don Marco Pedron, "Ti amo quanto mi amo"XXX Domenica T. O.
Ti amo quanto mi amo
don Marco Pedron
XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)
Visualizza Mt 22,34-40
Siamo ancora nel capitolo 22 di Mt. Domenica scorsa abbiamo sentito l'episodio del tributo a Cesare
(Mt 22,15-22). Il vangelo iniziava dicendo: "I farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo" (Mt 22,15). I farisei ci provano ma non ci riescono.
Dopo quel vangelo, in Mt c'è un altro episodio dove i sadducei vanno da Gesù con una questione assurda. Questo vangelo noi lo leggiamo nell'anno C, nella versione di Lc (Lc 20,27-40): "Una donna sposa sette mariti e tutti questi muoiono senza lasciare discendenza". C'era una legge che diceva: "Se qualcuno muore senza figli, il fratello ne sposerà la vedova e così susciterà una discendenza a suo fratello". "Di chi dunque", gli chiedono, "questa donna, alla resurrezione, sarà moglie?" (Mt 22,28). La questione è assurda ma lo scopo non è imparare, capire: lo scopo è un altro. Infatti lo scopo dei sadducei è quello di metterlo in difficoltà, di trovare pretesti per accusarlo e condannarlo. Solo che neppure loro ci riescono.
Dunque: i farisei no, i sadducei no. Cosa fanno adesso? Fanno un ultimo tentativo (il vangelo di oggi). Così per non rischiare un altro insuccesso, i farisei scelgono una persona competente: un dottore della legge. Nel vangelo si dice chiaramente: "Avendo udito che aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme per metterlo alla prova" (Mt 22,34-35). Quindi, per non fare un'altra figuraccia, i farisei scelgono il meglio del meglio: un dottore della legge.
Il verbo "metterlo alla prova" è peirazo e vuol dire tentare: è lo stesso verbo che si usa per satana (Mt 4,1) quando tenta Gesù per tre volte. E' incredibile come nel vangelo l'istituzione religiosa, qui come altrove, sia paragonata al diavolo e continui sempre a tentare e a mettere alla prova Gesù.
E cosa gli chiede il dottore: "Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?" (Mt 22,36).
Intanto osserviamo: lo chiama "maestro" (Mt 22,36). Ma se tu chiami uno maestro è perché vuoi imparare qualcosa da lui (tu sei il suo discepolo). Ma il dottore invece, non solo non vuole apprendere, lo vuole mettere alla prova.
Gesù era ascoltato da molte persone. C'era chi lo ascoltava per imparare: i discepoli (discepolo, in greco da manthano=colui che impara). C'era chi lo ascoltava per trovare motivi di accusa (i religiosi del tempo): qualunque pretesto, quindi, andava bene. Ed è chiaro che se questa è la tua intenzione, ti puoi attaccare a tutto. C'era chi lo ascoltava per trovare conferme alle proprie idee: Pietro vedeva Gesù come il Messia trionfante. Aveva la sua idea in testa e deformava, piegava, le parole di Gesù secondo ciò che lui voleva. C'era chi lo ascoltava per curiosità, chi per fama, chi per interessi personali, come quei dieci lebbrosi (Lc 17,11-19) che volevano solo la guarigione fisica ma non la guarigione del cuore.
Con quale intenzione fai questa cosa? Perché l'intenzione ti dice già il risultato che avrai. Il dottore della legge ha un'intenzione ben chiara: trovare motivi di accusa. La verità non gli interessa.
La domanda non è una semplice curiosità ma una seria questione che inquieta le autorità religiose. Infatti si chiedono: "Ma che cosa pensa Gesù del Decalogo? Qual è l'atteggiamento di Gesù verso la Legge?". Gesù infatti non solo aveva preso le distanze dai comandamenti ma li aveva pure trasgrediti.
Nel vangelo di Mt (5,21, ss) Gesù a più riprese dice: "Avete inteso che fu detto agli antichi... ma io vi dico...". Gesù definisce "vecchi, sorpassati" i comandamenti che tutti consideravano validi (i Dieci Comandamenti che ancora noi a volte riteniamo come modello di esame di coscienza!).
Il dottore quindi si avvicina per controllare la sua ortodossia e per poterlo poi denunciare. Infatti lui la risposta la sa bene: "Qual è il più grande comandamento?". "Ovvio, il sabato!". Il comandamento più grande era il sabato, il comandamento che perfino Dio rispettava (Gen 2,3), visto che neppure lui di sabato lavorava. La trasgressione del sabato equivaleva all'adempimento di tutta la legge e la disobbedienza era punita con la morte. Es 31,14 è chiaro: "Osserverete dunque il sabato, perché lo dovete ritenere santo. Chi lo profanerà sarà messo a morte; chiunque in quel giorno farà qualche lavoro, sarà eliminato dal suo popolo".
Ma che fa Gesù? Se ne frega di questo comandamento. E se deve fare qualcosa di importante, ad esempio guarire un ammalato, lui lo fa', perché per lui l'amore è più importante della legge.
Se Gesù, quindi, avesse risposto ciò che tutti sapevano "il sabato", il dottore della legge gli avrebbe risposto: "Vero, giusto, maestro. E perché tu non lo rispetti, allora?".
