere. Perdono perché scelgo di perdonare, perché voglio perdonare. Vederti mi riapre le ferite, sto male come un cane, ma ho scelto la strada della libertà.
Per molte persone che hanno avuto la vita rovinata dalla superficialità e dalla cattiveria altrui è già un grosso risultato non augurare la morte, ma la conversione di chi mi ha ferito.
Ti perdono e prego che tu ti penta del male che mi hai fatto.
Non aspettiamo mai il perdono perfetto, quello angelico, straordinario.
Perdoniamo come riusciamo, al meglio delle nostre capacità e delle nostre forze.
Perdoniamo perché siamo perdonati, perché il perdono ci rende straordinariamente liberi.
E se l’altro considera il perdono come debolezza? È un rischio da correre, è un rischio che Gesù ha corso, perdonando i suoi assassini dalla croce. E, pure, io credo, noi crediamo, che quel paradosso smuove i cuori. Non tutti, forse, ma li smuove.
Figli del perdono
Quanto è adulto e virile il perdono!
Quanto è forte e deciso!
Quanto è eroico e umano!
Abbiamo bisogno di donare e ricevere il perdono, di vivere da figli della riconciliazione.
Di accettare il perdono degli altri, senza rivendicazioni e ripicche.
Di chiedere perdono, ammettendo il nostro limite.
Le famiglie, le società, la Chiesa cambierebbero volto se vivessimo meglio il perdono!
Come ha intuito il grande Giovanni Paolo, riprendendo e ampliando Isaia: non c’è pace senza giustizia.
Ma non c’è giustizia senza perdono.
Prendere consapevolezza del peccato, fabbricare peccatori, è il primo passo per capire la logica del perdono che siamo chiamati a donare, sempre, per assomigliare al Padre.
Fonte:http://www.tiraccontolaparola.it/
Fabbricare peccatori
Nel mio ministero voglio fabbricare peccatori.
Così pare si sia presentato il giovane padre David Maria Turoldo ad un immagino perplesso e timido
Cardinal Montini neo-eletto vescovo di Milano alla fine degli anni Cinquanta.
Eppure in quella intuizione, che allora pareva inopportuna e stramba, c’era già il futuro.
Fabbricare peccatori.
Aiutare le persone, cioè, ad avere un corretto approccio al peccato e al perdono. Convertire i cattolici alla vera logica del Vangelo e gli atei alla novità straordinaria del messaggio di Gesù. Per far superare, agli uni e agli altri, visioni superficiali, piccine, moralistiche, inutilmente cariche di sensi di colpa.
Chissà cosa direbbe l’energico padre servita della situazione attuale?
Di questo crescendo senso di disagio che attraversa l’Occidente che confonde la bontà col buonismo, che abbandona la fede cristiana per abbracciare la laicissima fede del politicamente corretto, che fa del perdono un’emozione da donare a prescindere, che giustifica la violenza vera e il populismo aggressivo e becero ma pretende il perdono nei propri confronti.
Perché il tema del perdono non è più argomento per chierichetti e baciapile. Ma ci tocca in prima persona quando assistiamo alla strage fanatica di inermi turisti, quando leggiamo di branchi, di uomini come lupi, che stuprano donne, quando assistiamo, attoniti, alle bravate di giovani stravolti dall’alcol e dalle droghe.
Cosa significa, in questi casi, perdonare?
Non è un cedimento? E se l’altro approfitta del perdono? E se insiste?
Fino a quante volte dobbiamo perdonare? Fino a settanta volte?
Sempre
Storicamente, nella Bibbia, il grido orribile di Lamech, figlio di Caino, che minaccia di uccidere settanta volte sette per uno screzio (Gn 4), è attenuato dalla legge del taglione che pone almeno un freno alla rabbia, introducendo un criterio di proporzionalità nella vendetta: occhio per occhio, dente per dente. Nel Pentateuco già troviamo qualche accenno alla misericordia, sempre però limitata ai fratelli di fede.
Al tempo di Gesù i rabbini suggerivano di perdonare fino a tre volte un torto subito, per manifestare clemenza. Pietro, nel vangelo di oggi, vuole esagerare, proponendo di perdonare fino a sette volte.
Tenero.
Sette volte. Come se il vostro amico che avete appena perdonato per avere sparlato male di voi, tornasse dopo dieci minuti e vi dicesse di avere nuovamente sparlato di voi. Lo perdonate?
E Gesù rilancia: settanta volte sette, cioè sempre.
Perché?
Da giudice ad imputato
Perché noi per primi siamo perdonati e con una tale larghezza e generosità che non possiamo che perdonare.
Il piccolo credito che abbiamo verso i fratelli non è nulla rispetto al debito mostruoso che abbiamo contratto verso Dio.
E che egli ha cancellato.
Il debito del servo è volutamente assurdo: un talento equivale a trentasei chili d’oro. Diecimila talenti è una cifra inimmaginabile. Il Prodotto Interno Lordo di una nazione come l’Italia. Mai e poi mai sarebbe stato saldato. Eppure quel debito viene condonato, non il debito dell’altro servo che, pur dovendo una cifra consistente al collega, circa duecento giornate lavorative, non ha di che pagare.
La reazione del padrone è feroce: sei chiamato a perdonare perché ti è stato condonato molto di più.
Ecco la ragione del perdono cristiano: perdono chi mi ha offeso perché io per primo sono un perdonato.
Non perdono perché l’altro migliori, o si converta, o si intenerisca.
A volte l’altro non sa nemmeno di essere stato perdonato e può disprezzare il mio gesto.
Non perdono perché l’altro cambi, ma perché io ho urgente bisogno di cambiare!
Il perdono mi situa in una posizione nuova, diversa, mi rende simile a quel Dio che fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti.
Consigli
Non perdoniamo perché siamo migliori e il perdono non è un’amnesia.
Dire perdono ma non dimentico fa sorridere. Perdono perché scelgo di perdonare, perché voglio perdonare. Vederti mi riapre le ferite, sto male come un cane, ma ho scelto la strada della libertà.
Per molte persone che hanno avuto la vita rovinata dalla superficialità e dalla cattiveria altrui è già un grosso risultato non augurare la morte, ma la conversione di chi mi ha ferito.
Ti perdono e prego che tu ti penta del male che mi hai fatto.
Non aspettiamo mai il perdono perfetto, quello angelico, straordinario.
Perdoniamo come riusciamo, al meglio delle nostre capacità e delle nostre forze.
Perdoniamo perché siamo perdonati, perché il perdono ci rende straordinariamente liberi.
E se l’altro considera il perdono come debolezza? È un rischio da correre, è un rischio che Gesù ha corso, perdonando i suoi assassini dalla croce. E, pure, io credo, noi crediamo, che quel paradosso smuove i cuori. Non tutti, forse, ma li smuove.
Figli del perdono
Quanto è adulto e virile il perdono!
Quanto è forte e deciso!
Quanto è eroico e umano!
Abbiamo bisogno di donare e ricevere il perdono, di vivere da figli della riconciliazione.
Di accettare il perdono degli altri, senza rivendicazioni e ripicche.
Di chiedere perdono, ammettendo il nostro limite.
Le famiglie, le società, la Chiesa cambierebbero volto se vivessimo meglio il perdono!
Come ha intuito il grande Giovanni Paolo, riprendendo e ampliando Isaia: non c’è pace senza giustizia.
Ma non c’è giustizia senza perdono.
Prendere consapevolezza del peccato, fabbricare peccatori, è il primo passo per capire la logica del perdono che siamo chiamati a donare, sempre, per assomigliare al Padre.
Fonte:http://www.tiraccontolaparola.it/
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