ROBERTO BRUNELLI, "Niente etichette: cambiare si può"
Niente etichette: cambiare si può
mons. Roberto Brunelli
XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (01/10/2017)
Visualizza Mt 21,28-32
Il brano evangelico di domenica scorsa parlava di operai chiamati a lavorare in una vigna, e una
vigna torna in quello di oggi (Matteo 21,28-32) come ambiente di un breve racconto di carattere familiare. Un uomo dice al primo dei suoi due figli di andarci a lavorare; quello risponde di non averne voglia, ma poi si pente e ci va. Il padre lo dice al secondo, il quale subito risponde di sì, ma poi non ci va.
Prima di ogni altra considerazione, ì due contraddittori fratelli richiamano alla mente un altro Figlio, mandato dal Padre suo a "lavorare" nella sua proprietà: un Figlio subito obbediente senza defezioni, anche se obbedire ha comportato l'essere inchiodato in croce. Gesù non si limita a insegnare: lui per primo dà l'esempio, e sull'argomento di oggi egli è lo specchio e il modello del perfetto sì al Padre suo. Ma il Padre suo è anche il Padre nostro: dunque Gesù è il sommo esempio dell'obbedienza che tutti gli uomini devono a Dio.
Tornando alla parabola dei due fratelli, com'è illuminante, questo semplice racconto! Gesù lo presenta "ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo", cioè a quanti allora guidavano la nazione ebraica e si atteggiavano a modelli della vita di fede. Egli intende smascherare la loro ipocrisia, mentre dimostra di apprezzare quanti, pur avendo condotto una vita disordinata, sono capaci di una sincera conversione. Per questo conclude con un'affermazione a prima vista sconcertante, per di più introdotta da una formula solenne, quasi un giuramento: "In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio".
E' accaduto più volte che a quest'ultima affermazione si siano aggrappati viziosi e disonesti per giustificarsi, sostenendo che Dio preferisce loro "ai bigotti e ai baciapile", come si è espresso un romanziere notoriamente libertino; Gesù starebbe dalla loro parte, e darebbe a loro, quanto meno anche a loro, un posto in paradiso. Ma non occorre spendere molte parole per dimostrare la malafede di simili discorsi; se certa gente classificata "per bene" è rappresentata dal secondo figlio della parabola, quelli impersonati dal primo figlio sono giustificati non in quanto ribelli alla volontà del padre, bensì in quanto si ravvedono e la mettono in pratica, cambiando l'impostazione della loro vita.
Piuttosto, il raccontino di Gesù suona come un triplice invito. Il primo è quello alla coerenza: i due fratelli dicono una cosa e poi ne fanno un'altra. Applicando all'oggi: non basta dichiararsi cristiani, compiere le pratiche esteriori della fede, obbedire a parole: occorrono i fatti, anche quelli destinati a restare nascosti; occorre che all'atteggiamento esteriore corrisponda un'intima sincera adesione.
Il secondo è l'invito a non giudicare: i due fratelli sembrano in un modo, e invece sono in un altro. Applicando all'oggi: non bisogna dimenticare che di chi ci sta intorno si vedono appena gli atti esteriori; solo Dio scruta le menti e i cuori; solo Dio conosce i condizionamenti e le difficoltà dei percorsi personali per arrivare a Lui; solo Dio può valutare se e quanta fede alberga nel cuore dei singoli.
Il terzo invito trova eco nella prima lettura (Ezechiele 18,25-28): "Se il malvagio ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse, egli certo vivrà". Quante volte si classificano gli uomini entro categorie immutabili, per cui ad esempio chi è stato in prigione resta sempre un delinquente, i politici sono tutti disonesti, i padroni sono tutti sfruttatori, bisogna diffidare di chi una volta ha mentito o tradito o imbrogliato, e via banalizzando. In realtà sono false le etichette che si pretende di applicare agli uomini: ogni persona dispone di insospettabili risorse, e per grazia di Dio tutti possono cambiare in meglio. Gesù ci credeva, come dimostra il suo atteggiamento verso il pubblicano Zaccheo, verso l'adultera colta in flagrante, verso il ladrone crocifisso accanto a lui.
