don Giacomo Falco Brini "Rivestitevi del Signore Gesù Cristo"
Rivestitevi del Signore Gesù Cristo
don Giacomo Falco Brini
XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (15/10/2017)
Visualizza Mt 22,1-14
Un re, non una persona qualunque, invita alle nozze del proprio figlio. I suoi servi eseguono l'ordine,
ma gli invitati non vollero venire (Mt 22,2). Cosa può indurli a rifiutarsi di andare a quella festa? L'antipatia del re o di suo figlio? Una temuta noia per la possibile lungaggine delle celebrazioni? Il fatto che l'accettazione dell'invito possa comportare delle spese? Il primo rifiuto non fa desistere il re. E questo già desta la nostra attenzione. Quasi fosse preoccupato di qualche fraintendimento, egli manda altri servi con lo stesso invito e una importante precisazione: “guardate che è già tutto pronto, al pranzo ho provveduto e non vi chiedo nient'altro che venire alla festa di nozze” (Mt 22,4). Ma nemmeno questa precisazione piena di gratuità contenuta nel nuovo invito li fa ritornare sui propri passi. Anzi, alcuni di essi insultano oppure accoppano i servi inviati. Visto il comportamento di questi invitati, verrebbe da dire che questa festa di nozze ha qualcosa che non va, oppure che qualcosa non va nel re che invita. O sono forse questi primi invitati il problema?
Il re indignato (Mt 22,7) ci toglie ogni dubbio in proposito: sono gli invitati che non sono degni (Mt 22,8). Ma cos'è che li rende tali? In che cosa consiste la loro indegnità? Nel fatto che si sentono sicuri di poter fare a meno, per essere felici, di non andare a quella festa. Si sentono ricchi e sicuri nei loro affari o nelle loro proprietà (Mt 22,5), ma non si accorgono di essere nudi, ciechi e sordi all'invito del Signore! Il vangelo è sempre un pungolo salutare! Le parabole, se le accettiamo, sono come uno specchio che mostra ciò che avviene in chi legge. Da questo punto di vista sono sempre particolarmente efficaci, perché parlando d'altro spiazzano il lettore che, all'inizio, ascolta senza tante difese, come si trattasse di cose che riguardano gli altri, per poi capire, alla fine, che parlano di lui. La parabola di oggi è un logico sviluppo di quella dei vignaioli omicidi di domenica scorsa. Quello che ha fatto Israele infatti, lo fa oggi pure la Chiesa. Far parte del popolo di Dio (per noi in quanto battezzati) non era, non è e non sarà mai garanzia di salvezza. I cristiani sono oggi coloro che partecipano alle nozze del Figlio, ma come vi partecipano? Non basta partecipare, ovvero dire “sì” a Lui oppure dire “Signore, Signore” (cfr. Mt 7,21). La salvezza viene dal riconoscere che siamo uguali ai nostri padri ebrei! Se riconosciamo di essere come quel fratello che dice di sì e poi non fa, possiamo diventare come l'altro figlio che sa di dire no per poi pentirsi (cfr. Mt 21,28-32): ed è questo che salva e introduce alla comprensione della 2a parte della parabola.
Andate ora ai crocicchi delle strade (Mt 22,9), dice il re nuovamente ai suoi servi perché continuino a invitare alla festa di nozze tutti quelli che incontrano sul proprio cammino. E chiamano proprio tutti, buoni e cattivi, fino a quando la sala nuziale è piena (Mt 22,10). Gli antichi padri della chiesa hanno visto in questi tre inviti del re le tre epoche dell'annuncio del regno di Dio. La prima, con l'incarnazione e l'inaugurazione delle nozze del Figlio di Dio, invera il primo rifiuto di Israele che prolunga, nel non riconoscimento del Messia, la storia dei rifiuti del popolo ebreo dall'esodo in poi. La seconda, con l'avvento della chiesa nascente segnata dal secondo rifiuto di Israele all'annuncio kerigmatico, unito alla persecuzione degli apostoli. Questo secondo rifiuto diventa occasione perché l'annuncio del regno si estenda nell'invito alla fede rivolto a tutte le genti: è il terzo invito del re. In tal senso, la sala nuziale imbandita e piena di commensali è la terza e ultima epoca, quella della chiesa attuale in cui convivono, come dappertutto, buoni e cattivi. Però il messaggio fondamentale, quello che deve penetrare nel cuore del lettore, si trova contenuto nei versetti finali. Il re che gioisce nel vedere la propria casa piena perché vuole che tutti siano salvi, passa ad osservare i commensali e nota che tra essi ce n'è uno che non ha la veste nuziale. Allora, pur chiamandolo amico, con la sola sua domanda ammutolisce il suo interlocutore (Mt 22,12) e ordina ai suoi servi di legarlo e gettarlo nelle tenebre (Mt 22,13).