Se Gesù, invece, avesse risposto in maniera diversa, sarebbe stato passato come un ignorante e un non conoscitore della legge.
Il dottore della legge si rifà alla Bibbia: lui è un esperto e la conosce. Gesù risponde citandogli sempre la Bibbia (e così si mostra esperto in materia), ma non ciò che lui si aspetta (e così lo sorprende e gli fa vedere che la Bibbia non va presa alla singola lettera).
Infatti Gesù si rifà alla preghiera che gli ebrei recitavano due volte al giorno, il "Credo" degli ebrei (Dt 6,4-9): "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutto il tuo essere e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti" (Mt 22,38). Il dottore non può che essere d'accordo: fin qui, tutto va bene. "Amare Dio", in fin dei conti non è difficile, tanto non si può misurare e nessuno lo può sapere.
Il problema è adesso perché aggiunge: "E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso (Lv 19,18)". Anche questo c'era scritto nella Bibbia. Quindi, a rigor di logica Gesù non fa niente di nuovo. Ma in realtà sì.
Gesù, infatti, lega l'amore di Dio all'amore del prossimo. Cioè:
1. Amare Dio senza amare veramente le persone è nullo, non è amore per Dio.
2. Quello che dite ogni giorno (visto che lo dite), praticatelo (io lo faccio!)!
Ed è chiaro che il dottore si trova spiazzato e sorpreso: "Nessuno era in grado di rispondergli nulla; e nessuno da quel giorno in poi, osò interrogarlo" (Mt 22,46).
Osserviamo però che qui Gesù risponde ad un ebreo. Il dottore si rifà ai suoi comandamenti e Gesù gli dice: "Giusto! Risposta ortodossa. Ma fallo! Praticala!". Perché questa risposta non è ciò che Gesù ha detto ma ciò che la Legge diceva. Quindi Gesù dice: "Già così è buono!".
Ma Gesù non dirà di amare gli altri come se stessi ma come Lui ci ha amati (Gv 13,34). "Ama il prossimo tuo come te stesso è buono ma non è il modello di amore che Gesù ci ha portati". Per tre motivi.
1. Il concetto di prossimo. Per un ebreo prossimo era un altro ebreo (Lv 19,18) o al massimo uno che abitava in Palestina. Quelli fuori o i non ebrei, quindi, non erano affatto considerati prossimi.
2. Il concetto di "come te stesso". Perché se io mi amo poco, ti amerò poco. E se io non mi amo allora neppure ti amo. Se io non ho ricevuto amore allora te ne posso dare. Ma Gesù ci dirà: "Ama il prossimo non come te stesso ma come Dio ti ama, come io vi ho amati". Il modello di amore passa da me a Dio. Ed è diverso! Poiché la maggior parte di noi non si ama e se amassimo il prossimo come ci amiamo, non ameremo nessuno!
3. Per un ebreo l'amore per Dio è radicale ("tutto il tuo cuore, tutta la tua anima e tutta la tua mente", Mt 22,37) mentre quello per l'uomo no. Infatti non si dice di amare gli altri "con tutto il cuore, l'anima e la mente", ma solo come se stessi. Ciò che era fondamentale, per un ebreo, era l'amore per Dio. Quello per il prossimo veniva dopo. Infatti quello per Dio - e Gesù lo sa - viene prima, solo che Gesù dirà che il secondo (quello per il prossimo) è nient'affatto che lo stesso del primo.
Per Gesù amare l'uomo è amare Dio e amare Dio è amare l'uomo. Se ami Dio non si vede da quanto sei pio o religioso ma da quanto amore tu hai per l'uomo. Per Gesù il vero credente non è colui che obbedisce alle regole religiose ma che vive realmente l'amore.
Cosa vuol dire questo vangelo per noi? 1. L'amore è rendere vivo l'altro.
A-more=ciò che non (a) ti fa morire (mos-mortis): e ciò che non ti fa morire ti rende vivo, vitale.
Gesù non chiedeva ai guariti di seguirlo o di offrirgli qualcosa. Lui vedeva che soffrivano, che erano morti o ciechi, li guariva, li rimetteva in contatto con la vita e con la vista. Cioè: Gesù non voleva un ritorno da coloro che guariva (neanche la fama perché chiedeva sempre che non divulgassero la cosa, di non parlarne con nessuno), non aveva un interesse e non esercitava un potere ("Ti ho fatto questo, quindi tu mi devi qualcosa").
Gesù non guariva neanche per convertire. Non diceva: "Ti guarisco ma tu devi credere in Dio; tu devi venire in chiesa; tu devi obbedirmi; tu mi devi...". Lui vedeva uno che soffriva e il suo amore era liberarlo dalla sofferenza, dalla morte o dal suo disagio.
L'amore (di Gesù) è questo: chi ama rende vivo l'altro. Se ti amo voglio il meglio per te. E ciò che è meglio per te non è detto che sia ciò che io vorrei.
Un mio amico preferisce un altro a me: "Se questo è davvero il tuo bene, sia così!".
Mio figlio potrebbe fare il liceo e invece sceglie un istituto tecnico perché ha l'hobby della musica e la musica lo fa vivere: se è così, sia così.
