Abbazia Santa Maria di Pulsano Lectio DOMENICA «DELLA VENUTA DEL FIGLIO DELL’UOMO»

DOMENICA
«DELLA VENUTA DEL FIGLIO DELL’UOMO»
I Dom. di Avvento B

Marco 13,33-37; Isaia 63,16b-17.19b; 64,1.3b-8; Sal 79; 1 Corinti 1,3-9

All'inizio del nuovo anno liturgico ci è presentato un nuovo ciclo di letture, perché l'unica Parola di
Dio, con la sua inesauribile varietà e ricchezza, illumini e alimenti il tempo del nostro pellegrinaggio fino al momento dell'ultima venuta del Signore e del nostro ritorno alla casa del Padre.
L’Avvento fin dal suo sorgere fu considerato come «tempo liturgico» importante o “forte”, un tempo “privilegiato” secondo il calendario liturgico. Che sia un tempo forte è dimostrato da diversi motivi, tra i quali due principali:
1) interrompe il corso delle Domeniche, di quelle che si chiamavano «dopo la Pentecoste», e quindi per così dire pone fine all’Anno liturgico passato;
2) quindi, inaugura l’Anno liturgico nuovo.
Esso quindi per la sua originalità non ha paragoni con altri tempi forti, principalmente con la Quaresima. Infatti, al contrario di come si ritiene, non si presenta con l’aspetto della Quaresima, che è solo tempo penitenziale, purificatorio, catecumenale.
L’Avvento vuole essere piuttosto il richiamo a vigilare e a prepararsi pregando e operando perché «il Signore viene». “Come” viene, si svela Domenica per Domenica. Questa Venuta non è anzitutto il Natale. A rigore, l’Avvento è un tempo indipendente, che fu accostato al Natale, ma per sé non prepara immediatamente al Natale. Infatti, il Natale non è la “conseguenza” né lo sfocio naturale dell’Avvento, sia perché è più antico, sia poiché dall’origine esso ebbe sempre una sua autonomia teologica e celebrativa e caso mai è preparato immediatamente dall’apposita novena; anche se poi questa non è propriamente liturgica. perché è nata in ambiente fortemente devozionistico, e quindi è causata e influenzata dalle spiritualità tardo medievali che nacquero nell’estrema decadenza teologica e liturgica della Chiesa.
L’Avvento in realtà proclama diverse forme della Venuta del Signore. In sé, quindi, è il tempo dell’«attesa parusiaca», in continuità con la fine dell’Anno liturgico precedente.
Un nome fondamentale e rivelatorio del Signore è ho Erchómenos, «il Veniente», «Colui che viene», «Colui che si fa presente» sempre e in molti modi. Non si tratta di una venuta temporanea, che non lascia traccia. Si tratta invece di farsi presente ed operante nella vita di questo popolo, di Israele, ma ancor più del popolo dei credenti e di noi oggi.
«La Venuta» è «la Presenza». Nel greco biblico, “Presenza” si può esprimere sia con un verbo di moto (venire, érchomai e i suoi derivati e diversi altri verbi), sia con un verbo di stasi, páreimi, stare o farsi presente, da cui Parousía, Presenza. Poiché da chi ne è visitato, la “presenza” del Signore è considerata come di un Essere sempre diverso da lui, e quindi implica una “venuta” a lui, si ha che la Venuta del Signore per farsi presente al suo popolo, e la sua Presenza a questo popolo come risultato della Venuta, non si distinguono più. La stessa Venuta ultima del Signore, alla fine dei tempi, è chiamata dai suoi discepoli “Parusia”, Presenza (Mt 24,3, all’inizio del «discorso escatologico»). La Presenza della Venuta è quindi onnipotente.
Adventus in latino significa Venuta del Signore, ma anche la sua Presenza. La quale avviene nelle sue Venute effettive.
Per comprendere questo, basterà seguire la «linea delle Domeniche» dell’Avvento, e quindi la «linea degli Evangeli» dell’Avvento.

