Umberto DE VANNA sdb, "Rompere la catena con il perdono"

17 settembre 2017 | 24a Domenica T. Ordinario - A | Omelia
Per cominciare
La liturgia oggi ci invita a perdonare, così come Dio perdona noi. Esaminiamoci sin dall'inizio di questa celebrazione. Se nel nostro cuore c'è un forte risentimento verso qualcuno, decidiamo sin d'ora di riconciliarci, affinché la nostra preghiera possa raggiungere Dio.

La parola di Dio
Siracide 27,30-28,7. Il sapiente Ben Sirac, vissuto nel secondo secolo a.C. scopre il legame che c'è tra la nostra richiesta di perdono che chiediamo a Dio nella preghiera e l'esigenza della riconciliazione con coloro verso i quali portiamo rancore.
Romani 14,7-9. Con questa domenica finiamo la lettura continua della lettera ai Romani. Noi apparteniamo a Cristo sempre, dice Paolo, nella vita e nella morte. Tra le cose che ci assimilano di più a Gesù c'è certamente la capacità di perdonare.
Matteo 18,21-35. Gesù ci presenta una parabola paradossale per invitarci a perdonare. Ma anche per dire che il perdono che noi concediamo ai nostri fratelli è infinitamente più piccolo di quello che Dio concede a noi.

Riflettere

L'evangelista Matteo parla alla prima comunità cristiana e nelle ultime domeniche la liturgia ci ha presentato due caratteristiche importanti nella vita dei cristiani: il portare la croce (domenica 22ª) e la correzione fraterna (23ª).
Oggi il vangelo di Matteo ci parla di perdono. Di fatto, poche cose rivelano veramente il cristiano come il perdonare. Infatti chi sa perdonare e dimentica i torti subìti, è grande della stessa grandezza di Dio.
L'uomo di tutti i tempi ha apprezzato questa nobiltà d'animo, anche se presso molti popoli la vendetta era una pratica comune, quasi doverosa.
Quanto al popolo ebraico, nella sua legislazione non solo poneva un limite alla vendetta, ma vietava l'odio e il rancore verso il fratello.
Nei cinque versetti precedenti al nostro brano (Mt 18,15-20), Gesù parla di come regolarsi verso coloro che nella comunità hanno sbagliato. L'invito alla "correzione fraterna" dà l'opportunità a Pietro di porre la domanda: "Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli?". E volendosi sbilanciare nella sua generosità, precisa: "Fino a sette volte?". Presso gli ebrei l'invito che veniva fatto era di perdonare tre volte. Pietro fa il grande e si spinge molto oltre.
D'altra parte sul piano umano, uno che nei nostri confronti si è comportato molto male per tantissime volte (sette), come potrebbe essere perdonato? Chi ci ha offeso quasi sistematicamente finora, lo farà ancora.
Così pensa probabilmente Gesù, che si pone su un piano diverso e invita a perdonare "sempre", raccontando la parabola del re che condona al servo un debito enorme.
Si tratta sicuramente di una parabola paradossale, ma che rende bene l'idea.
Dio, nella sua generosità, ci perdona oltre ogni misura. Ricordiamo che diecimila talenti rappresentavano un valore enorme. Tanto per capirci, il reddito annuale di Erode il Grande, re della Giudea, poteva essere di 900 talenti. E per la gente comune corrispondeva a vent'anni di lavoro.
Questo ci ricorda che Dio non si nega mai al perdono, nemmeno quando ciò che deve perdonare è un peccato enorme.
Invece il servo che è stato appena perdonato, come dice la parabola, dimostra di non aver capito nulla della grandezza d'animo del re, e non perdona chi aveva verso di lui un debito non piccolissimo, ma di gran lunga inferiore (cento denari potevano corrispondere più o meno a cento giornate lavorative).