Un catechista: "Quest'anno non faccio catechismo perché sarebbe pesante per me e poi sono scarico e ho bisogno di ritrovare motivazioni". Ci sarebbe bisogno, ma se questa cosa ti fa vivere, sia così.
Un ragazzo: "Vado a vivere a Londra perché qui non ce la faccio più". Se per lui questo è una possibilità di ritrovarsi, di mettersi alla prova, di ricominciare, per amore gli dirò di sì, anche se so che vuol dire perderlo, anche se mi dispiace lasciarlo andare. Se ti fa vivere, sia così!
La vita di un prete è stare in mezzo ai giovani, riesce benissimo. Io vescovo avrei così tanto bisogno in una parrocchia, ma so che lo "ucciderei". Se questo ti fa vivere, sia così!
Un anziano sta in una casa diroccata, sporca e senza riscaldamento. Ci sarebbe un posto per lui in pensionato, ma quella è la "sua vita e quelli sono i suoi animali". A me verrebbe da dire: "Ma di là stai meglio!", ma lui la vive come una prigione.
Un uomo trovò una volpe. Era in fin di vita ferita da dei cacciatori. L'uomo se ne prese cura e dopo vari mesi miracolosamente la volpe guarì. La volpe era molto grata a quell'uomo: erano diventati amici. Anzi la volpe era diventata la migliore amica di quell'uomo. La volpe guardava ogni giorno fuori dalla finestra: era il richiamo del bosco, ma come poteva lasciare quell'uomo che le aveva dato la vita? In fin dei conti non stava male lì, anzi, ma la casa non era la "sua casa". L'uomo vedeva la scena tutti i giorni e notava nella volpe la nostalgia del bosco. D'altra parte era molto affezionato a lei, ed erano molti mesi che vivevano insieme. Ma un giorno si decise: la portò nel bosco e gli disse: "Vai, segui il tuo richiamo!". La volpe lo guardò un'ultima volta e se ne andò. Non la rivide mai più e soffrì molto di questa cosa. Quando raccontò il fatto ad un suo amico, questi gli disse: "Ma perché l'hai fatto?". E lui rispose, semplicemente: "Per amore".
2. Amarmi è volere il mio bene, cioè rendermi vivo.
Amarmi è lottare per ciò che è bene per me. Per noi l'amore è ciò che gli altri ci devono fare: ma il primo amore è ciò che noi facciamo per noi stessi.
Il mio collega mi prende in giro: perché voglio cambiare lui? Perché, invece, non cambio io? Tanto a questo mondo troverò degli altri che mi prenderanno in giro. Perché non imparo a difendermi, a far valere il mio valore? Amarmi è far sì che la mia persona sia rispettata.
Nessuno mi vuole. Perché continuo ad arrabbiarmi con gli altri che non mi invitano e che mi escludono sempre? Amarmi è cambiare il mio carattere e la mia persona: così sarò amabile, accettabile e ricercato.
Ho una paura che mi blocca (paura di provare, di sbagliare, di parlare, di tagliare, di fare una scelta, ecc.). Amarmi è affrontarla perché io merito di vivere senza paura, in tutta la mia pienezza, in tutte le mie possibilità, al meglio e al massimo di me.
In compagnia nessuno mi rivolge la parola. Invece di inveire col mondo che è cattivo e che ce l'ha con me, lavoro su di me. Amarmi è essere presentabile, farmi più magro, più bello; amarmi è avere un carattere meno irascibile e più estroverso; amarmi è essere più aperto, elastico e meno giudicante e pretenzioso; amarmi è diventare un uomo migliore. Non ho mai trovato nessuno che veramente si ami che non sia amato da un sacco di gente.
Non chiedere agli altri ciò che tu non sai fare per te: è parassitismo.
3. Ama il prossimo tuo come te stesso. Spesso noi cristiani abbiamo tradotto: "Ama il prossimo tuo contro te stesso", oppure" ama il prossimo tuo al posto di te stesso". Così amarsi era egoismo, narcisismo, peccato: solo spendersi per gli altri e sacrificarsi era buono e santo. Veniva sempre citata la frase: "Se uno non rinnega se stesso e non prende la sua croce...": e così la vita "doveva" essere sacrificio e solo se si era infelici e pieni di "rogne" Dio ci accettava. Peccato che quella frase voglia dire tutt'altro! Bisognava quindi amare gli altri, sopportare l'impossibile e obbedire a chi non aveva la minima intenzione di fare un passo o un cambiamento. Ma tutto questo non si può chiamare amore.
Ma come si può amare gli altri se non si ama neanche se stessi? Come posso insegnarti a suonare la chitarra se neppure io lo so fare? Come posso darti soldi se non ne ho neppure io? Non si può dare ciò che non si ha.
Oggi sappiamo cose che ieri, una volta non sapevamo. Ama il prossimo tuo come te stesso più che un invito definisce una realtà: l'altro lo ami come ami te. Lc 6,37-38 è chiarissimo a proposito: "Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi".
Cioè: gli altri li ami esattamente come ti ami. Non si può dare di più di quello che si ha: ti amo esattamente e non di più di come mi amo.
