MONASTERO MARANGO,"L’identità ci è donata nella relazione con l’altro "30ª DOMENICA
L’identità ci è donata nella relazione con l’altro
Briciole dalla mensa - 30° Domenica T.O. (anno A) - 29 ottobre 2017
LETTURE Is 45,1.4-6 Sal 95 1Ts 1,1-5 Mt 22,15-21
COMMENTO
Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché siete stati forestieri in terra d’Egitto.
Chi è il forestiero? Non lo straniero di passaggio e neppure lo straniero che non ha casa e risiede presso il suo datore di lavoro, ma il “ghèr”, lo straniero residente. Questi “forestieri” hanno uno statuto sociale intermedio tra i cittadini israeliti e gli schiavi: sono liberi ma non possono possedere terre e devono lavorare alle dipendenze altrui. Sono assimilati ai poveri, agli orfani e alle vedove, a tutti quello che sono economicamente deboli.
Non molesterai. Il verbo ebraico significa “commettere ingiustizia” approfittando della propria forza economica e dei propri vantaggi sociali. E’ lo sfruttamento del debole da parte del potente. La Scrittura dice invece che il forte non deve opprimere il debole, non lo deve “calpestare”, perché «voi siete stati forestieri in terra d’Egitto».
Questo ricordo basta a giustificare l’atteggiamento che Israele deve avere verso il forestiero. Adottando nei confronti del forestiero un atteggiamento di benevolenza, Israele rende di nuovo attuale la storia della salvezza.
Quanti sono ora i “forestieri” in mezzo a noi? Certamente non pochi, ma è del tutto fuori luogo parlare di “invasione”. Dobbiamo invece ricordarci che il più grande esodo della storia moderna è stato quello degli italiani. A partire dal 1861 sono state registrate più di 24 milioni di partenze, un numero quasi equivalente all’ammontare della popolazione al momento dell’unità d’Italia. Tra il 1876 e il 1900 tre regioni, il Veneto, il Friuli e il Piemonte, fornirono da sole il 47 per cento della popolazione migrante. Oggi il flusso emigratorio degli italiani verso l’estero risulta ormai essere circa il doppio degli arrivi di immigrati economici e profughi insieme (Rodolfo Ricci, fondazione Di Vittorio). Secondo l’Istat, ci sono stati, solo nel 2015, circa centomila espatri. Mi scuso di questa ‘inclusione’, ma mi sembrava doverosa per aiutarci a capire la realtà nella quale viviamo, senza essere prigionieri di derive ideologiche o di paure irragionevoli. Anche noi siamo un popolo di emigranti, e spesso ce ne dimentichiamo, non solo perdendo la memoria storica, ma ancor più gravemente calpestando il diritto e la giustizia. Non vogliamo i “foresti”, ma ben volentieri abusiamo di loro, li trattiamo come schiavi e li sfruttiamo nel lavoro e in ogni altra occupazione, non ultima la prostituzione.
Invece Israele, sapendo di essere un popolo diverso dagli altri, cercava di preservare la propria identità religiosa attraverso leggi che proteggevano il forestiero povero, e questo per fedeltà alla sua esperienza storica. E’ proprio vero: la chiusura dentro i propri confini non custodisce una identità, ma la indebolisce fino a renderla irrilevante. L’identità ci è donata nella relazione con l’altro.
Non maltratterai la vedova o l’orfano.
Nel Codice di Hammurabi (1792-1750 a.C.) troviamo scritto che “i poveri e gli orfani sono posti sotto la tutela dello Stato. Le donne sono protette contro i maltrattamenti del marito. In favore dei lavoratori viene alzato il salario e sono stabiliti i giorni di riposo annuali”. E’ un esempio altissimo di civiltà, dalla quale stiamo purtroppo regredendo velocemente. Ma in nessun altro codice antico viene affermato in modo così rigoroso – come leggiamo nella Bibbia – la vicinanza di Dio stesso ai deboli: i poveri sono senza difesa sulla terra, ma hanno un «difensore» che ascolta il grido degli oppressi e ristabilisce il diritto e la giustizia.
“Rimanere sordi a quel grido, quando noi siamo gli strumenti di Dio per ascoltare il povero, ci pone fuori dalla volontà del Padre e del suo progetto”. Ascoltare il grido “implica sia la collaborazione per risolvere le cause strutturali della povertà e per promuovere lo sviluppo integrale dei poveri, sia i gesti più semplici e quotidiani di solidarietà di fronte alle miserie molto concrete che incontriamo” (Evangelii Gaudium 187-188).
Se tu presti denaro a qualcuno del mio popolo, all’indigente che sta con te, non ti comporterai con lui da usuraio.
C’è stato un tempo in Israele quando le transazioni commerciali o fondiarie erano poco importanti. La ricchezza veniva dalla terra, che a sua volta era stata ripartita tra le famiglie che custodivano gelosamente il loro patrimonio. In seguito, nei paesi del Medio Oriente, il diritto del creditore comincia ad essere regolamentato, con tassi molto elevati: un quinto per il prestito di denaro, un terzo per il prestito di cereali. Diversamente, il Codice dell’Alleanza, da cui è tratto il nostro testo, ammette per Israele solo il prestito senza interesse. Vuole instaurare un mutuo credito gratuito che non conferisce poteri al prestatore. La ragione di questo rifiuto è la parentela spirituale che lega tra loro gli israeliti e lega pure Dio al suo popolo e soprattutto ai poveri. Qualche esegeta, leggendo in modo oculato il testo ebraico, ha proposto questa traduzione del v. 24: “Se tu presti del denaro ad un povero, mio parente, che è anche tuo parente…”. L’espressione ha una forza straordinaria: ricorda che Dio è beneficiario di ogni relazione con il fratello povero.
Se presti in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai prima del tramonto del sole, perché è la sua sola coperta.
Dio prende le difese del povero perché egli è compassionevole. Anche l’israelita, come pure ogni credente in Dio, deve avere compassione del suo prossimo. Nessuna prescrizione giuridica può obbligare a restituire il mantello, avuto come pegno, prima che scenda la notte, ma il credente si deve sentire obbligato in quanto fedele a quel Signore che ha compassione per tutti. Ogni legame con il prossimo è sempre anche un legame con Dio, che non è solo “vicino” al povero, ma è anche suo “parente” e familiare.
Nel Vangelo ci viene ricordato quale sia il grande comandamento della Legge: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente». E abbiamo udito pure come il secondo comandamento sia molto simile al primo: «Amerai il tuo prossimo come te stesso».
Io credo che sarebbe il caso, viste le mortificanti prese di posizione, anche da parte di molti cristiani, contro zingari, stranieri e tante altre forme di povertà, di fare un buon ripasso dell’Antico Testamento.
Così, per mettere le fondamenta.
Non sarebbe mai troppo tardi.
Giorgio Scatto
Fonte:www.monasteromarango.it/
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