LE DOMENICHE DELLA VENUTA NELLE VENUTE
Con le 4 Domeniche d’Avvento la Chiesa celebra il Cristo Signore che viene nelle sue Venute plurime, in un ordine coerente, che investe in pieno l’intera esistenza dei fedeli.
Ci soffermiamo sul Ciclo B, di Marco, ma nei Cicli A e C in queste Domeniche si hanno le medesime visuali.
A) DOMENICA I: LA PARUSIA, LA VENUTA ULTIMA (Mc 13,33-37)
Il primo Evangelo dell’Anno liturgico, Ciclo B che si apre, è Mc 13,33-37. La pericope sta alla fine di quella parte del «discorso escatologico» (Mc 13,1-37), che riguarda la Venuta ultima del Signore (Mc 13,24-37), nella positività del raduno dei suoi eletti da ogni angolo del mondo (Mc 13,24).
Ma lo spirito dell’Evangelo di oggi è l’esortazione insistente del Signore ad avere la ferma e tesa coscienza che di fronte all’inevitabile sua Venuta i suoi fedeli debbono vigilare con costanza, prepararsi con perseveranza. La tremenda motivazione è che essi non conoscono il giorno e l’ora della Venuta, che potrebbe trovarli distratti dalle cure mondane.
B) DOMENICA II: LA VENUTA PER L’ECONOMIA ULTIMA (Mc 1,1-8)
Adesso l’esortazione a prepararsi alla Venuta del Signore che viene ricorre sulla bocca di Giovanni: Mc 1,1-8.
Il Signore è dichiarato subito come «Principio dell’Evangelo», ossia contenente l’intero Euaggélion della grazia, che è Egli stesso con suo Evento globale, dal Principio al Fine.
Egli è preannunciato come «il Signore» dell’A. T., che ha promesso di venire, e adesso viene, nella preparazione dell’“Angelo”, l’inviato che avverte tutti della venuta del Sovrano, e come “voce” che dal deserto prepara la via al Signore che viene. La figura è il Battista.
La vita austera di lui attira le folle, ed egli predica la severa penitenza preparatoria per accogliere il Signore. Del Signore annuncia l’incomparabile dignità. Soprattutto però «Colui che viene», che deve venire, e che porta l’adempimento radicale dell’Economia divina, nel segno del battesimo di morte purificatrice per il Dono dello Spirito Santo atteso, ossia della creazione nuova.
La Venuta è quindi l’irruzione nella vita degli uomini, e inaugura in modo finale, irreversibile, la parte finale dell’Economia divina. Ma così siamo rimandati già adesso a contemplare la Croce. Poiché il metodo del Padre per ottenere dal Figlio il Dono della redenzione, lo Spirito Santo è la Croce e la Resurrezione.
C) DOMENICA III: GLI EFFETTI DELLA VENUTA (Gv 1,6-8.19-28)
Oggi appaiono gli effetti vistosi e quindi molto constatabili della Redenzione, anticipati sovranamente: Gv 1,6-8.19-28.
Venne prima un uomo, Giovanni, Precursore, Profeta, testimone della Luce divina. Ai messi delle autorità di Gerusalemme, che gli chiedono se sia lui «il Veniente», Colui che deve venire, il Battista risponde con chiarezza e fermezza di essere solo «la voce» umile ma potente che realizza la profezia d’Isaia (Is 40,3), il Signore viene e le vie debbono essere pronte per Lui. Egli verrà per battezzare con lo Spirito Santo.
Anche adesso i frutti della Venuta del Signore tra gli uomini è l’anticipo della Potenza della Resurrezione che è lo Spirito Santo.
D) DOMENICA IV: LA VENUTA ANNUNCIATA NELLA CARNE (Lc 1,26-38)
L’Evangelo di questa Domenica è stato già proclamato l’8 Dicembre. Esso rivela che per operare tutto questo il Signore deve nascere nella carne, dalla Vergine come aveva annunciato il Profeta (Is 7,14), e farsi Uomo vero, Gesù, il Grande, il Figlio dell’Altissimo, il Re eterno, il Salvatore del suo popolo il Figlio di Dio. Come di continuo professa la Chiesa con il Simbolo battesimale, la sua Nascita «da Maria Vergine» è insieme «dallo Spirito Santo» (v. 35), nella cui potenza opererà la redenzione.