Se io mi giudico, ti giudico. Amo te come amo me. Se il metro con cui mi misuro si chiama "giudizio" ("Questo va bene; questo non va bene; questo si fa così; così non si fa; non dovevi; te l'avevo detto; adesso hai sbagliato; sei sempre il solito; non capisci niente, ecc."), il metro con cui ti misuro (visto che è lo stesso) si chiamerà "giudizio".
Se io pretendo da me, pretenderò anche da te. Se io ho molte aspettative su di me ("Devo esser così; non devo fare quello; devo far sempre contenti gli altri; devo riuscire; non posso fallire, ecc.") di certo avrò molte aspettative su di te. Perché il mio metro è "aspettativa" e va nei due sensi. Credo che gli altri si aspettino molto da me e io mi aspetto molto dagli altri.
Ma vale anche all'inverso. Come amo gli altri amo anche me. Se io sono razzista, di certo odierò (metterò al bando) alcune parti della mia persona (in genere le parti vulnerabili, piccole ed emotive). Se io sono inflessibile con i miei figli, alunni, di certo sarò inflessibile anche con alcuni aspetti miei. Se sono superficiale con gli altri, lo sarò anche verso alcune cose di me che non voglio vedere.
Ama il prossimo tuo come te stesso definisce una semplice verità. E' un'equazione: l'amore per te è proporzionale all'amore per me e viceversa. Ti amo come mi amo; mi amo come ti amo.
4. Amare in pienezza. Il vangelo parla di "amare con tutto il cuore, l'anima e la mente". Altrove si aggiunge "con tutte le forze" (Lc 10,27). L'amore cioè, avviene a tutti i livelli, con tutte le parti di noi, altrimenti non è amore.
Amarmi così. Il collega mi dice qualcosa dietro le spalle e la cosa mi ferisce.
Con tutto il cuore. Sento che merito amore e che non sono degno di essere calpestato.
Con tutta la mente. Non faccio pensieri distruttivi su di me: "Me lo merito; sono il solito incapace; nessuno pensa bene di me; forse ha ragione...".
Con tutte le forze. Agisco in mio favore perché mi amo. Vado da lui e gli chiedo: "Ho sentito che hai detto questo... e questo... è vero? Perché hai detto così?".
Amarti così. Sento un legame d'amore per te.
Con tutto il cuore. Sento dentro di me quanto sei importante nella mia vita e quanto sei benefico (sentimenti buoni).
Con tutta la mente. Penso bene di te e ti stimo, ti rispetto e voglio il tuo meglio (pensieri buoni).
Con tutte le forze. Ti scrivo, ad es.: "E' una fortuna che tu ci sia nella mia vita" (azioni buone).
L'amore mente e forze senza cuore diventa volontarismo e azione, amore freddo e senza passione perché non c'è il sentimento.
L'amore mente e cuore senza forze diventa sentimentalismo perché non c'è azione.
L'amore cuore e forze senza mente, diventa istintivo, irrazionale, perché non c'è il pensiero, non c'è consapevolezza e lucidità.
L'amore pieno comprende mente, cuore e forze.
5. E l'amore di Dio?
Nell'Ultimo Giorno Dio, il gran Capo di tutto, ci chiamerà di fronte a Lui: "Si presenti il Tal dei Tali". E tutti ci presenteremo davanti a Lui. Lui tirerà fuori il suo gran librone dove ci sarà scritto tutto quello che in vita abbiamo fatto e che non abbiamo fatto, ma non lo leggerà affatto.
Poi ci dirà: "Marco... Chiara... Francesco... vuoi vivere per sempre con me?". E se lo vorrò, io risponderò: "Sì". E Lui mi dirà: "E allora vivi per sempre con me!". E sarà una gran festa.
Perché l'amore di Dio è incondizionato: senza condizioni, senza premi, senza meriti. E quando ameremo così, conosceremo il prezzo e la bellezza dell'amore.
Il re amava una ragazza del suo paese, molto povera ma molto molto bella. La ragazza era molto lusingata dal re e dall'incredibile possibilità di diventare la sua regina. Solo che il suo cuore era per il ragazzo suo vicino di casa, di condizione come la sua. Il re la chiamò a palazzo e la trattò come una regina. La donna era lusingata da tanto amore ma il suo volto aveva sempre un velo di tristezza. Qualunque cosa faceva per lei, lei lo accettava ma la tristezza non se ne andava dal suo volto. Il re allora un giorno chiamò il saggio di corte esponendogli la questione. "Sei disposto a tutto, o mio sire, per vederla felice?". "Sì, a tutto!". "Lasciala andare, allora!". Il re non si aspettava questa risposta e ci pensò tutta la notte. La mattina dopo le parlò e lasciò andare... il volto della donna si illuminò. Qualche settimana dopo il re incontrò il saggio e gli disse: "Non ho mai sofferto così tanto, saggio mio, ma non ho mai amato così tanto".
Pensiero della settimana
Non ti posso amare più di quanto mi amo.
Per vedere quanto amore ti posso dare guardo a quanto so amarmi.
E per vedere quanto amore mi puoi dare guardo a quanto ti ami.
