Padre Paolo Berti, “Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?”XXX Domenica T. O.

XXX Domenica T. O.         
Mt 22,34-40 
“Maestro, nella Legge, qual è il grande comandamento?”
Omelia  

Ciascuno di noi sa che le genti, le nazioni, fanno parte di un unico genere umano per il quale Cristo
ha dato la vita. Ciascuno di noi sa anche che gli uomini conoscono il peccato. Ciascuno di noi ha chiaro, o deve aver chiaro, che appartiene all'unico fronte della Chiesa, rivolto a condurre tutte le genti a Cristo. Così, dunque, ognuno di noi deve avere una costante preghiera per tutta la Chiesa missionaria nel mondo. Una costante preghiera per tutti i popoli perché si aprano alla Luce del mondo, che è Cristo; e quindi una costante preghiera per la conversione dei peccatori, anche dei più bui.
Se viviamo il quotidiano nella carità verso tutti, allora siamo cristiani vivi.
Nessuno di noi può operare in un raggio di relazioni interpersonali più di tanto. Un parroco non può spendersi che raramente oltre i confini di una parrocchia, ma tuttavia la sua preghiera deve avere un raggio globale. Due genitori non possono, ovviamente, avere uno sterminato raggio di relazioni. Qualcuno mi dirà che con i mass media si possono avvicinare milioni di persone, e io concordo. Voi mi direte che un Pontefice nei suoi viaggi può incontrare milioni e milioni di persone, e sono perfettamente d'accordo, e vedo benissimo quanto questo sia importante, ma voglio dire che il raggio dei contatti personali, continuati, non può estendersi più di tanto per nessun uomo. Il contatto via etere o via cavo, oggi a portata di mano, è molto importante, ma non è ancora il contatto della quotidianità, dove si possono percepire le persone nella loro interezza comunicativa, nella loro continuità esistenziale.
E' il contatto personale, continuato; è la fedeltà feriale ai fratelli, assidua in Cristo, che forma un tessuto sociale sano.
Le grandi catastrofi erompono quando il tessuto sociale è capillarmente compromesso da ogni sorta di vizio. Si ha come in un argine lentamente rammollito da infiltrazioni d'acqua: di colpo si sfascia causando immani danni; ma gli immani danni si stavano preparando prima che l'argine venisse sfondato dalla piena delle acque.
Pensate, quanta fatica richiederà la ricomposizione di un tessuto sociale già cristiano e ora pieno di lacerazioni! Quanto, quanto, noi dobbiamo lavorare, e dovranno lavorare i futuri cristiani.
Sarà la carità, una carità inesausta, pronta ad accettare “grandi prove”, che trasformerà il mondo.
Non dobbiamo pensare ad eventi miracolosi, ad apparizioni che risolvono tutto, poiché sappiamo che sono solo dei richiami alla vita cristiana. Non dobbiamo attendere travolgenti eventi, ma dobbiamo pensare ad un quotidiano ardere della carità. Dall'amore che vi porterete gli uni gli altri sapranno che siete miei discepoli, ci dice il Signore (Cf. Gv 13,35).
I farisei - lo sappiamo - non consideravano il secondo comandamento come indissolubilmente legato al primo. Il primo poi, che comanda l'amore a Dio (Dt 6,4-5), lo vivevano in maniera formale, affidandosi alle ritualità, e di queste ritualità ne avevano coniate tante: abluzioni di mani, di stoviglie e tante altre formalità (Cf. Mt 15,1s; 23,1). Si ritenevano, ingannando se stessi, giusti davanti a Dio, ma non avevano amore né verso Dio, né verso il prossimo.
Ma non tutti avevano disgiunto i due comandamenti. Infatti, nel gruppo che andò da Gesù per metterlo alla prova c'era anche uno scriba che raccolse immediatamente il valore della risposta di Gesù, mettendo in stato di confusione gli altri (Cf. Mc 12,28s): “Hai detto bene, Maestro, e secondo verità, che egli è unico e non vi è altri all'infuori di lui; amarlo con tutto il cuore, con tutta l'intelligenza e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici”. Le parole dello scriba mettono in evidenza come il primo comandamento, scritto sulle tavole di pietra (Es 20,2-3): “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti ho fatto uscire dalla terra d'Egitto, dalla condizione servile: Non avrai altri dei di fronte a me”, trovi la sua espressione nell'amare Dio. Dio, dice il secondo comandamento scritto sulle tavole di pietra è un Dio geloso (Es 20,5): “Perché io, il Signore, tuo Dio, sono un Dio geloso”. “Dio geloso”, dunque che ama di amore fedele e che chiede amore fedele. Amare Dio vuol dire amare ciò che Dio ama, cioè gli uomini (Cf. Lc 2,14). Non si può non amare ciò che Dio ama. Se uno non ama il prossimo che vede, non può di certo amare Dio che non vede (1Gv 4,20), che non percepisce coi sensi. Vedere l'amore del fratello in Cristo è palese, e dunque se uno non si lascia prendere dalla testimonianza d'amore del fratello non potrà giungere a riconoscere l'amore di Dio per gli uomini, per lui stesso, e quindi ad amarlo.
