fr. Massimo Rossi, Commento XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A)

Commento su Matteo 21,33-43
fr. Massimo Rossi  
XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (08/10/2017)
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Desidero iniziare la riflessione facendo eco al testo dell'orazione che segue la Comunione e

conclude la Messa: mangiare il corpo di Gesù e bere il Suo sangue offre a noi l'opportunità di
essere trasformati in ciò che abbiamo mangiato e bevuto . I traduttori hanno di molto smorzato
l'enfasi dell'originale latino di san Leone Magno Papa, il quale utilizza verbi a dir poco esagerati -
essere pasciuti del corpo di Cristo, essere inebriati del sangue -; ma il senso è rimasto invariato:
partecipare alla mensa del corpo e del sangue del Signore è conditio sine qua non per diventare noi
stessi il Cristo, assumendone i sentimenti, le idee, per vivere allo stesso modo, operando le stesse
scelte...
Ed ora, il Vangelo : avrete certo notato l'attenzione dello scrittore ispirato a descrivere nei minimi
particolari l'opera del padrone: piantò una vigna, la circondò con una siepe, scavò le fondamenta
per il torchio, infine eresse la torre di vedetta.
Possiamo dire che il bene consegnato alla cura dei servi era perfetto... talmente perfetto da far gola
agli affittuari, i quali se ne impadronirono con le conseguenze che sappiamo.
La parabola allude a coloro che si erano impossessati della Legge di Mosè: da custodi e tutori
dell'osservanza religiosa, erano diventati capi del popolo, signori e padroni della stessa tradizione.
Ecco cosa succede quando un ministro gestisce l'incarico come potere e non come servizio: perde
di vista il bene comune e ricerca solo il proprio bene, il proprio interesse, il proprio tornaconto...
Con riferimento alla situazione concreta dei tempi di Gesù, i capi del popolo avevano commesso
non un peccato soltanto, ma due, uno più grave dell'altro!
Il primo è quello che ho appena annunciato: aver dolosamente trasformato il servizio sacerdotale
in un potere ; il secondo peccato, lo ripeto, era ancor più grave: avendo assunto il controllo della
Legge a proprio vantaggio, l'avevano resa un assoluto ; l'osservanza era fine a se stessa;
l'osservanza per l'osservanza . In altre parole, la Legge non liberava coloro che la dovevano
praticare, ma li costringeva a vagare entro un labirinto senza uscita di 600 e più regole.
La Legge asserviva. La Legge schiavizzava.
Ma anche - ed è l'aspetto peggiore! - la Legge non guidava più alla conoscenza di Dio!
Del resto, se la Legge di Mosè era diventata un assoluto, la Legge costituiva il fine ultimo
dell'osservanza, il capolinea dell'agire morale.
E così si verificava un paradosso quasi incredibile: l'osservanza religiosa conduceva all'ateismo :
e sì, perché quando al posto di Dio si mette qualcos'altro, fosse anche la religione - e vi garantisco
che è possibile! -, Dio scompare dall'orizzonte dell'uomo; la religione pervade tutto, fino ad
offuscare l'immagine stessa di Dio che (la religione) avrebbe dovuto invece illuminare e rivelare...
In una situazione come questa, potete immaginare che cosa succede quando Dio reclama la propria
autorità e chiede agli amministratori di rendere conto del loro operato, davanti a Lui e davanti al
popolo. Succede che gli amministratori rifiutano di riconoscere l'errore - aver scambiato Dio con
la Legge - e mettono a morte Dio .
Invece di essere l'interlocutore privilegiato dell'uomo, Dio diventa un rivale da propiziare a suon di
sacrifici, Dio diventa un potenziale aggressore, o, quanto meno, un ingombro...
Dio diventa addirittura superfluo! C'è già la Legge... oggi la chiamiamo morale. ​
Senza avvedersene - o forse premeditatamente! - l'uomo ha scambiato la fede con la morale , ha
eliminato la prima e ha assolutizzato la seconda... fino a convincersi che fede e morale
coincidano ; ciò che conta non è l'atto di fede, ma il comportamento irreprensibile . L'Atto di
fede orienta lo sguardo a Dio; il comportamento irreprensibile concentra l'attenzione su sé stessi .
È questo l'epilogo della parabola, ed è questo anche l'epilogo del Vangelo...
Ma a Dio non la si fa! Dio non si lascia cancellare dalla mente e dal cuore degli uomini!
Dio resta il custode del nostro desiderio; anzi, Dio libera il desiderio da noi stessi e lo rilancia
sempre avanti, oltre i confini angusti e meschini dei nostri difetti; oltre gli orizzonti del peccato...
Dio è sempre più grande dei nostri difetti, è molto, molto più grande del nostro peccato (cfr.
1Gv 3).
ATTENZIONE però: interpretando la parabola dei vignaioli omicidi, possiamo cadere in un facile
equivoco: credere che alla fine Dio farà morire miseramente i malvagi...
Dio non fa proprio morire nessuno! Ma spiazza tutti coloro che si erano illusi di possedere Lui e la
Verità, aprendo la Rivelazione ai Gentili, ai pagani; è la scelta di Paolo, il quale prende le distanze
dal popolo eletto, gli Israeliti, per rivolgersi ai pagani.
E tuttavia senza escludere a priori nessuno dalla salvezza!
Il giudizio si è già consumato sulla croce, alle 3 del pomeriggio di quel venerdì, allorché il cielo si
oscurò e la terra fu scossa, mente il figlio di Dio esalava l'ultimo respiro, diventando il Cristo.
Il Padre gradì il sacrificio del suo Cristo come sacrificio di espiazione dei nostri peccati, e lo
richiamò in vita .
Non so se capiremo mai il senso di tutto questo: le nostre colpe le ha pagate Colui che fu, Colui che
è la vittima delle nostre colpe...
In verità, non è possibile penetrare questo mistero di morte e di salvezza: la morte di Dio, in cambio
della salvezza degli uomini, colpevoli di averlo ucciso.
Dunque, la vendetta del Signore raccontata nella parabola non è il fine dell'Incarnazione .
Al contrario, il fine dell'Incarnazione è la salvezza dei peccatori !
Sta a noi riconoscere il nostro peccato, per essere ascritti nell'elenco dei salvati.
È l'unica condizione che il Signore pone per entrare nella gioia del Padre suo.
Ma noi, siamo veramente consapevoli dei nostri peccati?

Fonte:http://www.qumran2.net

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