Fonte:www.qumran2.net
don Marco Pedron
XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)
Visualizza Mt 22,34-40
Siamo ancora nel capitolo 22 di Mt. Domenica scorsa abbiamo sentito l'episodio del tributo a Cesare
(Mt 22,15-22). Il vangelo iniziava dicendo: "I farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo" (Mt 22,15). I farisei ci provano ma non ci riescono.
Dopo quel vangelo, in Mt c'è un altro episodio dove i sadducei vanno da Gesù con una questione assurda. Questo vangelo noi lo leggiamo nell'anno C, nella versione di Lc (Lc 20,27-40): "Una donna sposa sette mariti e tutti questi muoiono senza lasciare discendenza". C'era una legge che diceva: "Se qualcuno muore senza figli, il fratello ne sposerà la vedova e così susciterà una discendenza a suo fratello". "Di chi dunque", gli chiedono, "questa donna, alla resurrezione, sarà moglie?" (Mt 22,28). La questione è assurda ma lo scopo non è imparare, capire: lo scopo è un altro. Infatti lo scopo dei sadducei è quello di metterlo in difficoltà, di trovare pretesti per accusarlo e condannarlo. Solo che neppure loro ci riescono.
Dunque: i farisei no, i sadducei no. Cosa fanno adesso? Fanno un ultimo tentativo (il vangelo di oggi). Così per non rischiare un altro insuccesso, i farisei scelgono una persona competente: un dottore della legge. Nel vangelo si dice chiaramente: "Avendo udito che aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme per metterlo alla prova" (Mt 22,34-35). Quindi, per non fare un'altra figuraccia, i farisei scelgono il meglio del meglio: un dottore della legge.
Il verbo "metterlo alla prova" è peirazo e vuol dire tentare: è lo stesso verbo che si usa per satana (Mt 4,1) quando tenta Gesù per tre volte. E' incredibile come nel vangelo l'istituzione religiosa, qui come altrove, sia paragonata al diavolo e continui sempre a tentare e a mettere alla prova Gesù.
E cosa gli chiede il dottore: "Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?" (Mt 22,36).
Intanto osserviamo: lo chiama "maestro" (Mt 22,36). Ma se tu chiami uno maestro è perché vuoi imparare qualcosa da lui (tu sei il suo discepolo). Ma il dottore invece, non solo non vuole apprendere, lo vuole mettere alla prova.
Gesù era ascoltato da molte persone. C'era chi lo ascoltava per imparare: i discepoli (discepolo, in greco da manthano=colui che impara). C'era chi lo ascoltava per trovare motivi di accusa (i religiosi del tempo): qualunque pretesto, quindi, andava bene. Ed è chiaro che se questa è la tua intenzione, ti puoi attaccare a tutto. C'era chi lo ascoltava per trovare conferme alle proprie idee: Pietro vedeva Gesù come il Messia trionfante. Aveva la sua idea in testa e deformava, piegava, le parole di Gesù secondo ciò che lui voleva. C'era chi lo ascoltava per curiosità, chi per fama, chi per interessi personali, come quei dieci lebbrosi (Lc 17,11-19) che volevano solo la guarigione fisica ma non la guarigione del cuore.
Con quale intenzione fai questa cosa? Perché l'intenzione ti dice già il risultato che avrai. Il dottore della legge ha un'intenzione ben chiara: trovare motivi di accusa. La verità non gli interessa.
La domanda non è una semplice curiosità ma una seria questione che inquieta le autorità religiose. Infatti si chiedono: "Ma che cosa pensa Gesù del Decalogo? Qual è l'atteggiamento di Gesù verso la Legge?". Gesù infatti non solo aveva preso le distanze dai comandamenti ma li aveva pure trasgrediti.
Nel vangelo di Mt (5,21, ss) Gesù a più riprese dice: "Avete inteso che fu detto agli antichi... ma io vi dico...". Gesù definisce "vecchi, sorpassati" i comandamenti che tutti consideravano validi (i Dieci Comandamenti che ancora noi a volte riteniamo come modello di esame di coscienza!).
Il dottore quindi si avvicina per controllare la sua ortodossia e per poterlo poi denunciare. Infatti lui la risposta la sa bene: "Qual è il più grande comandamento?". "Ovvio, il sabato!". Il comandamento più grande era il sabato, il comandamento che perfino Dio rispettava (Gen 2,3), visto che neppure lui di sabato lavorava. La trasgressione del sabato equivaleva all'adempimento di tutta la legge e la disobbedienza era punita con la morte. Es 31,14 è chiaro: "Osserverete dunque il sabato, perché lo dovete ritenere santo. Chi lo profanerà sarà messo a morte; chiunque in quel giorno farà qualche lavoro, sarà eliminato dal suo popolo".
Ma che fa Gesù? Se ne frega di questo comandamento. E se deve fare qualcosa di importante, ad esempio guarire un ammalato, lui lo fa', perché per lui l'amore è più importante della legge.
Se Gesù, quindi, avesse risposto ciò che tutti sapevano "il sabato", il dottore della legge gli avrebbe risposto: "Vero, giusto, maestro. E perché tu non lo rispetti, allora?".
Se Gesù, invece, avesse risposto in maniera diversa, sarebbe stato passato come un ignorante e un non conoscitore della legge.