Cos'è questa veste nuziale senza della quale non si può stare alla presenza del Signore? E perché la mancanza di questa veste ci relega nelle tenebre? E' indubbio che quando si va a una festa di nozze ci si veste bene; è una esperienza umana così comune che se davvero qualcuno si presentasse vestito male penso che subito attirerebbe gli sguardi (e i commenti...) degli altri invitati. Allora la veste nuziale non può che essere metafora di una realtà spirituale, senza della quale, si viene a essere tagliati fuori dalla comunione con Dio e con i fratelli che già l'indossano. La veste è un simbolo/tema densissimo nella Bibbia. Pensate alle tuniche di pelle con cui Dio riveste Adamo ed Eva dopo il peccato (Gn 3,21), alle veste dalle lunghe maniche del patriarca Giuseppe (Gn 37,3) fino alla visione giovannea della Gerusalemme celeste in cui si sottolineano le vesti candide dei salvati (Ap 7,9-14). Potremmo stare una giornata intera a passeggiare nelle Scritture. Vorrei soffermarmi solo evocando una veste, quella che una celebre pagina del vangelo chiama come la più bella (Lc 15,22): è una veste che il padre ordina ai servi di far indossare al figlio minore tornato a casa, quale segno di amore accogliente, per far cominciare una grande festa, anche qui con tanto di banchetto. Dunque la veste nuziale è, prima di tutto, metafora della vita nuova che Dio ci dona misericordiosamente e gratuitamente per il solo fatto di riconoscerci peccatori. E' il dono di Dio che ci fa vivere da figli suoi. Ma, nello stesso tempo, è una veste che non si indossa una volta per tutte. Il vangelo di oggi mette in guardia il credente perché non giunga alla fine della vita svestito, scoprendo la propria nudità quando non c'è più tempo per indossare la veste nuziale. Non ci si può permettere di rimandare l'accettazione dell'invito al banchetto, né ci si può permettere di giocare con l'invito stesso, andando al banchetto senza chiedersi se ci si sta lasciando vestire da Dio. E si lascia vestire da Dio solo chi scopre (e si convince!) ogni giorno di essere peccatore. Chi si sente perdonato e decide di far vivere di perdono se stesso e gli altri. Soltanto chi si riconosce sterile comincia a far frutto, chi si riconosce di aver crocifisso il Figlio diventa suo erede, chi si scopre nudo viene rivestito, perché conosce l'amore con cui è amato! Perciò soltanto al termine di un lungo cammino un uomo di nome Agostino crollò davanti a un albero all'udire quella parola che guarì la sua sordità e gli fece cambiare vita: rivestitevi del Signore Gesù Cristo (Rm 13,14).
Fonte:www.qumran2.net
don Giacomo Falco Brini
XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (15/10/2017)
Visualizza Mt 22,1-14
Un re, non una persona qualunque, invita alle nozze del proprio figlio. I suoi servi eseguono l'ordine,
ma gli invitati non vollero venire (Mt 22,2). Cosa può indurli a rifiutarsi di andare a quella festa? L'antipatia del re o di suo figlio? Una temuta noia per la possibile lungaggine delle celebrazioni? Il fatto che l'accettazione dell'invito possa comportare delle spese? Il primo rifiuto non fa desistere il re. E questo già desta la nostra attenzione. Quasi fosse preoccupato di qualche fraintendimento, egli manda altri servi con lo stesso invito e una importante precisazione: “guardate che è già tutto pronto, al pranzo ho provveduto e non vi chiedo nient'altro che venire alla festa di nozze” (Mt 22,4). Ma nemmeno questa precisazione piena di gratuità contenuta nel nuovo invito li fa ritornare sui propri passi. Anzi, alcuni di essi insultano oppure accoppano i servi inviati. Visto il comportamento di questi invitati, verrebbe da dire che questa festa di nozze ha qualcosa che non va, oppure che qualcosa non va nel re che invita. O sono forse questi primi invitati il problema?
Il re indignato (Mt 22,7) ci toglie ogni dubbio in proposito: sono gli invitati che non sono degni (Mt 22,8). Ma cos'è che li rende tali? In che cosa consiste la loro indegnità? Nel fatto che si sentono sicuri di poter fare a meno, per essere felici, di non andare a quella festa. Si sentono ricchi e sicuri nei loro affari o nelle loro proprietà (Mt 22,5), ma non si accorgono di essere nudi, ciechi e sordi all'invito del Signore! Il vangelo è sempre un pungolo salutare! Le parabole, se le accettiamo, sono come uno specchio che mostra ciò che avviene in chi legge. Da questo punto di vista sono sempre particolarmente efficaci, perché parlando d'altro spiazzano il lettore che, all'inizio, ascolta senza tante difese, come si trattasse di cose che riguardano gli altri, per poi capire, alla fine, che parlano di lui. La parabola di oggi è un logico sviluppo di quella dei vignaioli omicidi di domenica scorsa. Quello che ha fatto Israele infatti, lo fa oggi pure la Chiesa. Far parte del popolo di Dio (per noi in quanto battezzati) non era, non è e non sarà mai garanzia di salvezza. I cristiani sono oggi coloro che partecipano alle nozze del Figlio, ma come vi partecipano? Non basta partecipare, ovvero dire “sì” a Lui oppure dire “Signore, Signore” (cfr. Mt 7,21). La salvezza viene dal riconoscere che siamo uguali ai nostri padri ebrei! Se riconosciamo di essere come quel fratello che dice di sì e poi non fa, possiamo diventare come l'altro figlio che sa di dire no per poi pentirsi (cfr. Mt 21,28-32): ed è questo che salva e introduce alla comprensione della 2a parte della parabola.