Fonte:http://www.qumran2.net
mons. Roberto Brunelli
XXVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (01/10/2017)
Visualizza Mt 21,28-32
Il brano evangelico di domenica scorsa parlava di operai chiamati a lavorare in una vigna, e una
vigna torna in quello di oggi (Matteo 21,28-32) come ambiente di un breve racconto di carattere familiare. Un uomo dice al primo dei suoi due figli di andarci a lavorare; quello risponde di non averne voglia, ma poi si pente e ci va. Il padre lo dice al secondo, il quale subito risponde di sì, ma poi non ci va.
Prima di ogni altra considerazione, ì due contraddittori fratelli richiamano alla mente un altro Figlio, mandato dal Padre suo a "lavorare" nella sua proprietà: un Figlio subito obbediente senza defezioni, anche se obbedire ha comportato l'essere inchiodato in croce. Gesù non si limita a insegnare: lui per primo dà l'esempio, e sull'argomento di oggi egli è lo specchio e il modello del perfetto sì al Padre suo. Ma il Padre suo è anche il Padre nostro: dunque Gesù è il sommo esempio dell'obbedienza che tutti gli uomini devono a Dio.
Tornando alla parabola dei due fratelli, com'è illuminante, questo semplice racconto! Gesù lo presenta "ai principi dei sacerdoti e agli anziani del popolo", cioè a quanti allora guidavano la nazione ebraica e si atteggiavano a modelli della vita di fede. Egli intende smascherare la loro ipocrisia, mentre dimostra di apprezzare quanti, pur avendo condotto una vita disordinata, sono capaci di una sincera conversione. Per questo conclude con un'affermazione a prima vista sconcertante, per di più introdotta da una formula solenne, quasi un giuramento: "In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio".
E' accaduto più volte che a quest'ultima affermazione si siano aggrappati viziosi e disonesti per giustificarsi, sostenendo che Dio preferisce loro "ai bigotti e ai baciapile", come si è espresso un romanziere notoriamente libertino; Gesù starebbe dalla loro parte, e darebbe a loro, quanto meno anche a loro, un posto in paradiso. Ma non occorre spendere molte parole per dimostrare la malafede di simili discorsi; se certa gente classificata "per bene" è rappresentata dal secondo figlio della parabola, quelli impersonati dal primo figlio sono giustificati non in quanto ribelli alla volontà del padre, bensì in quanto si ravvedono e la mettono in pratica, cambiando l'impostazione della loro vita.
Piuttosto, il raccontino di Gesù suona come un triplice invito. Il primo è quello alla coerenza: i due fratelli dicono una cosa e poi ne fanno un'altra. Applicando all'oggi: non basta dichiararsi cristiani, compiere le pratiche esteriori della fede, obbedire a parole: occorrono i fatti, anche quelli destinati a restare nascosti; occorre che all'atteggiamento esteriore corrisponda un'intima sincera adesione.
Il secondo è l'invito a non giudicare: i due fratelli sembrano in un modo, e invece sono in un altro. Applicando all'oggi: non bisogna dimenticare che di chi ci sta intorno si vedono appena gli atti esteriori; solo Dio scruta le menti e i cuori; solo Dio conosce i condizionamenti e le difficoltà dei percorsi personali per arrivare a Lui; solo Dio può valutare se e quanta fede alberga nel cuore dei singoli.
Il terzo invito trova eco nella prima lettura (Ezechiele 18,25-28): "Se il malvagio ha riflettuto, si è allontanato da tutte le colpe commesse, egli certo vivrà". Quante volte si classificano gli uomini entro categorie immutabili, per cui ad esempio chi è stato in prigione resta sempre un delinquente, i politici sono tutti disonesti, i padroni sono tutti sfruttatori, bisogna diffidare di chi una volta ha mentito o tradito o imbrogliato, e via banalizzando. In realtà sono false le etichette che si pretende di applicare agli uomini: ogni persona dispone di insospettabili risorse, e per grazia di Dio tutti possono cambiare in meglio. Gesù ci credeva, come dimostra il suo atteggiamento verso il pubblicano Zaccheo, verso l'adultera colta in flagrante, verso il ladrone crocifisso accanto a lui.
Fonte:http://www.qumran2.net
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