Attualizzare

In ogni tempo, in ogni civiltà, c'è sempre stato un grande bisogno di riconciliazione. Oggi basta guardare un telegiornale o aprire un quotidiano per rendersene conto. Anche nel nostro piccolo, alzi la mano chi non ha mai avuto qualcosa da perdonare o da farsi perdonare.
Gesù ci invita a un perdono illimitato, gioioso, generoso. Ci invita a perdonare subito. Un rancore coltivato, si trasforma in rabbia, richiama magari odio e vendetta, crea solchi spessi tra noi e chi ci ha offeso.
Perdoniamo, perché Dio ha perdonato a noi tanto e tante volte. Perdoniamo per non portarci nel cuore dei pesi inutili e ingombranti. La vita è ricca di compiti e di doveri e dobbiamo conservare o ricuperare al più presto le forze nostre e degli altri.
Perdoniamo, perché un giorno dovremo morire e di fronte alla morte anche la mancanza più grave appare piccola cosa.
Mons. Antonio Riboldi racconta che un giorno si trovò presso il letto di un mafioso che era stato colpito da un suo nemico e stava morendo. Inveiva contro di lui. Mons. Riboldi, data la gravità della situazione, lo invitò con coraggio al perdono. Il mafioso disse: "Se muoio lo perdono, ma se non muoio lo ammazzo!".
Così siamo noi. Il perdono sarà sempre qualcosa di difficile, soprattutto se ci faremo guidare dal nostro orgoglio ferito, e non da sentimenti superiori, riflettendo sulla pietà e misericordia che Dio ha da sempre ha avuto nei nostri confronti.
Si tratta di imparare la misericordia e ricordare la fragilità umana, che vede il bene, ma sceglie il male. Chi ci offende gravemente è spesso più una persona piena di problemi, che una persona cattiva. In molti casi è verissimo che "la miglior vendetta è il perdono", perché dal perdono possono essere ricreati rapporti incredibilmente nuovi e nascere rapporti di amicizia.
Ma la spinta più forte a perdonare viene soprattutto dalla parola e dall'esempio di Gesù: "Non si perdona perché l'altro cambi", dice Frère Roger di Taizé. "Sarebbe un calcolo che non ha nulla a che vedere con la gratuità dell'amore del vangelo. È per Cristo che si perdona".
Certo il primo impegno di ognuno dovrebbe essere quello di fare in modo da non doverci fare perdonare nulla dagli altri. La vita è già abbondantemente generosa di croci e non è il caso che noi ne gettiamo qualcuna addosso ad altri con le nostre crudeltà nel parlare e nell'operare. Pensiamo alla sofferenza che procuriamo, evitiamo di dividerci per questioni banali, spesso per motivi ereditari, vedendo sempre delle ingiustizie perpetrate nei nostri confronti.
Il dovere del perdono non ci esime tuttavia dall'accettare con coraggio e determinazione le lotte della vita, i doverosi contrarsi per far riconoscere il giusto diritto nostro o degli altri. Nessun cristiano può arrendersi di fronte al bene da fare o a un male da sradicare soltanto perché qualcuno potrebbe offendersi, avercela a male, rompere con noi.
Permettiamo però agli altri di essere se stessi. Lasciamo agli altri il diritto di esistere e di respirare, di essere diversi da noi. Verso qualcuno siamo di una intolleranza senza limiti: tutto ciò che fanno ci urta e ci dà fastidio. "Quando il mondo ci urta, non è il mondo, ma siamo noi che dobbiamo cambiare" (Alberto Bevilacqua). Lasciamo agli altri quei comportamenti che a noi appaiono difettosi, e in realtà sono solo un modo diverso di vedere le cose. Accettiamo anche il livello di maturazione a cui può essere arrivato chi ci sta vicino, facendo qualcosa, se ci pare doveroso e utile, per aiutarlo a riflettere e a crescere.
Oggi è quasi normale, dopo un gravissimo danno subito, sentirsi chiedere dal cronista di turno: "È disposto a perdonare?". È una domanda di cattivo gusto. Perché il perdono porta sempre con sé una buona dose di fatica e quando la riconciliazione vuole essere seria, non la si può né ricevere, né dare a cuor leggero. Qualcosa deve cambiare da una parte e dall'altra. Soprattutto sarà possibile quando avremo capito, come dice Paolo, che è solo il Signore in grado di giudicare fino in fondo la responsabilità delle persone di fronte a certi comportamenti.
Infine perdoniamo di cuore e nei fatti. Non sarà sempre facile e possibile (perché a volte è l'altro che proprio non accetta la riconciliazione), ma non ci si può limitare a un perdono che doniamo a patto che quel fratello non ci giri più intorno. Purché non sia costretto a porgergli la mano e a fargli capire con il mio modo di fare che siamo ancora fratelli.
Il "segno della pace" che a ogni messa ci scambiamo, è un piccolo gesto simbolico. A chi porgiamo il nostro semplice gesto di fraternità probabilmente non dobbiamo perdonare nulla, ma esprima il nostro più vivo desiderio di riconciliazione verso tutti, la nostra piena disponibilità al perdono.
Paolo agli Efesini scrive: "Adiratevi, ma non peccate; non tramonti il sole sopra la vostra ira" (4,26). È un'espressione che si applica bene soprattutto nella famiglia, nel rapporto di coppia. Che la giornata si concluda sempre dandosi il perdono reciproco, sapendo che anche i più piccoli screzi e le divergenze inevitabili possono con il tempo creare pesanti divisioni difficili da superare. Alcuni di questi pensieri sono espressi così bene in questa brano poetico di Ignazio Amico:

Potersi dire: ho sbagliato
Parliamo,
non chiudiamoci nel silenzio,
mano nella mano, senza abbassare il capo,
ma guardandoci negli occhi con coraggio,
ammettiamo i nostri errori;
non importa se sono più gravi i miei o i tuoi,
sapere chi ha sbagliato per prima non consola,
ma è urgente liberarci da ogni astio,
senza né vinti né vincitori,
ritrovar la fiducia l'un nell'altro,
e lasciar che dal cuore una risata
esploda sulla nostra stupidità,
che per un attimo ci ha fatto scordare
che niente al mondo è più bello dell'amore.
Rompere la catena con il perdono

"Nulla vi è di più tenace del ricordo delle umiliazioni e delle ferite del passato. Esso riesce a tenere vivo il sospetto, anche da una generazione all'altra. Il perdono del vangelo è ciò che ci permette di andare al di là del ricordo. Saremo fra quelli che raccolgono le loro energie per sbarrare il passo alle antiche o nuove forme di diffidenza?" (frère Roger Schultz).

 Umberto DE VANNA sdb
Fonte:http://www.donbosco-torino.it

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