Il dottore della legge si rifà alla Bibbia: lui è un esperto e la conosce. Gesù risponde citandogli sempre la Bibbia (e così si mostra esperto in materia), ma non ciò che lui si aspetta (e così lo sorprende e gli fa vedere che la Bibbia non va presa alla singola lettera).
Infatti Gesù si rifà alla preghiera che gli ebrei recitavano due volte al giorno, il "Credo" degli ebrei (Dt 6,4-9): "Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutto il tuo essere e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti" (Mt 22,38). Il dottore non può che essere d'accordo: fin qui, tutto va bene. "Amare Dio", in fin dei conti non è difficile, tanto non si può misurare e nessuno lo può sapere.
Il problema è adesso perché aggiunge: "E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso (Lv 19,18)". Anche questo c'era scritto nella Bibbia. Quindi, a rigor di logica Gesù non fa niente di nuovo. Ma in realtà sì.
Gesù, infatti, lega l'amore di Dio all'amore del prossimo. Cioè:
1. Amare Dio senza amare veramente le persone è nullo, non è amore per Dio.
2. Quello che dite ogni giorno (visto che lo dite), praticatelo (io lo faccio!)!
Ed è chiaro che il dottore si trova spiazzato e sorpreso: "Nessuno era in grado di rispondergli nulla; e nessuno da quel giorno in poi, osò interrogarlo" (Mt 22,46).
Osserviamo però che qui Gesù risponde ad un ebreo. Il dottore si rifà ai suoi comandamenti e Gesù gli dice: "Giusto! Risposta ortodossa. Ma fallo! Praticala!". Perché questa risposta non è ciò che Gesù ha detto ma ciò che la Legge diceva. Quindi Gesù dice: "Già così è buono!".
Ma Gesù non dirà di amare gli altri come se stessi ma come Lui ci ha amati (Gv 13,34). "Ama il prossimo tuo come te stesso è buono ma non è il modello di amore che Gesù ci ha portati". Per tre motivi.
1. Il concetto di prossimo. Per un ebreo prossimo era un altro ebreo (Lv 19,18) o al massimo uno che abitava in Palestina. Quelli fuori o i non ebrei, quindi, non erano affatto considerati prossimi.
2. Il concetto di "come te stesso". Perché se io mi amo poco, ti amerò poco. E se io non mi amo allora neppure ti amo. Se io non ho ricevuto amore allora te ne posso dare. Ma Gesù ci dirà: "Ama il prossimo non come te stesso ma come Dio ti ama, come io vi ho amati". Il modello di amore passa da me a Dio. Ed è diverso! Poiché la maggior parte di noi non si ama e se amassimo il prossimo come ci amiamo, non ameremo nessuno!
3. Per un ebreo l'amore per Dio è radicale ("tutto il tuo cuore, tutta la tua anima e tutta la tua mente", Mt 22,37) mentre quello per l'uomo no. Infatti non si dice di amare gli altri "con tutto il cuore, l'anima e la mente", ma solo come se stessi. Ciò che era fondamentale, per un ebreo, era l'amore per Dio. Quello per il prossimo veniva dopo. Infatti quello per Dio - e Gesù lo sa - viene prima, solo che Gesù dirà che il secondo (quello per il prossimo) è nient'affatto che lo stesso del primo.
Per Gesù amare l'uomo è amare Dio e amare Dio è amare l'uomo. Se ami Dio non si vede da quanto sei pio o religioso ma da quanto amore tu hai per l'uomo. Per Gesù il vero credente non è colui che obbedisce alle regole religiose ma che vive realmente l'amore.
Cosa vuol dire questo vangelo per noi? 1. L'amore è rendere vivo l'altro.
A-more=ciò che non (a) ti fa morire (mos-mortis): e ciò che non ti fa morire ti rende vivo, vitale.
Gesù non chiedeva ai guariti di seguirlo o di offrirgli qualcosa. Lui vedeva che soffrivano, che erano morti o ciechi, li guariva, li rimetteva in contatto con la vita e con la vista. Cioè: Gesù non voleva un ritorno da coloro che guariva (neanche la fama perché chiedeva sempre che non divulgassero la cosa, di non parlarne con nessuno), non aveva un interesse e non esercitava un potere ("Ti ho fatto questo, quindi tu mi devi qualcosa").
Gesù non guariva neanche per convertire. Non diceva: "Ti guarisco ma tu devi credere in Dio; tu devi venire in chiesa; tu devi obbedirmi; tu mi devi...". Lui vedeva uno che soffriva e il suo amore era liberarlo dalla sofferenza, dalla morte o dal suo disagio.
L'amore (di Gesù) è questo: chi ama rende vivo l'altro. Se ti amo voglio il meglio per te. E ciò che è meglio per te non è detto che sia ciò che io vorrei.
Un mio amico preferisce un altro a me: "Se questo è davvero il tuo bene, sia così!".
Mio figlio potrebbe fare il liceo e invece sceglie un istituto tecnico perché ha l'hobby della musica e la musica lo fa vivere: se è così, sia così.
