DON Tonino Lasconi, "Diamoci tutti del tu"
Diamoci tutti del tu
XXXI Domenica del Tempo Ordinario - Anno A - 2017
Nel Vangelo di questa 31a domenica del tempo ordinario, Gesù ci mette in guardia dalla tentazione di
sentirci superiori agli altri e dalla compiacenza verso i titoli onorifici. Siamo tutti figli dello stesso Padre e chiamati a manifestarlo con le opere dell'amore e del servizio vicendevole.
Suscitò clamore la notizia della telefonata inaspettata di papa Francesco a un studente padovano (22 agosto 2013) nella quale il pontefice invitò l'imbarazzato giovane a dargli del tu: "Credi che gli apostoli dessero del Lei a Gesù? O lo chiamassero Sua eccellenza? Erano amici come lo siamo adesso io e te, ed io agli amici sono abituato a dare del Tu".
Tra in tantissimi (tra i quali anche io) che appresero la notizia con entusiasmo, non mancarono gli scandalizzati, che criticarono apertamente questo atteggiamento, ritenendolo una perdita di autorevolezza e un segnale di decadenza. Lodevole la preoccupazione per l'autorità e le sorti della Chiesa. Peccato, però, che i mezzi per garantirle non siano gli stessi di quelli stabiliti da Gesù: "Ma voi non fatevi chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate "padre" nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare "guide", perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo". "Voi siete tutti fratelli". Tutti. Non tutti eccetto il papa.
Nemmeno san Paolo si preoccupava di perdere l'autorità con un atteggiamento non soltanto fraterno, ma addirittura materno, come rivela: "Fratelli, siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli". A una madre amorevole non si dà del lei. Niente paura, perciò, per le sorti della Chiesa, se il papa si fa dare del tu. Al contrario, tante tristi vicende della storia sarebbero state evitate se le autorità religiose si fossero fatte dare del tu, non soltanto, ovviamente, nel "parlato", ma nel "vissuto". E' infatti proprio dal sentirsi figli di Dio un po' più degli altri che nascono i problemi, come sapeva bene il profeta Malachia: "Non abbiamo forse tutti noi un solo padre? Forse non ci ha creati un unico Dio? Perché dunque agire con perfidia l'uno contro l'altro, profanando l'alleanza dei nostri padri?".
Da evitare non è l'amorevolezza materna, ma l'arroganza che nasce dalla convinzione di essere meno tu degli altri. Contro questo tarlo della convivenza prega il salmo 150, ritenuto il più vicino al vangelo: "Signore, non si esalta il mio cuore, né i miei occhi guardano in alto; non vado cercando cose grandi né meraviglie più alte di me" (la precedente traduzione era molto più bella: "Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze").
Gesù, che metteva in guardia i suoi discepoli dagli scribi e dai farisei: "Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati "rabbì" dalla gente", tanto più mette in guardia noi, oggi, nella società del look, dell'apparire, del mostrarsi?
Allora, invece di preoccuparci del papa che si fa dare del tu, impegniamoci a convertirci al tu a tutti. Ce n'è urgente bisogno in tutti i campi, a cominciare da quello ecclesiastico, dove il "non fatevi chiamare maestro, padre, guida" non è esattamente rispettato dai tutti i titoli e i titoloni che circolano: don, arciprete, monsignore, prelato, arcivescovo, padre, superiore, eccellenza, eminenza, santità..., accompagnati da una varietà meticolosa di fogge di vestiti, di cappelli, di colori...
Si dice: "Ma sono cose esteriori, marginali!". Se sono cose esteriori e marginali, perché non ci si decide a lasciarle? Anche i filatteri, le frange, i primi posti, i saluti, farsi chiamare "rabbi" erano cose esteriori e marginali, eppure Gesù ci andava giù duro, perché sapeva – come sappiamo noi – che le cose esteriori finiscono per entrare dentro, diventando atteggiamenti.
La nostra società è gravemente malata di esteriorità, di apparenze, di corsa a prevelare sugli altri. Il nostro impegno di cristiani è reagire, testimoniando con forza che prima dei ruoli e dei titoli, siamo tutti fratelli perché uno solo è il Padre nostro. Anche dandoci del tu. Anche eliminando "frange e filatteri". Soprattutto, però, vivendo rigorosamente da figli dello stesso Padre.