Il primo comandamento non è quindi disgiunto dal secondo.
A questo punto, fratelli e sorelle, dobbiamo fare una riflessione.
Vedete, le porte delle chiese assistono a trasformazioni buone e a trasformazioni cattive. Prendiamo quelle cattive. Uno entra in chiesa per domandare “per se stesso” una grazia. Ha il volto di chi è raccolto, fa un veloce segno di croce, accende una candela, tocca la statua di un santo, manda con la mano uno sbaciucchio al Tabernacolo ed esce fuori ancora risentito, pronto a scattare, avido di denaro e di senso.
Oppure, ancora più gravemente, esce di chiesa dopo aver partecipato all'Eucaristia; dovrebbe avere negli occhi il sorriso, dovrebbe essere più pronto ad accettare le difficoltà, a perdonare, ma no, va a casa con il medesimo tono di voce di prima: un tono tra l'acido e l'annoiato, quando non è duro.
Chi invece entra in chiesa con fede, con volontà di viva partecipazione, con umiltà, ne esce tonificato, pronto a sostenere le difficoltà con rinnovato vigore.
Questo deve essere per ciascuno di noi.
Noi, per il Battesimo, siamo il tempio vivente dove si trovano i comandamenti di Dio non scritti su pietre, non depositati in un'arca (Es 40,20; Eb 9,4), ma scritti nella carne dei nostri cuori, per un'obbedienza incessante alla legge d'amore, che proprio per questo è legge di libertà (Gc 1,25), legge che vince il peccato.
Sulla tenda del deserto (Nm 9,15) scese una nuvola luminosa, segno della presenza di Dio; ma, ora non una nube, figura dello Spirito Santo, ma lo stesso Spirito Santo è sceso nel Battesimo e nella Cresima nei nostri cuori comunicandoci l'amore di Dio (Cf. Rm 5,5). Noi, tempio di Dio, amiamo nella luce, nel fuoco dello Spirito Santo, ma - dobbiamo esserne sempre consapevoli - solo quando l'amore è unito all'obbedienza. Gesù infatti ci dice (Gv 14,15): “Se mi amate, osserverete i miei comandamenti”; (Gv 14,21): “Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi è colui che mi ama”; (Gv 15,10): “Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore”.
Noi dobbiamo uscire dalle chiese, dagli incontri di preghiera, dai momenti di preghiera personale, sempre tonificati, sempre ravvivati nell'amore verso Dio e verso i fratelli.
Così si rammendano, punto dopo punto, filo dopo filo, le lacerazioni del tessuto sociale.
Vedete, al tempo di Costantino e poi con Teodosio la religione cristiana diventò religione preminente di Stato, ma oggi non possiamo sperare in un re che dal suo vertice di potere si dichiari cristiano ed eserciti in questo senso la sua autorità. Oggi, in democrazia, dobbiamo, punto dopo punto, rammendare il tessuto sociale. Dobbiamo farcela noi, Chiesa. Noi dobbiamo diventare dei tessitori instancabili, e non dichiararci paghi perché siamo dei tesserati ad un gruppo o ad un'associazione.
Ma un pericolo dobbiamo superare, noi che vogliamo costruire comunità di viva comunione; noi che vogliamo essere dei tessitori, ed è quello di fare il contrario dei farisei, cioè amare i fratelli lasciando in secondo piano Dio. Per questo san Pietro, nella sua seconda lettera (1,7), ci dice di unire “all'amore fraterno la carità”, cioè all'amore espresso nella convivialità fraterna va unito l'amore a Dio, da cui nasce la volontà di operare per la santificazione del fratello, cioè volontà di farlo crescere in Cristo.
Dunque continuiamo, o ricominciamo, il nostro lavoro di tessitori della carità nella verità, per sanare le lacerazioni che possiamo incontrare nel vicinato, nel posto di lavoro, così saremo tessitori di civiltà. Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.

Fonte:http://www.perfettaletizia.it

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