Un catechista: "Quest'anno non faccio catechismo perché sarebbe pesante per me e poi sono scarico e ho bisogno di ritrovare motivazioni". Ci sarebbe bisogno, ma se questa cosa ti fa vivere, sia così.
Un ragazzo: "Vado a vivere a Londra perché qui non ce la faccio più". Se per lui questo è una possibilità di ritrovarsi, di mettersi alla prova, di ricominciare, per amore gli dirò di sì, anche se so che vuol dire perderlo, anche se mi dispiace lasciarlo andare. Se ti fa vivere, sia così!
La vita di un prete è stare in mezzo ai giovani, riesce benissimo. Io vescovo avrei così tanto bisogno in una parrocchia, ma so che lo "ucciderei". Se questo ti fa vivere, sia così!
Un anziano sta in una casa diroccata, sporca e senza riscaldamento. Ci sarebbe un posto per lui in pensionato, ma quella è la "sua vita e quelli sono i suoi animali". A me verrebbe da dire: "Ma di là stai meglio!", ma lui la vive come una prigione.
Un uomo trovò una volpe. Era in fin di vita ferita da dei cacciatori. L'uomo se ne prese cura e dopo vari mesi miracolosamente la volpe guarì. La volpe era molto grata a quell'uomo: erano diventati amici. Anzi la volpe era diventata la migliore amica di quell'uomo. La volpe guardava ogni giorno fuori dalla finestra: era il richiamo del bosco, ma come poteva lasciare quell'uomo che le aveva dato la vita? In fin dei conti non stava male lì, anzi, ma la casa non era la "sua casa". L'uomo vedeva la scena tutti i giorni e notava nella volpe la nostalgia del bosco. D'altra parte era molto affezionato a lei, ed erano molti mesi che vivevano insieme. Ma un giorno si decise: la portò nel bosco e gli disse: "Vai, segui il tuo richiamo!". La volpe lo guardò un'ultima volta e se ne andò. Non la rivide mai più e soffrì molto di questa cosa. Quando raccontò il fatto ad un suo amico, questi gli disse: "Ma perché l'hai fatto?". E lui rispose, semplicemente: "Per amore".
2. Amarmi è volere il mio bene, cioè rendermi vivo.
Amarmi è lottare per ciò che è bene per me. Per noi l'amore è ciò che gli altri ci devono fare: ma il primo amore è ciò che noi facciamo per noi stessi.
Il mio collega mi prende in giro: perché voglio cambiare lui? Perché, invece, non cambio io? Tanto a questo mondo troverò degli altri che mi prenderanno in giro. Perché non imparo a difendermi, a far valere il mio valore? Amarmi è far sì che la mia persona sia rispettata.
Nessuno mi vuole. Perché continuo ad arrabbiarmi con gli altri che non mi invitano e che mi escludono sempre? Amarmi è cambiare il mio carattere e la mia persona: così sarò amabile, accettabile e ricercato.
Ho una paura che mi blocca (paura di provare, di sbagliare, di parlare, di tagliare, di fare una scelta, ecc.). Amarmi è affrontarla perché io merito di vivere senza paura, in tutta la mia pienezza, in tutte le mie possibilità, al meglio e al massimo di me.
In compagnia nessuno mi rivolge la parola. Invece di inveire col mondo che è cattivo e che ce l'ha con me, lavoro su di me. Amarmi è essere presentabile, farmi più magro, più bello; amarmi è avere un carattere meno irascibile e più estroverso; amarmi è essere più aperto, elastico e meno giudicante e pretenzioso; amarmi è diventare un uomo migliore. Non ho mai trovato nessuno che veramente si ami che non sia amato da un sacco di gente.
Non chiedere agli altri ciò che tu non sai fare per te: è parassitismo.
3. Ama il prossimo tuo come te stesso. Spesso noi cristiani abbiamo tradotto: "Ama il prossimo tuo contro te stesso", oppure" ama il prossimo tuo al posto di te stesso". Così amarsi era egoismo, narcisismo, peccato: solo spendersi per gli altri e sacrificarsi era buono e santo. Veniva sempre citata la frase: "Se uno non rinnega se stesso e non prende la sua croce...": e così la vita "doveva" essere sacrificio e solo se si era infelici e pieni di "rogne" Dio ci accettava. Peccato che quella frase voglia dire tutt'altro! Bisognava quindi amare gli altri, sopportare l'impossibile e obbedire a chi non aveva la minima intenzione di fare un passo o un cambiamento. Ma tutto questo non si può chiamare amore.
Ma come si può amare gli altri se non si ama neanche se stessi? Come posso insegnarti a suonare la chitarra se neppure io lo so fare? Come posso darti soldi se non ne ho neppure io? Non si può dare ciò che non si ha.
Oggi sappiamo cose che ieri, una volta non sapevamo. Ama il prossimo tuo come te stesso più che un invito definisce una realtà: l'altro lo ami come ami te. Lc 6,37-38 è chiarissimo a proposito: "Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e vi sarà perdonato; date e vi sarà dato; una buona misura, pigiata, scossa e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con cui misurate, sarà misurato a voi".
Cioè: gli altri li ami esattamente come ti ami. Non si può dare di più di quello che si ha: ti amo esattamente e non di più di come mi amo.
