Padre Paolo Berti, “Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze...”


XXVIII Domenica del T. O.     
Mt 22,1-14 
“Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze...”
Omelia  
La prima lettura ci presenta l'immagine gioiosa di un banchetto che il Signore preparerà per tutti i
popoli. Sarà la festa della vittoria sull'ignoranza di Dio, sul peccato, sulla morte: “Il velo che copriva la faccia di tutti i popoli e la coltre distesa su tutte le nazioni. Eliminerà la morte per sempre”.
Sarà il banchetto nuziale preparato dal grande Re per il Figlio che ha redento il mondo e ha fondato la Chiesa congiunta a sé quale Sposa nel sacrificio della croce, che fu rito nuziale. Come in ogni matrimonio al rito nuziale segue il banchetto nuziale, che è banchetto di gioia, di incontro, di scambio di auguri, di felicitazioni. Al rito nuziale della croce corrisponde, quindi, il banchetto in cui si esprime la gioia dell'avvenuta riconciliazione tra gli uomini e Dio. È l'agape sponsale e fraterna; è l'immagine della prosperità dei tempi inaugurati da Cristo. Sono i tempi della cultura della vita, quella improntata di Cristo, nostra Vita; i tempi del “banchetto dello Spirito” presieduto da Cristo l'Unigenito del Padre.
La parabola del Vangelo riprende il tema del banchetto, presentando il pranzo nuziale che un grande re aveva organizzato per il figlio e come il grande re volle che la sala del banchetto fosse piena di commensali.
La parabola fa riferimento a Israele, che era il popolo invitato alle nozze da secoli, con rivelazioni, aiuti, promesse e anche con un'alleanza; ma tanti di Israele si dimostrarono sordi all'invito di andare alle nozze del figlio del Re. Ritennero di stare già bene, di non avere bisogno di alcunché, di essere già sazi, e così si chiusero all'invito e all'accoglienza dello Sposo. Pensarono addirittura che l'invito fosse gravoso, che richiedesse uno sforzo impossibile di allontanarsi dalla logica dell'accumulo del denaro e del conseguimento dei piaceri, non ultimo quello di essere considerati grandi. Quei molti rimasero come prima, anzi peggiorarono, perché si credettero belli, mentre invece erano brutti dentro, e le loro virtù non erano altro che vesti sdrucite, lacere e sporche.
Il banchetto annunciato comunque era deciso e ci dovevano essere festa e moltitudine di genti.
La città poi che aveva rifiutato l'invito venne data alle fiamme. Non è difficile vedere nella città data alle fiamme Gerusalemme, che ha rifiutato il Signore.
Il grande Re, visto che i primi invitati avevano rifiutato di festeggiare lo Sposo, disse ai suoi servi di andare ovunque affinché le moltitudini delle genti partecipassero al banchetto nuziale.
I servi riempirono di nuovi invitati la sala del banchetto. La condizione indispensabile per l'accesso era l'indossare la veste nuziale.
Non è difficile vedere nei nuovi invitati i popoli pagani e nella veste nuziale la grazia battesimale, la ricchezza dei doni della cresima, la partecipazione all'Eucaristia.
Spesso i commentatori nel banchetto annunciato da Isaia vi vedono solo una figura dell'Eucaristia, ma il banchetto di Isaia annuncia un giorno di festa, un tempo di festa. La festa che ha come centro promotore la Messa, dalla quale si irradia la letizia, l'incontro, l'impegno, l'utile svago, la lode e il ringraziamento a Dio, unitamente all'intercessione per il bene dei fratelli e la domanda per essere migliori. Nella Domenica non c'è solo la Messa, ma tutto ciò che procede dalla Messa.
Dobbiamo quindi stare attenti che la Domenica non sia vissuta solo come il giorno in cui si va a Messa, e poi ci si ritiene liberi di dimenticare tutto.
Una volta nelle comunità, nel pomeriggio della Domenica, c'era “la funzione eucaristica”, che prolungava la partecipazione alla Messa frequentata al mattino. Tutta la Domenica era segnata da Cristo, e il riposo, la festa, l'incontro, la musica, i pranzi, non erano vissuti dimentichi di Cristo. Oggi, presso tanti, tra la Messa e la Domenica non c'è più quell'unità di un tempo. Io credo che la “funzione eucaristica pomeridiana domenicale”, che non era un obbligo e non sarebbe un obbligo, sarebbe un segno di grande autenticità di una comunità, e nessuno potrebbe parlare di esagerazione.
C'è una sala del banchetto nella parabola del Vangelo, ci si entra per una porta e si passa alla condizione di indossare l'abito nuziale.
La parabola ci dice che un tale entrò arbitrariamente, senza la veste nuziale, senza essere nuovo. Costui entrò per mangiare, ma senza l'intenzione di dare gloria e onore allo Sposo. Si può ben dire che fosse un parassita della festa, non un vero partecipante e promotore della festa.
La parabola finisce per restringere il discorso su di uno che non aveva l'abito, per farci fare l'esame di coscienza che potremmo essere anche noi quel tale. Ma purtroppo non si tratta di uno solo, perché molti stanno senza l'abito nuziale nella sala del banchetto. Tanti hanno i cenci, gli addobbi puzzolenti del mondo, e li credono sontuosi. Tanti rimangono per qualche opportunismo tra quelli che hanno l'abito nuziale, ma in realtà il loro cuore dimora nel triste banchetto del principe di questo mondo: il Maligno.
Ma tanti e tanti, che non erano primi invitati, entrarono nella sala del banchetto. Sono i giusti presenti tra i pagani. Non sono ancora dimora dello Spirito, che tali si diventa col Battesimo, ma lo Spirito ha già spazio nella loro vita, pur condizionata dagli errori ereditati dall'ambiente in cui vivono. Sono gli invitati dello Spirito, che non conoscono ancora il Festeggiato perché i servi non li hanno ancora raggiunti. Quando i servi li raggiungeranno con il loro invito i servi vedranno che misteriosamente erano già in cammino verso il banchetto. Sono peccatori, e peccano, ma chiedono perdono e soprattutto luce. Danno a Dio nomi diversi, ma puntano tutti allo stesso Dio pur non conoscendone il suo vero volto; quello che Cristo ci ha rivelato (Gv 4,22).
Il giorno del Signore, la Domenica, è destinato a riempire tutti i giorni, diffondendo sulle settimane la sua forza, la sua norma di vita fondata sull'amore. Il Giorno del Signore è il giorno della festa che si irradia dagli altari, dove ponendo in alto l'Ostia divina si dice: “Ecco il nostro Dio; in lui noi speriamo, perché da lui la salvezza; questi è il Signore in cui speriamo; rallegriamoci, esultiamo per la sua salvezza”.
Il giorno del Signore Paolo lo ha vissuto sempre, nell'indigenza come nell'abbondanza: “so vivere nella povertà come so vivere nell’abbondanza”. Egli, quando non era itinerante nei deserti o nei mari, il giorno del Signore lo viveva nelle comunità del Signore da lui fondate, e di questo era felice; questa per lui era la festa: i rigenerati in Cristo che crescono nell'amore attorno all'altare, pronti ad essere fonte di pace e di gioia ovunque. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.

Fonte:http://www.perfettaletizia.it

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