L’UNICA VENUTA IN FORME DIVERSE
Attesa, preparazione, vigilanza costante sono chieste da tutti i fedeli. E contemplazione profonda del Signore che viene, con quest’ordine teologico:
1) verrà all’ultimo dei giorni per dare il Premio divino ai suoi. Promessa divina irreversibile;
2) venne nella carne nella «pienezza dei tempi» (Gal 4,4) per adempiere l’Economia della redenzione, e ottenere questo Premio divino;
3) viene sempre: per noi, quando è celebrato nella sua Parola e nelle sue opere di carità del Regno, come allora, ma anche quando adesso noi Lo invochiamo, e proclamiamo la sua Parola e compiamo le sue stesse opere.
4) viene per restare sempre con noi.
Venne per essere amato, conosciuto, celebrato.
Viene sempre e viene per restare con noi, quando è celebrato, ed ecco allora il luogo della sua Venuta, l’Anno liturgico, simbolo della nostra esistenza, che ha un inizio, uno sviluppo ed una conclusione.
Verrà per essere celebrato nella Gloria eterna con i suoi Angeli e con i suoi Santi.
Questo lo schema necessario per comprendere l’Avvento.
La pericope evangelica di oggi fa parte precisamente dell’unico “discorso” del Signore conservato da Marco, quello che si usa chiamare “escatologico”: Mc 13,1-37. Esso viene quasi come conclusione del ministero pubblico finale del Signore a Gerusalemme (cap. 11-12), ed è posto immediatamente prima della narrazione della Passione del Signore (cap. 14-15). A volte Marco 13 è chiamata la «Piccola Apocalisse (in contrapposizione alla «Grande Apocalisse» di Giovanni) o l’«Apocalisse sinottica» (perché della stessa esistono altre due versioni in Matteo 24-25 e in Luca 21).
Poiché il loro contenuto spesso riguarda le «ultime cose» (morte, risurrezione, giudizio, premio e punizione, vita nell’aldilà), delle apocalissi si dice che trattano dell’«escatologia» (lo studio delle «ultime cose»). Nella letteratura ebraica le apocalissi più complete ed estese sono Daniele, 1 Enoch, 4 Esdra (2 Esdra 3-14) e 2 Baruch.
Il discorso escatologico di Marco (che segue quello di Matteo) può essere diviso in 6 successioni logiche, molto conseguenti tra loro:
1] Mc 13,1-8: preambolo e profezia sulla distruzione del tempio, che in nessuna parte del N. T,. ossia nei 4 Evangeli, negli Atti, nell’epistolario paolino e nelle altre epistole cattoliche, è mai detta come avvenuta. La stessa Apocalisse, circa dell’anno 96 d. C., non rievoca apertamente quel tremendo fatto, che oltretutto determinò la dispersione della Comunità giudeo cristiana primitiva degli Apostoli di Gerusalemme. Sarebbe stato un tremendo argomento polemico contro gli Ebrei;
2] Mc 13,9-13: la profezia sulla diffusione dell’Evangelo e il suo contrasto attraverso le persecuzioni;
3] Mc 13,14-18: la profezia sulla terrificante devastazione della Giudea;
4] Mc 13,19-23: la profezia sulla desolazione si dilata nel mondo; messa in guardia dei fedeli, poiché adesso sorgono i falsi Cristo e falsi profeti;
5] Mc 13,24-31: la profezia sulla Parousia del Figlio dell’uomo, che è imminente;
6] Mc 13,32-37: avvertenza severa sulla data ignota della fine, v. 32, e imperativo a vegliare sulla Venuta, vv. 32-37, che è forma la pericope di oggi.
Essa si apre con tre imperativi assoluti: «Vedete bene, vegliate e pregate!».
Intorno all’Evangelo, che proclama sempre Cristo Signore Risorto da contemplare negli Eventi della sua Vita tra gli uomini abbiamo:
Antifona d’Ingresso Sal 24,1-3
A te, Signore, elèvo l’anima mia,
Dio mio, in te confido: che io non sia confuso.
Non trionfino su di me i miei nemici.
Chiunque spera in te non resti deluso.
È la celebre antifona che inaugura la Divina Liturgia dell’Avvento, dell’Anno liturgico, di tutto l’anno (vedi anche Anno A e C). L’orante che si sa amato fa anamnesi della sua offerta, l’offerta dell’anima che è la vita intera data a Dio. «Dio mio», come già altre formule di alleanza “Figlio mio, popolo mio” richiama la formula completa: «Io sono il Signore Dio tuo – tu sei il Figlio mio, il popolo mio» con l’accettazione «Tu sei il Signore nostro – noi siamo figli tuoi, il popolo tuo» formula battesimale che è anche pregata di continuo nel «Padre nostro».
L’orante ha solo fiducia perché la grazia del Signore è perenne contro le confusioni e nulla possono i nemici della fede e della vita di fede che attende il Signore che viene nella gioia e nel compimento del suo Disegno. Ricordiamo adesso e sempre che l’orante non è uno solo, singolo, è tutto il popolo. L’io del salmista è l’anima di tutto il popolo santo del Signore Vivente e Veniente. L’orante del salterio è la Chiesa intera con il Cristo. La Liturgia delle Ore è “implorazione di tutta la famiglia umana che Cristo associa a se stesso (cfr. Nota a fine lectio).
Canto all’Evangelo Sal 84,8
Alleluia, alleluia.
Mostraci, Signore, la tua misericordia
e donaci la tua salvezza.
Alleluia.
Un preludio splendido all’evangelo che parla di Venuta di misericordia e di salvezza. Infatti solo la presenza del Signore (che è sempre oggetto di epiclesi) può mostare la misericordia e solo da vicino può donare la sua salvezza che è raduno del popolo e comunione intorno al Veniente.