Se io mi giudico, ti giudico. Amo te come amo me. Se il metro con cui mi misuro si chiama "giudizio" ("Questo va bene; questo non va bene; questo si fa così; così non si fa; non dovevi; te l'avevo detto; adesso hai sbagliato; sei sempre il solito; non capisci niente, ecc."), il metro con cui ti misuro (visto che è lo stesso) si chiamerà "giudizio".
Se io pretendo da me, pretenderò anche da te. Se io ho molte aspettative su di me ("Devo esser così; non devo fare quello; devo far sempre contenti gli altri; devo riuscire; non posso fallire, ecc.") di certo avrò molte aspettative su di te. Perché il mio metro è "aspettativa" e va nei due sensi. Credo che gli altri si aspettino molto da me e io mi aspetto molto dagli altri.
Ma vale anche all'inverso. Come amo gli altri amo anche me. Se io sono razzista, di certo odierò (metterò al bando) alcune parti della mia persona (in genere le parti vulnerabili, piccole ed emotive). Se io sono inflessibile con i miei figli, alunni, di certo sarò inflessibile anche con alcuni aspetti miei. Se sono superficiale con gli altri, lo sarò anche verso alcune cose di me che non voglio vedere.
Ama il prossimo tuo come te stesso definisce una semplice verità. E' un'equazione: l'amore per te è proporzionale all'amore per me e viceversa. Ti amo come mi amo; mi amo come ti amo.
4. Amare in pienezza. Il vangelo parla di "amare con tutto il cuore, l'anima e la mente". Altrove si aggiunge "con tutte le forze" (Lc 10,27). L'amore cioè, avviene a tutti i livelli, con tutte le parti di noi, altrimenti non è amore.
Amarmi così. Il collega mi dice qualcosa dietro le spalle e la cosa mi ferisce.
Con tutto il cuore. Sento che merito amore e che non sono degno di essere calpestato.
Con tutta la mente. Non faccio pensieri distruttivi su di me: "Me lo merito; sono il solito incapace; nessuno pensa bene di me; forse ha ragione...".
Con tutte le forze. Agisco in mio favore perché mi amo. Vado da lui e gli chiedo: "Ho sentito che hai detto questo... e questo... è vero? Perché hai detto così?".
Amarti così. Sento un legame d'amore per te.
Con tutto il cuore. Sento dentro di me quanto sei importante nella mia vita e quanto sei benefico (sentimenti buoni).
Con tutta la mente. Penso bene di te e ti stimo, ti rispetto e voglio il tuo meglio (pensieri buoni).
Con tutte le forze. Ti scrivo, ad es.: "E' una fortuna che tu ci sia nella mia vita" (azioni buone).
L'amore mente e forze senza cuore diventa volontarismo e azione, amore freddo e senza passione perché non c'è il sentimento.
L'amore mente e cuore senza forze diventa sentimentalismo perché non c'è azione.
L'amore cuore e forze senza mente, diventa istintivo, irrazionale, perché non c'è il pensiero, non c'è consapevolezza e lucidità.
L'amore pieno comprende mente, cuore e forze.
5. E l'amore di Dio?
Nell'Ultimo Giorno Dio, il gran Capo di tutto, ci chiamerà di fronte a Lui: "Si presenti il Tal dei Tali". E tutti ci presenteremo davanti a Lui. Lui tirerà fuori il suo gran librone dove ci sarà scritto tutto quello che in vita abbiamo fatto e che non abbiamo fatto, ma non lo leggerà affatto.
Poi ci dirà: "Marco... Chiara... Francesco... vuoi vivere per sempre con me?". E se lo vorrò, io risponderò: "Sì". E Lui mi dirà: "E allora vivi per sempre con me!". E sarà una gran festa.
Perché l'amore di Dio è incondizionato: senza condizioni, senza premi, senza meriti. E quando ameremo così, conosceremo il prezzo e la bellezza dell'amore.
Il re amava una ragazza del suo paese, molto povera ma molto molto bella. La ragazza era molto lusingata dal re e dall'incredibile possibilità di diventare la sua regina. Solo che il suo cuore era per il ragazzo suo vicino di casa, di condizione come la sua. Il re la chiamò a palazzo e la trattò come una regina. La donna era lusingata da tanto amore ma il suo volto aveva sempre un velo di tristezza. Qualunque cosa faceva per lei, lei lo accettava ma la tristezza non se ne andava dal suo volto. Il re allora un giorno chiamò il saggio di corte esponendogli la questione. "Sei disposto a tutto, o mio sire, per vederla felice?". "Sì, a tutto!". "Lasciala andare, allora!". Il re non si aspettava questa risposta e ci pensò tutta la notte. La mattina dopo le parlò e lasciò andare... il volto della donna si illuminò. Qualche settimana dopo il re incontrò il saggio e gli disse: "Non ho mai sofferto così tanto, saggio mio, ma non ho mai amato così tanto".
Pensiero della settimana
Non ti posso amare più di quanto mi amo.
Per vedere quanto amore ti posso dare guardo a quanto so amarmi.
E per vedere quanto amore mi puoi dare guardo a quanto ti ami.
Fonte:www.qumran2.net
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