Andate ora ai crocicchi delle strade (Mt 22,9), dice il re nuovamente ai suoi servi perché continuino a invitare alla festa di nozze tutti quelli che incontrano sul proprio cammino. E chiamano proprio tutti, buoni e cattivi, fino a quando la sala nuziale è piena (Mt 22,10). Gli antichi padri della chiesa hanno visto in questi tre inviti del re le tre epoche dell'annuncio del regno di Dio. La prima, con l'incarnazione e l'inaugurazione delle nozze del Figlio di Dio, invera il primo rifiuto di Israele che prolunga, nel non riconoscimento del Messia, la storia dei rifiuti del popolo ebreo dall'esodo in poi. La seconda, con l'avvento della chiesa nascente segnata dal secondo rifiuto di Israele all'annuncio kerigmatico, unito alla persecuzione degli apostoli. Questo secondo rifiuto diventa occasione perché l'annuncio del regno si estenda nell'invito alla fede rivolto a tutte le genti: è il terzo invito del re. In tal senso, la sala nuziale imbandita e piena di commensali è la terza e ultima epoca, quella della chiesa attuale in cui convivono, come dappertutto, buoni e cattivi. Però il messaggio fondamentale, quello che deve penetrare nel cuore del lettore, si trova contenuto nei versetti finali. Il re che gioisce nel vedere la propria casa piena perché vuole che tutti siano salvi, passa ad osservare i commensali e nota che tra essi ce n'è uno che non ha la veste nuziale. Allora, pur chiamandolo amico, con la sola sua domanda ammutolisce il suo interlocutore (Mt 22,12) e ordina ai suoi servi di legarlo e gettarlo nelle tenebre (Mt 22,13).
Cos'è questa veste nuziale senza della quale non si può stare alla presenza del Signore? E perché la mancanza di questa veste ci relega nelle tenebre? E' indubbio che quando si va a una festa di nozze ci si veste bene; è una esperienza umana così comune che se davvero qualcuno si presentasse vestito male penso che subito attirerebbe gli sguardi (e i commenti...) degli altri invitati. Allora la veste nuziale non può che essere metafora di una realtà spirituale, senza della quale, si viene a essere tagliati fuori dalla comunione con Dio e con i fratelli che già l'indossano. La veste è un simbolo/tema densissimo nella Bibbia. Pensate alle tuniche di pelle con cui Dio riveste Adamo ed Eva dopo il peccato (Gn 3,21), alle veste dalle lunghe maniche del patriarca Giuseppe (Gn 37,3) fino alla visione giovannea della Gerusalemme celeste in cui si sottolineano le vesti candide dei salvati (Ap 7,9-14). Potremmo stare una giornata intera a passeggiare nelle Scritture. Vorrei soffermarmi solo evocando una veste, quella che una celebre pagina del vangelo chiama come la più bella (Lc 15,22): è una veste che il padre ordina ai servi di far indossare al figlio minore tornato a casa, quale segno di amore accogliente, per far cominciare una grande festa, anche qui con tanto di banchetto. Dunque la veste nuziale è, prima di tutto, metafora della vita nuova che Dio ci dona misericordiosamente e gratuitamente per il solo fatto di riconoscerci peccatori. E' il dono di Dio che ci fa vivere da figli suoi. Ma, nello stesso tempo, è una veste che non si indossa una volta per tutte. Il vangelo di oggi mette in guardia il credente perché non giunga alla fine della vita svestito, scoprendo la propria nudità quando non c'è più tempo per indossare la veste nuziale. Non ci si può permettere di rimandare l'accettazione dell'invito al banchetto, né ci si può permettere di giocare con l'invito stesso, andando al banchetto senza chiedersi se ci si sta lasciando vestire da Dio. E si lascia vestire da Dio solo chi scopre (e si convince!) ogni giorno di essere peccatore. Chi si sente perdonato e decide di far vivere di perdono se stesso e gli altri. Soltanto chi si riconosce sterile comincia a far frutto, chi si riconosce di aver crocifisso il Figlio diventa suo erede, chi si scopre nudo viene rivestito, perché conosce l'amore con cui è amato! Perciò soltanto al termine di un lungo cammino un uomo di nome Agostino crollò davanti a un albero all'udire quella parola che guarì la sua sordità e gli fece cambiare vita: rivestitevi del Signore Gesù Cristo (Rm 13,14).
Fonte:www.qumran2.net
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