Esaminiamo il brano

v. 33 «State attenti, vegliate»: Per l’uso precedente di blepete in Marco 13 vedi i vv. 5.9 e 23.I due imperativi sono un richiamo a prestare attenzione ora che il discorso si avvia alla conclusione e preparano il terreno per gli altri due imperativi: gregoreite («vegliate, siate vigilanti») che seguiranno nei vv. 35 e 37. Molti manoscritti hanno «vegliate e pregate», probabilmente per l’influenza di Mc 14,38 («Vegliate e pregate...»).
«non sapete quando è il momento»: Dato che nessuno conosce il momento esatto (vedi 13,32), l’atteggiamento più logico è quello di stare sempre in guardia, ossia di comportarsi come se il giudizio finale possa verificarsi in qualsiasi momento e di vivere in modo da poter ottenere un verdetto positivo. Questo è un tema ribadito a più riprese nell’insegnamento etico del NT.
v. 34 «E come un uomo che è partito»: Questa parabola controbilancia quella dell’albero del fico in 13,28-29 dove l’attenzione è rivolta ai segni della fine dei tempi. Comincia come le parabole dei talenti (Mt 25,14-15) e delle monete d’oro (Lc 19,12-13), ma esprime un concetto diverso: State sempre in guardia (anziché «usate i vostri talenti con profitto»). Visto che il padrone ha affidato un compito specifico ad ogni servo (o schiavo, doulos) e ha incaricato un portiere di vegliare, al suo ritorno potrà facilmente giudicare chi abbia agito nel modo richiesto (eseguendo i suoi ordini).
«ha ordinato al portiere di vegliare»: L’accenno al «portiere» (thyroros) contiene un legame verbale con 13,29 («alle porte» [thyrai]). La frase presenta anche il verbo gregorein («vegliare»), che compare nella costruzione con l’imperativo nei vv. 35 e 37 ed è la parola chiave del passo costituito da 13,33-37.
v. 35 «voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà»: Normalmente ci si aspetta che il padrone ritorni nel corso della giornata, perché viaggiare di notte è difficile e pericoloso, ma nessuno può averne la certezza. Perciò uno deve comportarsi come se arrivasse in qualsiasi momento.
Nel contesto di Marco 13 sembra che si possa fare l’identificazione del Figlio dell’uomo (13,26-27) con il padrone di casa. Nel contesto marciano generale, potrebbe anche esserci qui un riferimento alla venuta del regno di Dio nella sua pienezza, del quale la venuta del Figlio dell’uomo è un elemento importante (vedi le parabole del regno in 4,26-29 e 30-32). Quando arriva il padrone di casa, ci sarà un rendiconto e una valutazione del lavoro svolto dai servi (il giudizio finale).
«se alla sera... o al mattino»: I Romani dividevano la notte in quattro periodi o «veglie» (turni di guardia). C’è già stato un accenno a «sul finir della notte» in 6,48 e a «l’ora tarda» e alla «sera» (opsé) in 11,11.19. Per il «canto del gallo» si veda 14,30.72. Il padrone può tornare a qualsiasi ora della notte (e del giorno), e pertanto i servi devono sempre farsi trovare pronti e in ordine.
v. 36 «fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati»: Al portiere è stata affidata la supervisione generale, ma ogni servo ha un suo compito specifico e su questo sarà giudicato al ritorno del padrone. L’accenno ai servi «addormentati» (katheúdontas) prepara il quadro dei discepoli che dormono nell’episodio del Getsemani (vedi 14,37.40.41).
v. 37 «Quello che dico a voi, lo dico a tutti»: Mentre nel contesto narrativo il discorso è stato rivolto ai quattro discepoli - Pietro, Giovanni, Giacomo e Andrea - nominati in 13,3-5, questa direttiva finale indica che il discorso vale per tutti i lettori di Marco.
«vegliate!»: La parola chiave (grēgoreîte) in questo sottoblocco (13,34.35.37) è anche la parola chiave nella pericope del Getsemani (vedi 14,34.37.38). È una indovinata sintesi dell’atteggiamento etico che emerge dal discorso escatologico dell’evangelista Marco.
I Colletta:
O Dio, nostro Padre,
suscita in noi la volontà di andare incontro
con le buone opere al tuo Cristo che viene,
perché egli ci chiami accanto a sé nella gloria
a possedere il regno dei cieli.
Per il nostro Signore…