XXXI Domenica del Tempo Ordinario - Anno A - 2017
Nel Vangelo di questa 31a domenica del tempo ordinario, Gesù ci mette in guardia dalla tentazione di
sentirci superiori agli altri e dalla compiacenza verso i titoli onorifici. Siamo tutti figli dello stesso Padre e chiamati a manifestarlo con le opere dell'amore e del servizio vicendevole.
Suscitò clamore la notizia della telefonata inaspettata di papa Francesco a un studente padovano (22 agosto 2013) nella quale il pontefice invitò l'imbarazzato giovane a dargli del tu: "Credi che gli apostoli dessero del Lei a Gesù? O lo chiamassero Sua eccellenza? Erano amici come lo siamo adesso io e te, ed io agli amici sono abituato a dare del Tu".
Tra in tantissimi (tra i quali anche io) che appresero la notizia con entusiasmo, non mancarono gli scandalizzati, che criticarono apertamente questo atteggiamento, ritenendolo una perdita di autorevolezza e un segnale di decadenza. Lodevole la preoccupazione per l'autorità e le sorti della Chiesa. Peccato, però, che i mezzi per garantirle non siano gli stessi di quelli stabiliti da Gesù: "Ma voi non fatevi chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli. E non chiamate "padre" nessuno di voi sulla terra, perché uno solo è il Padre vostro, quello celeste. E non fatevi chiamare "guide", perché uno solo è la vostra Guida, il Cristo". "Voi siete tutti fratelli". Tutti. Non tutti eccetto il papa.
Nemmeno san Paolo si preoccupava di perdere l'autorità con un atteggiamento non soltanto fraterno, ma addirittura materno, come rivela: "Fratelli, siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli". A una madre amorevole non si dà del lei. Niente paura, perciò, per le sorti della Chiesa, se il papa si fa dare del tu. Al contrario, tante tristi vicende della storia sarebbero state evitate se le autorità religiose si fossero fatte dare del tu, non soltanto, ovviamente, nel "parlato", ma nel "vissuto". E' infatti proprio dal sentirsi figli di Dio un po' più degli altri che nascono i problemi, come sapeva bene il profeta Malachia: "Non abbiamo forse tutti noi un solo padre? Forse non ci ha creati un unico Dio? Perché dunque agire con perfidia l'uno contro l'altro, profanando l'alleanza dei nostri padri?".
Da evitare non è l'amorevolezza materna, ma l'arroganza che nasce dalla convinzione di essere meno tu degli altri. Contro questo tarlo della convivenza prega il salmo 150, ritenuto il più vicino al vangelo: "Signore, non si esalta il mio cuore, né i miei occhi guardano in alto; non vado cercando cose grandi né meraviglie più alte di me" (la precedente traduzione era molto più bella: "Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze").
Gesù, che metteva in guardia i suoi discepoli dagli scribi e dai farisei: "Tutte le loro opere le fanno per essere ammirati dalla gente: allargano i loro filattèri e allungano le frange; si compiacciono dei posti d'onore nei banchetti, dei primi seggi nelle sinagoghe, dei saluti nelle piazze, come anche di essere chiamati "rabbì" dalla gente", tanto più mette in guardia noi, oggi, nella società del look, dell'apparire, del mostrarsi?
Allora, invece di preoccuparci del papa che si fa dare del tu, impegniamoci a convertirci al tu a tutti. Ce n'è urgente bisogno in tutti i campi, a cominciare da quello ecclesiastico, dove il "non fatevi chiamare maestro, padre, guida" non è esattamente rispettato dai tutti i titoli e i titoloni che circolano: don, arciprete, monsignore, prelato, arcivescovo, padre, superiore, eccellenza, eminenza, santità..., accompagnati da una varietà meticolosa di fogge di vestiti, di cappelli, di colori...
Si dice: "Ma sono cose esteriori, marginali!". Se sono cose esteriori e marginali, perché non ci si decide a lasciarle? Anche i filatteri, le frange, i primi posti, i saluti, farsi chiamare "rabbi" erano cose esteriori e marginali, eppure Gesù ci andava giù duro, perché sapeva – come sappiamo noi – che le cose esteriori finiscono per entrare dentro, diventando atteggiamenti.
La nostra società è gravemente malata di esteriorità, di apparenze, di corsa a prevelare sugli altri. Il nostro impegno di cristiani è reagire, testimoniando con forza che prima dei ruoli e dei titoli, siamo tutti fratelli perché uno solo è il Padre nostro. Anche dandoci del tu. Anche eliminando "frange e filatteri". Soprattutto, però, vivendo rigorosamente da figli dello stesso Padre.
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