don Luciano Cantini "Brutti scherzi della paura"
Brutti scherzi della paura
don Luciano Cantini
XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (19/11/2017)
Visualizza Mt 25,14-30
Consegnò loro i suoi beni
Matteo, da buon pubblicano, sa bene di che cosa Gesù sta parlando e tira fuori tutti i termini del suo
repertorio, quelli che hanno costituito l'esperienza della sua vita: beni, talenti, investire, impiegare, guadagnare, denaro, conti, potere, banchieri, interesse. Basta aprire un qualsiasi giornale o ascoltare la radio che prima o poi si finisce di parlare di economia che pare essere il motore della storia, della politica e della vita. Dunque la parabola, parlando di denaro - e tanto - ci fa scendere dalle alte vette della spiritualità che forse avrebbe potuto indurre l'immagine dell'olio e delle lampade della parabola precedente.
La vita ha le sue concretezze e da queste non possiamo scappare, ma occorre fare attenzione a leggere la parabola dei talenti nell'ottica di un sistema finanziario di tipo capitalistico tipico della nostra società, distante mille miglia dal mondo in cui Gesù ha vissuto e da cui ha tratto i suoi racconti.
Andò a impiegarli
Subito... non c'è tempo da perdere, la vita non offre dilazioni, non c'è spazio per “vedrò”, “farò”, ogni occasione va colta nel suo divenire. Però c'è una considerazione da fare sulla rapidità del racconto che sembra indurre a un guadagno facile come certa finanza un po' allegra vorrebbe proporre oggi. Nella economia del racconto non è interessante il come e quanto tempo sia necessario per mettere a frutto i beni ricevuti, a questo sarà dedicata maggiore riflessione nella parabola successiva nella relazione con chi è meno fortunato, anche il premio è indicato in modo assai sbrigativo prendi parte alla gioia del tuo padrone.
La focalizzazione della parabola e su colui che ha avuto paura.
So che sei un uomo duro
Il nodo del racconto è proprio qui, non è la pigrizia o l'incapacità che diventano l'oggetto del pensiero quanto la “paura”. Tra le righe leggiamo un certo modo di vedere la relazione tra Dio e l'uomo, sicuramente tipica della realtà farisaica, ma che trasversalmente abbraccia tutti i secoli, tutti gli angoli del mondo e ogni forma religiosa.
Difficilmente riusciamo a esternare con tanta chiarezza i sentimenti di paura che la parabola evidenzia: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ma sicuramente ne vediamo gli effetti nel nostro modo di fare: Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra, e ancora: ecco ciò che è tuo.
Nascondere
Non è ciò che è stato ricevuto ad essere nascosto quanto ciò che rappresenta. Non si nascondono le capacità - come spesso sono intesi i talenti - non sono le cose, ma le relazioni; quando una relazione si fa difficile la si nasconde, si ignora proprio come facciamo con Dio, tirato fuori per l'occasione, ogni tanto, per ingraziarselo o per un più prosaico “non si sa mai”. Lo sotterriamo, come i defunti, fuori dalla vita. Lo separiamo dalla nostra esperienza, dal quotidiano, lo rifiliamo in luoghi e tempi specifici e circoscritti.
Ciò che è tuo
Nella parabola l'uomo restituisce ciò che non gli è mai appartenuto, che non ha condiviso, come potrà prendere parte alla gioia del tuo padrone se si è mantenuto accuratamente fuori? Non ha capito o non ha voluto capire la portata della relazione, quanta luce offra, ha preferito restare fuori nelle tenebre, allora capirà che là sarà pianto e stridore di denti.
«Perché avete paura, gente di poca fede?» (Mt 8,26). Lasciamoci coinvolgere dall'amore di Dio.
"Nell'amore non c'è timore, al contrario l'amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone il castigo e chi teme non è perfetto nell'amore. Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo" (1Gv 4, 18-19).
Fonte:www.qumran2.net/
don Luciano Cantini
XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (19/11/2017)
Visualizza Mt 25,14-30
Consegnò loro i suoi beni
Matteo, da buon pubblicano, sa bene di che cosa Gesù sta parlando e tira fuori tutti i termini del suo
repertorio, quelli che hanno costituito l'esperienza della sua vita: beni, talenti, investire, impiegare, guadagnare, denaro, conti, potere, banchieri, interesse. Basta aprire un qualsiasi giornale o ascoltare la radio che prima o poi si finisce di parlare di economia che pare essere il motore della storia, della politica e della vita. Dunque la parabola, parlando di denaro - e tanto - ci fa scendere dalle alte vette della spiritualità che forse avrebbe potuto indurre l'immagine dell'olio e delle lampade della parabola precedente.
La vita ha le sue concretezze e da queste non possiamo scappare, ma occorre fare attenzione a leggere la parabola dei talenti nell'ottica di un sistema finanziario di tipo capitalistico tipico della nostra società, distante mille miglia dal mondo in cui Gesù ha vissuto e da cui ha tratto i suoi racconti.
Andò a impiegarli
Subito... non c'è tempo da perdere, la vita non offre dilazioni, non c'è spazio per “vedrò”, “farò”, ogni occasione va colta nel suo divenire. Però c'è una considerazione da fare sulla rapidità del racconto che sembra indurre a un guadagno facile come certa finanza un po' allegra vorrebbe proporre oggi. Nella economia del racconto non è interessante il come e quanto tempo sia necessario per mettere a frutto i beni ricevuti, a questo sarà dedicata maggiore riflessione nella parabola successiva nella relazione con chi è meno fortunato, anche il premio è indicato in modo assai sbrigativo prendi parte alla gioia del tuo padrone.
La focalizzazione della parabola e su colui che ha avuto paura.
So che sei un uomo duro
Il nodo del racconto è proprio qui, non è la pigrizia o l'incapacità che diventano l'oggetto del pensiero quanto la “paura”. Tra le righe leggiamo un certo modo di vedere la relazione tra Dio e l'uomo, sicuramente tipica della realtà farisaica, ma che trasversalmente abbraccia tutti i secoli, tutti gli angoli del mondo e ogni forma religiosa.
Difficilmente riusciamo a esternare con tanta chiarezza i sentimenti di paura che la parabola evidenzia: Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ma sicuramente ne vediamo gli effetti nel nostro modo di fare: Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra, e ancora: ecco ciò che è tuo.
Nascondere
Non è ciò che è stato ricevuto ad essere nascosto quanto ciò che rappresenta. Non si nascondono le capacità - come spesso sono intesi i talenti - non sono le cose, ma le relazioni; quando una relazione si fa difficile la si nasconde, si ignora proprio come facciamo con Dio, tirato fuori per l'occasione, ogni tanto, per ingraziarselo o per un più prosaico “non si sa mai”. Lo sotterriamo, come i defunti, fuori dalla vita. Lo separiamo dalla nostra esperienza, dal quotidiano, lo rifiliamo in luoghi e tempi specifici e circoscritti.
Ciò che è tuo
Nella parabola l'uomo restituisce ciò che non gli è mai appartenuto, che non ha condiviso, come potrà prendere parte alla gioia del tuo padrone se si è mantenuto accuratamente fuori? Non ha capito o non ha voluto capire la portata della relazione, quanta luce offra, ha preferito restare fuori nelle tenebre, allora capirà che là sarà pianto e stridore di denti.
«Perché avete paura, gente di poca fede?» (Mt 8,26). Lasciamoci coinvolgere dall'amore di Dio.
"Nell'amore non c'è timore, al contrario l'amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone il castigo e chi teme non è perfetto nell'amore. Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo" (1Gv 4, 18-19).
Fonte:www.qumran2.net/
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