È sempre  una supplica epicletica, al fine di ottenere dal Padre la ferma volontà di operare nella fede, l’unico modo di attendere il Signore che viene e di uscire incontro a Lui (vedi la parabola delle 10 vergini, Mt 25,1-13), in vista della divinizzazione promessa, che si esprime in quel «diventare consorti del Signore» (vedi 2 Pt 1,4), ossia partecipi della stessa sorte di Lui, divinizzato nella sua Umanità gloriosa, troneggiante alla destra del Padre (Mc 16,19). Questo significa anche possedere il Regno di Dio.
Si aggiunge oggi la riflessione sul “Credo”, nel suo 2° articolo, su Cristo Signore, dove dice «e di nuovo veniente con gloria per giudicare i vivi e i morti…del cui Regno non esisterà fine…attendo la resurrezione dei morti e la Vita eterna. Amen» (dal testo originale greco).

Antifona alla Comunione Sal 84,13
Il Signore elargirà il suo bene
e la nostra terra produrrà il suo frutto.

Al momento della comunione l’assemblea canta e fa sua la fede che il Salmista ha nel Signore, che è quindi la nostra fede. Poiché, come è suo stile, il Signore già dall’inizio «corona l’Anno della sua Benignità» (Sal 64,12a), così all’inizio di questo Anno della grazia, in questa celebrazione, il Signore già concede la sua tenera Misericordia dall’alto e dona anche i frutti della terra dal basso. Il raccolto escatologico sta all’inizio, l’omega è anticipato ormai nell’alfa. La Misericordia e l’abbondanza della Grazia debbono essere percepiti nella veglia e nella preghiera, nella preparazione e nella carità. Ecco i Divini Misteri come la Fonte, ma eccoli di nuovo anche come il Culmine, che segna il Sigillo divino.

II Colletta
O Dio, nostro Padre,
nella tua fedeltà che mai vien meno
ricordati di noi,
opera delle tue mani,
e donaci l'aiuto della tua grazia,
perché attendiamo vigilanti
con amore irreprensibile
la gloriosa venuta del nostro redentore,
Gesù Cristo tuo Figlio.
Egli è Dio…



lunedì 27 novembre 2017
Abbazia Santa Maria di Pulsano

Fonte:http://www.catechistaduepuntozero.it

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